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Green deal: percorso a ostacoli…l’opinione di Rita Faletti

Tempo di lettura: 4 minuti

Il G20 sul Clima che si è svolto a Roma lo scorso weekend è stato più che altro un semplice incontro tra i big della Terra, quelli presenti. Mancavano Xi Jinping, resosi invisibile dall’inizio della pandemia, e Putin, entrambi collegati in video. Non c’era il presidente del Sud Africa, Ramaphosa, e neanche quello del Messico, Obrador. Assente giustificato il primo ministro giapponese Kishida, a causa delle elezioni parlamentari che si sono tenute il 31 di ottobre. Leader del summit Mario Draghi, elogiato da Biden per il grande impegno profuso. Deluse le aspettative: nessun accordo è stato raggiunto e la svolta sul multilateralismo è stata appena evocata. Ciò nonostante, Draghi si è detto ottimista, “a condizione, ha sottolineato, che si abbia la capacità di lavorare insieme e collaborare”. Quindi, no a discussioni e attriti, ma fermezza nel portare a compimento un progetto facile da proporre ma difficile da realizzare. Da persona pragmatica, il premier era consapevole che sarebbe stato impensabile mettere d’accordo Paesi con economie diverse sugli stessi obiettivi: arrivare al 2050 con zero emissioni di CO2 e contenimento delle temperature medie globali entro il tetto di 1,5 gradi Celsius. Cina, Russia, India e Arabia Saudita, quattro dei primi otto Paesi emettitori, reputano la data del 2050 non conciliabile con le esigenze di sviluppo delle proprie economie. Putin, favorevole alla rivoluzione verde più per motivi di consenso in patria che per convinzione – vuole attrarre i giovani che in Russia sostengono le ragioni della transizione e sono ostili alle sue politiche illiberali –  ha spostato la deadline al 2060. Data  condivisa da Xi Jinping che ha evitato di partecipare di persona al summit non a causa del Covid, ma per non incontrare direttamente i suoi omologhi occidentali, che accusa di essere stati i principali inquinatori. Il premier indiano Narendra Modi ha posticipato di ulteriori dieci anni, al 2070,  il target per le “net zero emissions”. Ognuno persegue gli interessi del proprio paese: la Cina intende raggiungere i livelli dell’economia del rivale americano e per questo si prevede che nel 2030 il consumo di combustibile fossile da parte del gigante asiatico toccherà il picco; l’India, impegnata a far uscire dalla povertà un terzo della sua popolazione, considera per ora un miraggio il passaggio alle energie alternative. E’ vero che i paesi ricchi hanno promesso 100 miliardi per aiutare quelli poveri a sostenere la transizione energetica, ma la cifra è molto al di sotto di quello che in realtà servirebbe. La strada è tutta in salita ma gli ecologisti sembrano non rendersene conto. A tutt’oggi, poiché i combustibili fossili costituiscono la fonte principale dell’energia utilizzata a livello globale, fissare aprioristicamente delle date non ha senso. Con i proclami non si riducono le emissioni, serve concretezza, cioè investimenti massicci nella scienza e nelle tecnologie. Eolico e solare non sono sufficienti e sistemi di accumulo, di cui parlano gli ambientalisti, ancora non esistono. Così, prospettano il ricorso all’energia di transizione ( gas naturale e metano). E per stare ai tempi, la lista si allungherebbe: idrogeno per la decarbonizzazione dei settori che producono acciaio, carta e cemento; sistemi di cattura, stoccaggio e riuso di CO2; ingresso di dimostratori della fusione nucleare. La rivoluzione verde ha dei tempi e un prezzo, e l’inflazione, che negli Stati Uniti ha superato il 4 per cento, crea preoccupazione tra coloro che ci vedono un collegamento con gli impegni presi sul clima più che sulle misure sanitarie e economiche conseguenti alla crisi del Covid-19.  A Berlino, il pacchetto “Fit for 55” volto al taglio delle emissioni del 55% entro il 2030, potrebbe richiedere un programma di indebitamento simile al Recovery fund. Intanto si attendono gli esiti della Cop26 di Glasgow. Vale comunque sempre l’invito a liberarsi della retorica apocalittica di chi prospetta scenari futuri da incubo.

 

 

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2 commenti su “Green deal: percorso a ostacoli…l’opinione di Rita Faletti”

  1. Che il pianeta potrebbe essere trattato meglio, non ci sono dubbi!
    La cosa che più mi da fastidio, è che vogliono farci sentire in colpa di avere abusato dell’ecosistema e che siamo noi quelli che inquiniamo, quando invece le stesse persone che ci hanno imposto il progresso e che oggi ci accusano, sono proprio quelle che si sono arricchite e oltretutto hanno dettato leggi per oltre un secolo. Oggi le stesse persone che si sono arricchite, vogliono far credere di salvare il pianeta obbligandoci (per i loro soprusi ecologici perpetrati) a pagare per loro. Vedi prezzo del carburante, energia elettrica e tutto quello che nell’ultimo secolo ci hanno donato per il nostro benessere apparente. Ora ci vogliono vendere le macchine elettriche, ma tutte le batterie esaurite che sono più inquinanti del carburante come li andranno a smaltire? Questo è solo un piccolo esempio di come vogliono spostare l’interesse al “green deal”!
    Perché in effetti di affari si tratta, e sennò perché Draghi & Company con la sua Europa siano tanto preoccupati per il pianeta?
    L’assenza di Xi Jinping e Putin (principali assenti) e tanti altri non è un caso, la loro non presenza è dettata dal fatto che il problema non è tanto il surriscaldamento del pianeta, ma la scusa per ratificare il mondialismo. Cioè ragionare e programmare unilateralmente secondo regole dettate da banche e multinazionali che come evidente, ormai governano la gran parte degli Stati, specie quelli Europei, e Draghi ne è l’organizzatore. Perché non deve pagare chi invece si è arricchito per oltre un secolo?
    Ricordiamoci che già a fine ottocento a New York esistevano le macchine elettriche, gli autobus e i monopattini elettrici donati dallo scienziato Tesla come invenzione donata al mondo intero, ma un certo Rockefeller (fondatore) fece in modo che non si parlasse più di questo e incominciarono i motori a scoppio per trarre enormi profitti. Oggi avremmo l’energia elettrica GRATIS e non parleremmo di inquinamento per idrocarburi. Ritornando al green economy, (perché di soldi si tratta) se Russia e Cina non sono stati presenti, non è perché insensibili al pianeta, ma perché si vuole utilizzare il clima per assoggettare tutti gli Stati ad un unico potere mondialista la quale strada facendo stanno perdendo colpi giorno per giorno. Putin come Xi Jinping non sono stupidi, come anche Trump a differenza di Biden, non lo è affatto. Stiamo parlando di nazioni sovraniste (l’America lo è anche non lo dimentichiamo) che non accetteranno mai un governo unico e universale governato solo da banche e multinazionali. Non a caso Trump davanti ad un’immensa folla di gente per la vittoria del governatore della Virginia Glenn Youngkin ha commentato:
    ” Il mondo libero deve abbracciare le proprie radici nazionali, non deve tentare di cancellarle o sostituirle, guardandoci intorno, ovunque su questo grande e magnifico pianeta, la verità è evidente…. se vuoi la libertà sii orgoglioso del tuo paese, se vuoi la democrazia, preserva la tua sovranità, e se vuoi la pace, ama la tua Nazione. I leader saggi mettono sempre il bene del proprio popolo e del proprio paese al primo posto. Il futuro non appartiene ai globalisti, il futuro appartiene ai patrioti, il futuro appartiene alle nazioni sovrane ed indipendenti e che proteggono i propri cittadini rispettando i propri vicini ed onorano le differenze che rendono ogni paese speciale ed unico”!
    Se tutto questo non è un chiaro, come non sono chiare anche le ultime dichiarazioni di Viganò e Ratzinger, cosa ci vuole per essere tutto cristallino?

  2. @Tonino Spinello
    In linea di principio sono convinta che nessuna nazione dovrebbe mai dimenticare le proprie radici. Così l’Europa, ma l’Occidente in generale, che arreca un danno enorme a se stessa se rinnega la propria Storia, il patrimonio culturale, religioso e umanistico che l’ha resa il luogo di origine delle libertà e la patria del diritto. Intellettuali, accademici e perfino storici si sforzano di sostituire la Storia con una narrativa immaginaria che a loro conviene, secondo la quale la cultura europea deve tanto al cristianesimo quanto all’islam. Fa ridere. Eppure, questa contro-verità è diffusa e fa da spalla al multiculturalismo che altro non è che un annacquamento della propria cultura e uno svilimento dei propri valori. Negli Stati Uniti gli esponenti del wokismo e della cancel culture mettono all’indice l’occidente e la sua Storia, carica, a loro dire, di colpe e crimini, perché valutata secondo i parametri morali di oggi, iniettando il virus del senso di colpa nei confronti delle minoranze. Ora, va bene riconoscere che le conquiste dell’Occidente non sono state indenni da soprusi, sfruttamento e violenze, ma certe forme di barbarie del passato andrebbero giudicate secondo i parametri morali del passato. E aggiungo che nessun paese può ritenersi immune dall’accusa di aver commesso soprusi e atti di violenza, che vengono perpetrati anche oggi in molti paesi del mondo senza che i “moralisti” alzino un ditino. Il problema serio è che si è ad un punto in cui la resilienza delle società occidentali è agli sgoccioli. Cina e Russia non aspettavano altro. Perché? Mentre noi ci preoccupiamo di difendere i diritti umani, a loro non frega niente. E concludo: Trump ha ragione.

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