Caso Giulia: “Urge educare alle relazioni”…di Domenico Pisana

Una scuola di qualità deve istruire educando, facendo crescere motivazioni in tutti gli allievi con una azione che educhi le loro diversità socio-affettive, cognitive e comportamentali.
Tempo di lettura: 2 minuti

La morte di Giulia Cecchettin, 83esimo caso di femminicidio registrato in Italia dall’inizio dell’anno, ha lasciato sgomento il Paese. Ora si chiede anche al mondo della scuola di fare la propria parte tant’è che il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha annunciato che mercoledì 22 novembre verrà presentato, in una conferenza, il piano “Educare alle relazioni”, un progetto nella lotta contro la violenza di genere, che sottolinea l’importanza dell’educazione nelle scuole come strumento fondamentale nella prevenzione di tali fenomeni nonché la necessità costruire una cultura di non violenza e di rispetto reciproco.
Il nostro Paese avverte una grave emergenza educativa non solo nella scuola ma anche nelle famiglie, che sono in crisi e che spesso delegano ai docenti l’educazione e formazione dei figli. Il vedere scuole vandalizzate, atti di bullismo, alunni che impallinano docenti, bande di giovani organizzate per delinquere, è un segnale che dice come sia urgente e necessario ricreare un rapporto di fiducia tra scuola e famiglia, avviando insieme un percorso, sulla base delle diverse competenze di esperti, in grado di costruire una cultura di non violenza e di rispetto reciproco.
La scuola accoglie ogni anno scolastico studenti che vivono, senza voler generalizzare, all’interno di famiglie in crisi per motivi relazionali, economici, di lavoro, cosa che ha riflesso sui figli e di conseguenza sul rapporto con la scuola. I modelli protezionistici o, al contrario, di disinteressamento verso i figli sta rendendo sempre più difficile il rapporto scuola-famiglia, e queste due realtà anziché collaborare per la crescita umana e culturale dell’alunno-figlio, finiscono a volte per entrare in conflitto, riversando l’una sull’altra le responsabilità del fallimento scolastico.
Da parecchi anni è in atto un dibattito nel Paese a livello politico, sociale, culturale, pedagogico, ma i risultati della riflessione appaiono poco significativi e rilevanti, e, a volte, contraddittori.
Non c’è dubbio che l’introduzione dell’autonomia scolastica è stata una conquista positiva, perché favorisce il pluralismo educativo, stimola nuovi processi culturali formativi e creativi relazionati al territorio in cui opera la scuola, e perché apre orizzonti di attività curricolare nei quali viene superato il fenomeno della omologazione didattica, che, spesso, costringe a camminare su percorsi di insegnamento troppo rigidi e standardizzati. Ma è pur vero, dall’altro lato, che nelle scuole italiane c’è un clima di sfiducia e di disorientamento perché spesso prende sempre più piede l’aspetto “gestionale-burocratico”, manageriale e d’immagine”, così da indurre le singole scuole a darsi una “verniciatura d’immagine” legata ad una progettazione di attività che, in alcuni casi, hanno efficacia educativa sugli studenti, in altri vengono accolte come iniziative non coinvolgenti.
Del resto, è pur vero che a volte le famiglie di oggi non chiedono più alla scuola che i loro figli acquisiscano una formazione educativa e che abbiano una preparazione, ma che siano promossi, per cui l’idea che la promozione non si nega a nessuno è qualcosa che sta permeando tutti gli ordini e gradi scolastici.
Sono convinto, invece, che quando si insegnano bene le materie già presenti nei curricula scolastici, sicuramente apparirà, con tutta pienezza, la loro grande valenza culturale sul piano dell’educazione e della comprensione e acquisizione dei grandi valori umani e civici di cui oggi i nostri giovani hanno bisogno di impossessarsi: amore, solidarietà, giustizia, legalità, rispetto dell’interculturalità, dell’ambiente , non violenza , tolleranza, etc..
Dunque, oggi insegnare appare una scommessa che chiama in causa la professionalità dei docenti e la loro capacità di relazione educativa. E’ importante, però, capire che cosa si intende per educazione, per relazione educativa, perché è all’interno di quest’ultima che può trovare collocazione l’insegnamento di una disciplina scolastica.
Ogni relazione educativa ha infatti una storia a sé: la relazione educativa in una classe non è uguale a quella di un’altra, perché condurre un “gruppo – classe” non è un fatto di automatismo: se alcuni alunni durante l’attività didattica mostrano comportamenti indifferenti o disimpegnati, o al contrario comportamenti collaborativi e partecipativi, questi comportamenti sono sicuramente il risultato di emozioni, le quali emozioni hanno alla radice dei pensieri che sono stati determinati da stimoli ricevuti dagli allievi nel rapporto con il docente, il quale non è uno psicologo né un psicoterapeuta, ma una figura autorevole del sapere rispetto all’allievo.
Voglio servirmi di tre immagini per delineare alcuni concetti sul senso dell’educazione e della relazione educativa nella conduzione del gruppo classe, servendomi delle parole di grandi autori e del loro pensiero nelle sue forme espressive.
La prima immagine la prendo dal grande Giacomo Leopardi, il quale nello Zibaldone,1817/32 (postumo 1898/1900), afferma:

“Il gran torto degli educatori è il volere che ai giovani piaccia quello che piace alla vecchiezza o alla maturità, che la vita giovanile non differisca dalla matura, di voler sopprimere la differenza dei gusti e dei desideri; di volere che gli ammaestramenti, i comandi e la forza della necessità suppliscano all’esperienza”.

C’è qui una grande lezione sull’educazione. Leopardi ci dice qual è l’errore che può compiere un docente nella relazione educativa: volere gli studenti a propria immagine e somiglianza. Se oggi un docente, tanto per fare un esempio, è, a differenza dei giovani, distante da internet, da Facebook, dalla tecnologia e pensa che nel suo processo educativo tutto questo sia inutile; se un docente vuole, come dice Leopardi, che “la vita giovanile non differisca dalla matura” , minimizzando o addirittura disprezzando “la differenza dei gusti e desideri”, questo è un docente che deve – diremmo noi oggi – mettersi in discussione, che deve fare una ponderata riflessione per una “ri-comprensione della propria azione educativa.

Una seconda immagine la prendo da Stuart Mill, filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell’utilitarismo, che nella sua opera “Sulla libertà”(1859), così scrive:

“La natura umana non è una macchina da costruire secondo un modello e da regolare perché compia esattamente il lavoro assegnato, ma un albero, che ha bisogno di crescere e di svilupparsi in ogni direzione, secondo le tendenze delle forze interiori che lo rendono una persona vivente.”

Anche qui ritorna l’immagine dell’albero e un’altra lezione. La relazione educativa non può essere un processo fatto di gesti automatici, stantii, ripetitivi, tutte cose che fanno le macchine, né si può pensare che l’uso di tecniche per una buona relazione educativa sia la panacea di tutte le difficoltà; come un albero, quando comincia a crescere, si espande con i rami in tutte le direzioni, di qua e di là, così è il processo educativo: i nostri alunni sono questi alberi che crescono, non sono recipienti da riempire né macchine, ma persone nelle quali il docente – come sostiene Mill – deve , attraverso una buona relazione educativa, liberare “le tendenze delle forze interiori che lo rendono una persona vivente”. L’educazione deve aiutare a vivere, a dare senso e significato al sapere, all’istruzione e a qualsiasi atto finalizzato a far crescere.

E infine un’ ultima immagine tratta da Jaean Jacques Rousseau, il quale, nella sua opera “Emilio o Dell’educazione”(1762), afferma con una domanda:

“La più grande, la più importante, la più utile regola di tutta l’educazione? È non di guadagnare tempo, ma di perderne”.

C è nella parole di Rousseau, attraverso l’immagine del tempo, un’altra provocazione forte: oggi nella scuola ci si lamenta spesso che si è indietro col programma, ma essere indietro è un guadagno o una perdita? Dove sta il guadagno e dove sta la perdita? Io credo che investire su un insegnamento che valorizza la relazione educativa sia importante, e a guadagnarci saranno gli studenti perché capiranno che la scuola può essere sicuramente un “luogo paidetico”, una palestra ove capire, attraverso i contenuti e le conoscenze specifiche delle discipline che si studiano, il senso del proprio esistere.
Abbiamo bisogno di una scuola che sia vera fucina dove è possibile non solo acquisire ma anche creare cultura, educare e formare, e dove gli studenti non siano semplici utenti, fruitori di servizi, recipienti da riempire, ma personalità da far crescere con l’apprendimento, lo studio, la ricerca, la sperimentazione, lo stimolo della fantasia e della creatività, la comprensione dei valori fondamentali della vita, così da poterli inserire con consapevolezza e maturità nella vita sociale e nel mondo del lavoro.
Una scuola di qualità non è quella che promuove alcuni e boccia altri, ma una scuola che sa istruire educando, facendo crescere motivazioni in tutti gli allievi con una azione educativa mirata e centrata su metodologie flessibili e rispondenti alle possibilità di crescita e di sviluppo degli studenti secondo le loro diversità socio-affettive, cognitive e comportamentali.

© Riproduzione riservata
Subscribe
Notificami
guest

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

14 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

Articoli correlati

RTM per il cittadino

Hai qualcosa da segnalare? Invia una segnalazione in maniera completamente anonima alla redazione di RTM

SEGUICI
IL METEO
UTENTI IN LINEA
Scroll to Top