Il 18 luglio prossimo ricorrono quattro mesi dall’ordinazione del Vescovo di Noto Mons. Salvatore Rumeo. Sicuramente la chiamata all’episcopato è un grande dono di Dio, un vero e proprio “esodo”, un passaggio esistenziale e un cammino nel quale la persona scelta deve svuotarsi di sé, uscire dalla propria terra per andare lì dove il Signore gli indica, al fine di testimoniare, con la fede, la speranza e la carità, la presenza del Cristo in mezzo al popolo.
A Mons. Salvatore Rumeo, che si è messo alla guida della “barca di Pietro”, Gesù avrà sicuramente rivolto le parole che rivolse a Pietro tre volte: “Mi ami tu? Allora pasci le mie pecorelle!”
Essere vescovo è l’inizio di una avventura della fede da vivere nell’amore, e con la consapevolezza che il cammino di una Chiesa locale è determinato proprio dalla spiritualità, dallo stile pastorale, dalla capacità propulsiva del suo Vescovo; questi, infatti, è il “primo segno” della comunione, il “primo strumento” del quale Dio si serve per l’annuncio del vangelo, per la celebrazione della lode e della liturgia, per la testimonianza della carità e l’accoglienza dei poveri.
Dalle varie uscite pubbliche e visite delle parrocchie della Diocesi, nonché dagli interventi che in questi mesi Mons. Rumeo ha tenuto in occasione di celebrazioni eucaristiche, di feste religiose, di incontri di diverso genere, emergono alcune considerazioni.
La prima considerazione scaturisce dalla percezione di trovarsi di fronte ad un vescovo che ha preso possesso di una diocesi “non per esercitare il compito di un funzionario ecclesiastico”. Colpisce infatti la sua mentalità non “curiale” ma “dialogale e pastorale”. Sembrerebbe un fatto scontato, ma tanto scontato non è, perché il rischio di cadere nell’esercizio di una “burocrazia religiosa” è sempre in agguato a danno di una visione kerigmatica e carismatica del proprio ministero.
La seconda considerazione è di ordine psicologico. L’impressione che questo nuovo Vescovo sta offrendo, è quella di un vescovo “solare e raggiante”, dal tono “sereno, caldo e coinvolgente”; il suo linguaggio si percepisce carico di spiritualità, ricco di atmosfere evangeliche e, soprattutto, carico del desiderio di servire il popolo che Dio gli ha affidato. Credo che questa sottolineatura non sia secondaria, perché nel nostro tempo il problema della “comunicazione interpersonale” risulta essenziale e fondamentale specie per chi ha una missione divina, ma anche per chi riveste ruoli nella società, nella famiglia, nella scuola, nella chiesa, nella politica, etc..
La terza riflessione è di ordine pastorale. Mons. Rumeo ha conseguito il Dottorato in Sacra Teologia presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, ha una specializzazione in Catechetica e diverse pubblicazioni alle spalle: “Giovanni Paolo II e i giovani. Insieme. Un incontro che non dimenticheremo mai…, 2008; “E si prese cura di lui. La via, l’olio e la locanda di Gerico. Oratorio oggi”, 2010; “La montagna delle beatitudini. Sui banchi delle beatitudini”, 2010; “Il Vangelo della misericordia. Meditazioni”, 2013; “Ritorniamo a Firenze. Declinazioni di sinodalità nella Chiesa italiana per una nuova stagione di evangelizzazione e catechesi”, 2021; “Artigiani di comunità. Riflessioni catechetico-pastorali”, 2022.
Queste opere danno certamente di lui l’immagine di un teologo pastoralista che crede molto in una evangelizzazione e catechesi capace di generare una rifondazione della fede, spesso caratterizzata da sovrastrutture, superstizioni ed infiltrazioni di stampo devozionistico: il dialogo in tal senso avviato con tutti coloro che hanno ruoli di responsabilità(sacerdoti, suore e fedeli laici, gruppi ecclesiali), nonché il bisogno di un confronto con i vari organismi diocesani impegnati nel cammino della Chiesa netina, danno del vescovo Rumeo la visione di un vescovo sinodale, evangelicamente e culturalmente aperto e disposto alla valorizzazione dei suoi collaboratori.
Queste considerazioni sono certamente soggettive, ma scaturiscono da una osservazione dal basso dei primi quattro mesi di ministero del nuovo vescovo, a cui è stato affidato il compito di custodire, di annunciare e vivere il vangelo, affinché la Chiesa di questo lembo Sicilia possa essere sostenuta nel suo cammino verso Dio e verso gli uomini. Ad un vescovo che si insedia non servono né le adulazioni né le sterili lamentazioni, ma la collaborazione dei membri di un “popolo sacerdotale” per far crescere il regno di Dio e ricercare insieme a lui “la verità che rende liberi”. La comunione con il vescovo non è infatti una pillola da inghiottire per il dovere di una obbedienza giuridico-canonica, ma l’espressione di una “accoglienza reciproca” che trova il suo fondamento nella volontà del Cristo, il quale ha fatto dell’apostolo il segno dell’unità nella diversità, della carità nella verità, della libertà nell’amore.
E’ attorno al Vescovo, dunque, che appare necessaria nella Comunità diocesana di Noto la rinascita di una nuova evangelizzazione, di una nuova missione con la consapevolezza che non si può, per usare l’immagine di Giona, rimanere rinchiusi nel “ventre” delle singole chiese, dei gruppi, dei movimenti e delle parrocchie, dimenticando che il Signore ha scelto i suoi figli perché diventassero “segno” di salvezza , strumenti della sua azione salvifica in ogni tempo. E questo nostro tempo richiede sicuramente una missione evangelizzatrice che abbia il volto della profezia, di quell’annuncio che dichiara con determinatezza la vicinanza di Jahvè, quale Dio di tutti.
Con la guida pastorale di Mons. Salvatore Rumeo, l’auspicio è che la Comunità diocesana netina riscopra uno slancio missionario in grado di determinare “la propagazione del Vangelo”, quella per la quale l’apostolo Paolo spese tutta la sua vita rendendosi “strumento” a servizio dell’opera di salvezza del Signore: “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1 Cor. 9,22-23).
L’auspicio è altresì che nei prossimi mesi possa avviarsi una nuova riflessione per portare il “fuoco evangelico” nei suoi “luoghi” fondamentali: la parrocchia anzitutto, quale “luogo privilegiato” in cui rivitalizzare, con appositi organismi di partecipazione, la pastorale catechetica, liturgica e della carità, la pastorale giovanile, dei gruppi, dei movimenti e del volontariato; e poi “il territorio” con tutte le sue variegate articolazioni sociali e di quartiere.
Se il fuoco dell’evangelizzazione – diceva il Vescovo emerito Mons Giuseppe Malandrino – è spento o langue, tutta la vita di una comunità parrocchiale rimarrà spenta, o quasi, e perderà senso; allora prende il sopravvento, il rimpianto, la conservazione, il liturgismo…E il distacco dal territorio, e dalla gente in genere, si ingigantirà a dismisura. Sono parole molto forti che dicono che non è questione di facciata, ma di vita…. la missione evangelizzatrice o è di tutti i giorni e di tutti i membri, o non è missione. In questo senso appaiono stimolanti e rilevanti le parole che Mons. Rumeo scrive nel suo volume “Artigiani di comunità. Riflessioni catechetico-pastorali”:
“…Una Chiesa sinodale si può comprendere alla luce della partecipazione del popolo di Dio al triplice ministero di Cristo: profetico, sacerdotale, e regale. La sinodalità non è improvvisazione; si tratta di formarsi ad un metodo che sosterrà al cambio di mentalità e alla conversazione pastorale. Le nostre pratiche pastorali sono lo specchio di una Chiesa che non ha ancora sufficientemente, ed in modo consapevole, elaborato e fissato i tratti fondamentali dell’identità cristiana odierna, la figura di cristianesimo da vivere in questo nostro presente storico così articolato, complesso e soggetto a repentini mutamenti (…)
Popolo, preghiera e prossimità: sono queste le vie su cui la Chiesa deve camminare perché il Sinodo possa portare frutti e ridare speranza alle nostre comunità e agli uomini di buona volontà…Un Chiesa, però, che non si è mai chiusa a guardare solo le sue dinamiche interne…Una chiesa capace di parlare il linguaggio della fiducia, della libertà, e soprattutto dell’amore…Sogniamo una Chiesa che creda nelle potenzialità dei giovani e dei laici, portatori di carismi ed esperienze utili per ricoprire anche ruoli di responsabilità (pp.221-223).
E’ quel che auguriamo alla Comunità diocesana di Noto con il suo nuovo vescovo Salvatore Rumeo.
1 commento su “Mons. Rumeo: 4 mesi di un vescovo sinodale… di Domenico Pisana”
L’episcopato è un dono di Dio, come le chiamate dei preti, questo è quello che ci hanno sempre detto e ripetuto. Ma non è il Papa a ordinare o rimuovere un vescovo? Rempo fa ho chiesto ad un prete come sia avvenuta la sua chiamata, non mi ha risposto, solo uno sguardo un pò imbarazzato.
Quanto esposto dal Prof. Pisana, è quello che “dovrebbe” essere la chiesa, ma oggi è quella che “vorrebbe” essere. Penso che dare un giudizio al Vescovo Rumeo sia prematuro, con gli anni ho imparato a dare un giudizio sull’operato che fanno piuttosto alle parole che dicono. Alla lunga corsa insomma.
Certo, le parole hanno il loro significato e possono produrre certi effetti, ma se non seguono i fatti, poi diventa tutto una narrazione continua.
Il Prof. Pisana ha citato Mons. Malandrino e garbatamente non ha mensionato Staglianò, in effetti se quanto detto nell’articolo lo si deve confrontare con l’operato del precedente Vescovo, si rischia di andare in corto circuito.