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POESIA, INNOVAZIONE, LINGUAGGI /5 … di Domenico Pisana

Tempo di lettura: 2 minuti

La poesia contemporanea rispecchia sicuramente quanto affermava Valéry nella “Crise dell’esprit” del 1919, (1) ove sosteneva: “L’Amleto europeo osserva milioni di spettri, pensa alla difficoltà, anche al fastidio, di ricominciare il passato, alla follia di volere innovare sempre, e oscilla tra due abissi, perché due pericoli non cessano di minacciare il mondo: l’ordine e il disordine”.
In questa immagine “dell’ordine e del disordine” ravviso il problema di senso del poetare, che si dibatte sempre tra due prospettive diverse, entrambi legittime, e che nel 1919 bene venne espresso dalla rivista “Valori plastici” in un articolo di Savinio dal titolo “Principi di valutazione dell’arte contemporanea”, là dove afferma “Ogni inquietudine si avvia fatalmente a una calma, in cui quella sostanza stessa che provocò l’urto inquietante si spiana e si distende in tutta la sua verità. E’ il processo naturale che conduce dal barbarismo al classico” (2)
Ecco la poesia italiana ha costruito le sue fondamenta su una classicità ontologica e su una tradizione espressiva che hanno fatto della sua purezza formale e della sua misura aspetti determinanti e punti di riferimento quasi obbligati; tali aspetti, che rientrano nell’ “ordine” indicato da Valery, si sono scontrati, tuttavia, con il “disordine” o “ quel “barbarismo” di cui parla Savinio; entrambi gli aspetti sono simboli di una innovazione e di un discorso poetico di modernità che è stato, però, ritenuto pericoloso a motivo del fatto di essere considerato come un taglio dalle radici ed una perdita del senso stesso della temporalità.
Credo che quando oggi poeti e critici-poeti discutono di poesia, i loro ragionamenti si muovano dentro queste coordinate. Cosa accade oggi! Vediamo che se fino agli anni ‘80 i tanti scrittori di versi lasciavano nei cassetti i loro testi e i più fortunati riuscivano a pubblicarli, oggi con l’avvento dei nuovi media, della rete e del web viene data a tutti la possibilità di tirarli fuori e di farli conoscere.
E così leggiamo tanti autori che compongono “nel rispetto dell’ordine”, tanti altri che esondano in “barbarismi” innovativi, altri privilegiano forme neoclassiche. Dentro questa variegazione e frammentazione, ci sono critici catastrofisti che considerano tutta questa produzione poetica “chiacchera”, altri che agiscono con pregiudizio, lo stesso che già anche Ungaretti aborriva: “Ho l’odio dei pregiudizi, e quello che sta succedendo nell’arte in Italia mi sembra più un partito preso, una posa estetica, che una reale passione”. (3)
Se debbo dire la mia prospettiva, frutto di libera espressione del pensiero e non di “giudizio di valore”, ritengo sia necessario che la poesia italiana esca dal dualismo sopra descritto per andare alla ricerca di un “canone progettuale” originale che:
– eviti, da un lato, di bloccare lo sviluppo della poesia su preziosismi verbali e su restrizioni formali propri della tradizione poetica classica, che, se spinti all’eccesso, finiscono per riproporre un presente alla maniera del passato producendo solo vuoto e retorico accademismo;
– dall’altro, riesca a operare una “riconciliazione” tra scrittura poetica e storia nonché a innovare attivando un equilibrato rapporto tra “ordine e senso dell’avventura”.
Un “canone progettuale” della poesia italiana non può essere quello che fa epurazioni, probabilmente anche argomentate, e che mette i “poeti” da una parte e i “non poeti” dall’altra: questa è una strada non percorribile che dobbiamo lasciare al tempo e alla storia. Il punto essenziale è far capire a quanti sono “cercati dalla poesia”, per dirla alla Neruda, che se è vero che non è possibile segnare delle cesure forti e nette nei confronti della tradizione, è altresì vero che premere l’accento su un ritorno all’ordine e alla purezza formale ci taglia i ponti dalla grande poesia europea facendo rimanere miope la poesia italiana.
Credo che un “canone progettuale” per la poesia italiana contemporanea debba avere come suo statuto epistemologico due dati fondamentali:
– in primo luogo il concetto di lirismo inteso non come chiusura in una torre d’avorio, ma come lettura, da una parte, del pensiero e delle emozioni in vista dell’espressione di una poetica capace di farsi spazio dentro l’insignificanza del nulla, e, dall’altra, come “possibilità di fissare stati della sensibilità al fine di esprimere globalmente la realtà psicologica cui il poeta si ispira” (4);
– in secondo luogo una rinascita classica da intendersi, direbbe Niva Lorenzini, non come “semplice imitazione testuale o formale degli autori assunti a proprio modello, ma come trasformazione profonda interiore che solo l’intelligenza unita alla sensibilità può consentire” (5). Personalmente prediligo una classicità lirica che riesce ad rinnovare il linguaggio, a sperimentare senza però perdere il contatto con la tradizione, con la storia, con la società; non mi appassionano sia il purismo lirico disancorato dal reale, dalla conoscenza e dalla filosofia, sia il prosaicismo descrittivo privo di aperture liriche e di tensione morale. Quando i versi si incamminano su queste strade rischiano – per dirla con Montale – di essere solo “spoglie morte di un genere letterario noioso come tutti i generi astratti” (6).

Poesia, parola e linguaggio

Di fronte ad una realtà poetica come quella contemporanea che vede molti scrivere versi, individuare un “canone progettuale” ci consente di non affidare il valore della poesia al semplice gusto personale, ma a parametri letterari, filosofici, lirici, antropologici e linguistico-formali che possano aiutare ad individuare, non certo a definire in modo assiomatico, l’essenza più vera della poesia.
Un dato è, anzitutto, vero: non si può pensare di affidare la poesia al solo gusto personale e soggettivo di chi la legge, sia esso un semplice lettore sia esso un critico letterario, perché sui gusti credo non si possa discutere, tant’è che i latini dicevano “De gustibus non est disputandum”, “Sui gusti non si può discutere”. Pensare ad un grande progetto di poesia come ad una sorta di contenitore di accreditamento finalizzato a certificare poeti e poesia in base al gusto non mi pare una strada percorribile, atteso che il sentimento poetico di chi scrive non è valutabile né dimostrabile, come avviene, per esempio, per le affermazioni scientifiche.
E se nessuno può negare che la protagonista della poesia è la vita e che la vita è intrisa di sentimento, da intendere non come emozionalismo né come psichismo ma come un “modo di sentire” la realtà interna ed esterna a se stessi, come un “senso (sentimento) di sé” che esprime la coscienza della propria esistenza quale insieme complessivo delle relazioni interiori e con il mondo, va da sé che la critica letteraria su questa dimensione non può che entrare con rispetto e senza pretesa di verità scientifica. Capiamo infatti bene che se è possibile dire, per fare un esempio, che l’acqua ad una certa temperatura comincia a bollire perché è l’affermazione di un fatto verificabile concretamente, non si può dire, allo stesso modo, “questa è poesia e quest’altra non è poesia”, perché si finirebbe per dare un giudizio di valore che pretende di verificare il non verificabile, ossia il sentimento, che non è un afflato psicologico, ma l’espressione di attimi esistenziali racchiusi in una struttura formale composta da lingua, linguaggio e parola.
Però sappiamo anche che la poesia non è il semplice “mondo dei sentimenti”, ma ha, altresì, come elemento costitutivo importante e rilevante il linguaggio e le forme con le quali il sentimento viene espresso dal poeta. Su questo secondo aspetto, che è verificabile e valutabile, il ruolo della critica letteraria è importante ed ha il compito di esprimersi sulla base di parametri più oggettivamente significativi, al di là di ogni gusto o tendenza personale o letteraria.
Nasce qui, allora, per chi vuole individuare un “canone progettuale” della poesia contemporanea, il problema del rapporto tra poesia, lingua, linguaggio e parola. Diciamo subito che la lingua è un sistema di espressione del pensiero mediante “segni e regole” che hanno leggi indipendenti dal poeta che le usa. Le varie lingue europee, ad esempio, hanno le loro leggi grammaticali, lessicali, morfologiche, sintattiche: il poeta non sta, principalmente, nell’uso di una lingua; egli, se fa poesia, vada sé che deve solo applicare correttamente le leggi che la regolano.
C’è poi il linguaggio, che è l’uso che il poeta fa di una lingua; il linguaggio poetico assume una sua modalità particolare non soltanto perché finisce con la rima o le parole tronche, o va a capo o perché usa delle figure retoriche, ma perché possiede una logica interna, perché è allusivo, lirico, analogico, simbolico, iconico, plastico, ermetico, romantico, elegiaco, decadente, sociale, realistico e non ha dunque bisogno del rigore scientifico ma dell’intuizione, dell’ispirazione e della fantasia, dentro cui non avviene una separazione o distinzione tra cose poetiche e non poetiche, ma c’è la vita che, nella sua complessità, viene assunta, trasfigurata e resa voce di canto. E’ nel linguaggio, infine, che comincia a intravedersi il poeta, il quale non dice parole ma fa uso della parola. E cos’è la parola! La parola è il linguaggio detto in una situazione vissuta, in un contesto di relazione. Un problema della poesia contemporanea è, a mio avviso, quello della “pertinenza”, ossia della risonanza e degli effetti che la parola poetica riesce ad avere nel tempo in cui si esprime.
Il poeta è infatti una “coscienza pensante e comunicante” in una data terra e in un dato contesto sociale e la sua parola è efficace non semplicemente, come molti dicono, solo perché suscita emozioni, ma perché si situa, nel contesto in cui si esprime, come “dabar”, parola ebraica che indica un progetto creativo, un disegno che si deve realizzare.
A mio giudizio c’è oggi la necessità di un nuovo orizzonte poetico, nel quale vengano superati alcuni dati che oggi caratterizzano la poesia, tipo l’utilizzo di uno stile costantemente piano; un cammino “dal pedale basso” e talora banale; contenuti psicologisti ed emotivisti disancorati da quella realtà che invece pretenderebbero di interpretare; nessuna attenzione alla fenomenologia esistenziale anche nei suoi livelli filosofici ed antropologici; rifiuto del linguaggio della tradizione letteraria e uso del “linguaggio della strada”; rinuncia della critica letteraria al suo ruolo di indagine del versante filologico-stilistico che ha sempre caratterizzato la nostra letteratura.
Se consideriamo poi che la grande produzione di poesia, che fiorisce fortemente in rete e su facebook, non tenta mai, tranne poche eccezioni, ricerche innovative sul piano del linguaggio e dello stile; se pensiamo, altresì, che i poeti contemporanei spesso preferiscono rimanere nel “qualunquismo stilistico” dando vita ad un poetare che diventa un “pastiche-passatempo” , cioè lo sfogo di emozioni che coinvolgono il sentimento, la denuncia o il lamento di cose che non vanno, riprodotto con versi che in tutto o in parte rielaborano brani tratti da opere preesistenti, per lo più con intento imitativo, è difficile ritenere che la poesia contemporanea possa lasciare un segno negli anni a venire ed avere un futuro.

Una “poesia di rottura” capace di innovare nel solco della tradizione letteraria

Il contesto situazionale nel quale oggi vive la poesia, è un contesto dove tutto è mercato, consumo, spettacolo, rissa, intrattenimento effimero. Rispetto a questo, il poeta di oggi ha due possibilità: l’adeguamento per soddisfare il suo bisogno di visibilità con una parola convenzionale, o la dissidenza con il rischio dell’isolamento, che per alcuni diventa invece una scelta.
Questo nostro tempo così caratterizzato necessita di una “poesia di rottura” capace di innovare ma nel solco della tradizione letteraria, di una poesia fenomenologica e di pensiero caratterizzata non da un linguaggio usuale, trito e ritrito, dal tono discorsivo e conversativo, ma da un linguaggio intrigante, incisivo, e creativo. Diciamo innovativo e di qualità; senza ricerca, infatti, come fa un testo a essere “innovativo e di qualità”?
Purtroppo la maggior parte di coloro che si accostano alla poesia, sembra mostrare distanza verso la poesia ricercata e colta, innovativa nello stile e nel linguaggio; spesso si prediligono le “poesie leggibili” o “facili”, quelle dove spiccano la musicalità, il ritmo, la partecipazione emotiva, il canto di sentimenti alti. Io credo che per leggibilità e facilità non debba intendersi scorrevolezza e discorsività tipiche della prosa, ma “leggibili” nel senso di “portatori di pensiero”, di un “nous poietikos” capace di suscitare domande di senso.
Infine aggiungo che parlare di poesia “facile” e poesia “difficile” è una contraddizione in termini: il linguaggio poetico può essere più o meno esplicito, allusivo, analogico, simbolico, ma è certo che nella poesia rimangono sempre delle componenti di mistero profonde, che sono, in fondo, la caratteristica principe che fanno di un testo una poesia. / Continua

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(1) P.Valéry, “Crise dell’esprit” del 1919 Note (ou L’Européen), Editions Manucius.
(2) https://www.artribune.com/attualita/2014/05/nuovo-la-crisi-oggi-e-ieri/
(3) G. Ungaretti: innocenza e memoria della poesia, in …https://revistas.ucm.es › CFIT › article › download.
(4) N. Lorenzini, in L’Europa dei poeti, Atti del convegno di studi, Bologna 27-28 aprile 1998, Clueb, 1999.
(5) Ibid.
(6)Eugenio Montale, Poesia, prosa, traduzioni, UTET, Rizzoli Editore, 1975.

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1 commento su “POESIA, INNOVAZIONE, LINGUAGGI /5 … di Domenico Pisana”

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