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Il poeta filosofo indiano Jernail S. Anand…di Domenico Pisana

Sguardo su alcune poesie che decifrano “dualismi e paradossi” dell’essere umano
Tempo di lettura: 2 minuti

Un personaggio di respiro internazionale con una chiara impronta etica e filosofica, è sicuramente il poeta Jernail Singh Anand, editorialista e attivista ambientale indiano, nato nel 1955 a Ludhiana, nel Punjab, e cresciuto nel villaggio natale di Longowal nel Sangrur.
Autore di volumi di poesia , narrativa, saggistica e scritti spirituali, e professore Emerito Onorario presso l’Istituto di Studi e Ricerche sui Rom Europei, Crimini contro l’Umanità e Diritto Internazionale, Belgrado e Serbia, Jernail Singh Anand è coordinatore capo di un progetto di ricerca sulla poesia avviato dall’Università di Neyshabur , in Iran. L’Accademia delle Arti e delle Scienze filosofiche di Bari lo ha onorato con il riconoscimento di Accademico d’Onore. Recentemente, e gli è stato conferito il titolo di Dottore in Filosofia [Honoris Causa] dall’Università di Ingegneria e Management di Jaipur.

La poetica di Anand

La sua poetica riverbera echi di spiritualità e si connota come viaggio interiore, esplorazione delle radici dell’esistenza e del rapporto tra l’uomo e il divino, spesso intriso di misticismo. Al centro della sua opera c’è, infatti, una sentita ricerca del significato della vita, della connessione con il trascendente, tant’è che i suoi versi spesso riflettono concetti-chiave della filosofia sikh, come l’unità del Creatore, l’importanza della meditazione e del servizio disinteressato.
Anand usa un linguaggio ricco di immagini e simboli che attingono spesso alla natura, alla tradizione e alla mitologia indiana; le sue metafore mirano infatti a suscitare nel lettore un senso di meraviglia e di introspezione. Sintomatica, a riguardo, è la poesia Evil (Male), dove il poeta affronta il tema del male evidenziando come nonostante fiumi di parole siano stati spesi da menti eccelse, da figure spirituali e filosofi,(… Ci sono stati profeti / E grandi oratori, / Dibattitori, autori, personaggi, /attori. /Chi non ha parlato del Male?…) questo “poveretto” (così descrive il male) è ancora lì, saldo, quasi avesse sviluppato una sorta di immunità:

“…Eppure, il poveretto ha resistito,
Fermo al suo posto.
Ha sopportato tutti gli assalti,
Inclusi quelli di Cristo, il Profeta,
Socrate, Platone e Aristotele…”

Significativo il passaggio in cui Jernail S. Anand afferma che ogni uomo, appena nato, impara ad apprezzare il bello e subito dopo a puntare il dito contro il Diavolo. È una riflessione amara che evidenzia come spesso l’uomo tenda a riprodurre la negatività personificandola in una figura esterna, anziché riconoscere che le radici più profonde del male vanno ricercate nella sua stessa coscienza. Anche il richiamo dell’immagine del Mahabharata, il più vasto poema epico della letteratura indiana e mondiale ove si narrano le gelosie, gli intrighi e le lotte dei due rami dell’antica famiglia reale dei Bharata, suggerisce la lotta cosmica, la tensione perenne tra forze opposte che si manifesta dentro ogni uomo. Lo stesso poeta ammette di sentirsi campo di battaglia di questa guerra interiore: “Vedo un Mahabharata svolgersi / In modo sottile / Nei cieli, / Invisibile, / In cui il male e il bene si scontrano…”, manifestando una sorta di rassegnazione un po’ disincantata nel tono, come se avesse preso atto della tenacia del male, ma cercando, tuttavia, quasi una forma di resistenza intellettuale:

“…La guerra a volte penetra
Nel mio corpo,
E a volte nella mia mente,
E la maggior parte delle volte
Mi trovo massacrato.”

La meditazione sul ciclo della vita e sulla sua intrinseca finitezza

Ricca di significati anche la poesia Punto di declino, ove Jernail S. Anand offre una riflessione profonda e malinconica sull’inevitabile declino che accompagna l’avanzare dell’età e, per estensione, la natura stessa dell’esistenza.

Quando l’età avanza
Gli organismi viventi non possono reclamare
Una crescita incessante
Piuttosto, toccano il punto di declino.

Nessun albero può salire sempre più in alto
Né le radici scendere sempre più in basso
Anche gli uomini si fermano a una certa altezza
E tutte le cose divine.

C’è un limite alle ricchezze
Della terra
E una linea oltre la quale
Nemmeno i criminali possono cadere.

Al raggiungimento del punto di declino
Le cose sembrano rimanere
In piena gloria
La caduta testimonia la teoria del declino.

Al punto di declino
I volti necessitano di docce cosmetiche.
I cuori che affondano hanno bisogno di speranza
Per integrare le forze in declino.

Attraverso immagini e un linguaggio semplice ma evocativo, il poeta esplora i limiti intrinseci di ogni forma di vita e di ogni cosa, estendendo l’invecchiamento umano a tutti gli organismi viventi, agli alberi, persino a concetti astratti come la crescita e la ricchezza quasi a sottolineare che l’universalità del declino è una legge fondamentale della natura.
Le immagini dell’albero che non può salire all’infinito e delle radici che non possono scendere senza fine, evidenziano come ogni cosa abbia dei limiti naturali, un punto oltre il quale non è possibile andare. Anche l’uomo, pur raggiungendo – osserva il poeta – una “certa altezza”, convive con una limitazione non solo fisica ma di ambizione e realizzazione. I versi “Al raggiungimento / del punto di declino / Le cose sembrano / rimanere / In piena gloria” sono particolarmente toccanti. Suggeriscono che spesso la bellezza e la pienezza si manifestano proprio un attimo prima dell’inizio della discesa, rendendo la caduta ancora più evidente e significativa. Nella strofa finale, il poeta introduce un elemento di reazione al declino: le “docce cosmetiche”, per i volti, e la “speranza”, per i cuori che affondano, simboleggiano i tentativi umani di contrastare o accettare il processo di invecchiamento e la perdita di vitalità. Il verso “La caduta / testimonia la teoria del declino” rafforza poi l’idea che il declino non è un’anomalia, ma una teoria, una legge intrinseca all’esistenza.
Con un linguaggio diretto e privo di ornamenti superflui, con immagini concrete e brevi strofe, Jernail S.Anand porta sulla pagina una meditazione poetica sul ciclo della vita e sulla sua intrinseca finitezza. Nonostante il tema possa apparire malinconico, c’è una sorta di accettazione serena nelle sue parole, che invitano a una maggiore consapevolezza del presente e della bellezza effimera che precede il declino, offrendo così un promemoria delicato e potente della natura transitoria di tutte le cose.
La poesia di Anand riverbera dunque di nessi etico- filosofici che indagano il senso dell’esistenza, come si evince, del resto, anche da una intervista rilasciata dal poeta a Maja Milojkovic, nella quale afferma che “ci stiamo allontanando dall’attrazione gravitazionale del centro e le cose stanno cadendo a pezzi. Dal primo giorno, apparentemente stiamo progredendo, ma è uno stato di lenta disintegrazione e declino. Sono visibili due tensioni. Una è la progressione della civiltà, i progressi nella scienza e nella tecnologia. Ma sono accompagnati dal declino dei valori umani. Abbiamo perso la fede nella bontà e persino in Dio. L’intero focus della civiltà moderna è sulla sopravvivenza e sulla creazione di ricchezza e abbiamo detto addio ai valori etici o agli ideali di reciproca coesistenza, che sono il linguaggio essenziale della creazione”.
Per Jernail S. Anand la speranza di una rigenerazione morale è riposta nello studio delle arti, della letteratura e delle discipline umanistiche. Per il poeta indiano “bisogna dire la verità con cui vive il mondo. E l’uomo della strada, l’uomo che sta lottando per la sopravvivenza non può sostenere la verità. Non aspettatevi – prosegue – che i vostri alti professionisti e scienziati combattano per la verità perché sono guidati e dettati dai poteri della terra”. Anand è insomma convinto che c’è “bisogno di poeti e filosofi che sono comandati dalle forze eteree. Il Signore Krishna, nella Bhagwat Gita dice: L’uomo deve agire secondo il suo “dharma” (dovere) in una situazione particolare, ma non ha alcun controllo sulle conseguenze delle sue azioni. Ciò che gli frutterà come risultato delle sue azioni, è nel regno del fato”.

L’ambizione sfrenata dell’uomo e il rapporto distorto con il mondo

La natura adesso non è benigna
ma è una calamità ostile.
Così è l’uomo carente della sua divinità.

Non sono un uomo, sono un progetto.
La sopravvivenza è un istinto animale.
Guardo con lungimiranza.

Di bene in meglio.
Poi ottimizzare il meglio.
Le mie membra non conoscono riposo.

Ho compromesso ogni eventualità.
Tanto che l’universo ha acconsentito.

Non più un amante dei prati.
Nel mio magico intreccio
evoco Mefisto e tramano le ombre.

La vendetta è irragionevole per l’avidità,
questa è la mia fede.
Voi malvagi!
Desidero, oh Dio, celerità. 
(Le ombre tramano)

Nella poesia “Le ombre tramano” (traduzione dall’inglese di Elisa Mascia) il poeta Jernail S. Anand dipinge un quadro cupo e inquietante dell’uomo della post modernità, esplorando temi come l’ambizione sfrenata, la perdita di umanità e il rapporto distorto con il mondo. Nella prima strofa (“La natura adesso non è benigna / ma è una calamità ostile. / Così è l’uomo carente della sua divinità.”) la versificazione stabilisce immediatamente un’atmosfera di ostilità, evidenziando come la natura, tradizionalmente vista come fonte di conforto e bellezza, venga ora percepita come una “calamità”. Questo parallelismo è applicato dal poeta anche alla dimensione del Trascendente: l’uomo, “carente della sua divinità”, è diventato altrettanto ostile e distruttivo.
Nella seconda strofa (“Non sono un uomo, sono un progetto. / La sopravvivenza è un istinto animale. / Guardo con lungimiranza”.) il rapporto uomo-progetto introduce poi una visione disumanizzante, nel senso che evidenzia la mentalità del mondo globale focalizzata sull’efficienza e sulla funzionalità, dove la “sopravvivenza” si è ridotta a un mero “istinto animale”. La “lungimiranza” cui fa riferimento il poeta non sembra connotare saggezza, ma piuttosto una pianificazione strategica e calcolatrice.
Anche le strofe centrali approfondiscono questa ossessione per il progresso e il controllo. Il verso “Di bene in meglio. / Poi ottimizzare il meglio” rivela una spinta incessante al miglioramento, spogliata però di qualsiasi considerazione etica e spirituale. Le “membra” che non conoscono riposo simboleggiano un’attività frenetica e instancabile, priva tuttavia di vera soddisfazione, mentre l’affermazione del poeta che dice di aver “compromesso ogni eventualità” fino a ottenere il “consenso” dell’universo, suggerisce una manipolazione della realtà, un desiderio di piegare il mondo al proprio volere, tant’è che nella quinta strofa l’abbandono dell’amore per i “prati” è espressione di un distacco dal mondo naturale e dai valori tradizionali, mentre l’immersione in un “magico intreccio”, dove viene evocato Mefisto e si “tramano le ombre”, connota una sorta di alleanza con forze oscure, un patto in nome dell’ambizione.
Alla fine, nella strofa che chiude la poesia, Jernail S. Anand rivela la sua vera “fede”, quella dell’uomo e del poeta che va oltre la “vendetta” considerata “irragionevole”, e lasciando così trapelare un monito, un esempio di come la sete di potere possa determinare nella vita alleanze con le “ombre” e un’esistenza priva di vera gioia e significato.

Il radicamento nella filosofia buddista

L’adesione di Anand alla filosofia buddista riverbera con intensità nella poesia Buddha, dove il poeta medita sulla natura del bene e del male attraverso la lente dell’esperienza spirituale e della consapevolezza storica, sottolineando l’importanza della resilienza interiore, della duttilità di fronte alle avversità e della consapevolezza della natura ciclica del conflitto: “…Meglio renderti duttile / Che ci sia una valle / O una montagna, ignora / Il male non può distruggere / Ciò che il bene ha creato…”. Nei versi la figura di Buddha incarna la possibilità di trascendere l’agitazione del mondo e di raggiungere una vittoria interiore, una pace che non dipende dalle circostanze esterne. E questa vittoria (“…Ora sono BUDDHA / Il Vittorioso.”) non è per il poeta una conquista terrena, esterna, ma il risultato del superamento dell’ “agitazione” interiore e del raggiungimento di uno stato di illuminazione e pace interiore.(Nirvana)

L’ambivalente relazione dell’uomo con la natura
La natura è così aggraziata,
così gentile e così invitante
emana pace e tranquillità.

Ma cosa succede
quando il sole tramonta
e cala l’oscurità.

Le acque del fiume che
danzavano a una dolce musica improvvisamente
acquisiscono una strana presenza.

Come scappiamo da
queste terre selvagge
non appena la luce del sole tramonta.

Tutte le cose sono uguali
e sembrano
così belle la mattina dopo.

L’oscurità è la madre del mistero
e il grembo del mistero.

È la nostra immaginazione infiammata
evochiamo cose
di cui abbiamo sentito parlare nelle fiabe
e una paura ci afferra non appena c’è buio.

Nessun poeta scriverebbe odi alla natura
quando diventa invisibile agli occhi
e acquisisce una personalità seria.
(La natura è così)

Nella poesia “La natura è così” (traduzione in italiano di Laura Pavia) Jernail S. Anand esplora il dualismo della natura, presentandola inizialmente come fonte di grazia e tranquillità, per poi rivelare la sua potenziale inquietudine e il modo in cui essa influenza la percezione e le paure dell’umanità.
L’aggettivazione utilizzata dal poeta (“aggraziata”, “gentile” e “invitante”) crea un’atmosfera immaginifica di armonia e pace, che offre della natura una visione di rifugio che emana tranquillità e la percezione di un luogo accogliente e sereno. La versificazione dipinge successivamente un cambio di scenario nel quale il tramonto e l’arrivo dell’oscurità (“…Ma cosa succede / quando il sole tramonta / e cala l’oscurità”.) segnano una trasformazione radicale e preannunciano un mutamento nell’atmosfera e nelle sensazioni evocate dalla natura, suscitando una dimensione misteriosa e potenzialmente minacciosa, e determinando nell’uomo un desiderio di fuga dalle “terre selvagge” al calar del sole ( “…Come scappiamo / da queste terre selvagge / non appena la luce del sole tramonta.”). L’aggettivo “selvagge” connota un aspetto primordiale e incontrollato della natura, che diventa più evidente nell’oscurità.
Il poeta, in tal senso, offre anche una interpretazione psicologica dell’oscurità, descritta come la “madre del mistero e il grembo del mistero”, metafora con cui sottolinea come l’assenza di luce sia fertile terreno per l’ignoto e l’inspiegabile. Interessanti le strofe finali della poesia, che offrono una riflessione sul ruolo dei poeti. I versi in cui Anand dice che “nessun poeta / scriverebbe odi alla natura / quando diventa / invisibile agli occhi / e acquisisce una / personalità seria” hanno rilevanza notevole, perché denotano come la bellezza celebrata nella poesia è spesso legata all’aspetto visibile e rassicurante della natura. Quando essa si sottrae alla vista e assume una “personalità seria” (forse intendendo minacciosa o semplicemente sconosciuta), l’ispirazione poetica si affievolisce.
La natura è così” è in sintesi una poesia con un visione universale, perché esplora l’ ambivalente relazione dell’uomo con il mondo naturale e celebra la sua bellezza e tranquillità diurna, ma riconosce anche l’inquietudine e le paure che essa suscita con le sue l’oscurità e minacce. La poesia evidenzia il fattto che le percezioni della natura sull’umanità sono profondamente influenzate dalla luce e dall’ombra, e che l’ignoto che si cela nel buio è fertile terreno sia per l’ immaginazione che per le paure ancestrali dell’umanità. Il verso finale sul silenzio dei poeti di fronte alla natura oscura sottolinea come l’ ammirazione sia spesso legata a ciò che si vede e si comprende.
Concludendo, la poetica di Jernail S. Anand è profondamente radicata in una visione umanistica e spirituale del mondo, con al centro temi che si connotano per il loro realismo esistenziale, la critica sociale, l’impegno civile, e per quel “continuum” di dualismi e paradossi che attraversano la vita dell’essere umano nel suo rapporto con sé stesso, con gli altri e con il trascendente. La sua è voce che spazia tra l’introspezione lirica e l’affresco epico, tra tempo e memoria, riproducendo importanti echi della filosofia e delle tradizioni spirituali indiane, come la saggezza dei Veda e delle Upanishad.

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