
L’itinerario poetico di Maria Galluzzo, docente di Lingua e Letteratura francese originaria della Calabria ma residente a Scicli, si arricchisce di una nuova tappa.
Dopo le raccolte Viaggi dell’anima, Incanto Notturno e Venti, – ove i temi trattati, tra i quali la violenza sulle donne, l’introspezione come capacità di meravigliarsi, la ricerca del “fanciullino” che è dentro ogni uomo sulle orme del Pascoli, hanno offerto la sua testimonianza di adesione alla poesia come strumento per elevare il sentimento a luogo di bellezza – , adesso, con la nuova silloge Oltre il Tempo negato, Editrice Kimerik, 2021, prosegue nella sua ricerca interiore con una poesia maturata in questo tempo di pandemia, e che appare “una finestra” che si affaccia sulla profondità di una coscienza che vibra di sentimenti sinceri e palpitanti; la coscienza, chiaramente, della poetessa, che si esprime con una versificazione ricca di afflati interiori e libera da orpelli di intellettualismo alchemico; nei suoi versi la visione soggettiva delle cose si carica di valenze allusive che rimandano a qualcosa che è al di là di esse.
Maria Galluzzo è un’autrice dal verso breve, tenue, efficace e di forte impronta simbolista, grazie al quale riesce ad esaltare tematiche semplici all’interno di una visione del tempo come “spazio di senso” e “luogo di relazione” con se stessi e con gli altri. Il suo poetare è un “itinerario dell’anima” che trasfigura oggetti, cose e persone snodandosi, a volte, con un piglio ermetico, a volte diegetico e finalizzato ad interrogare la coscienza attraverso corrispondenze analogiche di forte impatto emotivo e aperte alla dimensione del sogno come luogo di rivisitazione e di rilancio dei valori essenziali dell’esistenza.
Nel suo poetare Maria Galluzzo si lascia trasportare dagli afflati di un poeta che ama molto, Ungaretti, e che aleggia nella sua versificazione come attesta l’epigrafe della raccolta: “non possiamo che partire dal mistero, quel qualcosa che non possiamo capire o afferrare”.
Il tempo e la categoria su cui poggia tutto il corpus poetico del suo libro, un tempo inteso non in senso cronologico, ma “kairotico”, secondo una prospettiva umanistico – fenomenologica. Ogni lirica mette infatti in relazione il pluriverso “tempo” con i diversi modi dell’anima, analizzando il concetto di “tempo opportuno”, “tempo della riflessione e delle scelte” così determinante per la crescita della persona.
Se il “tempo Kairotico” è dunque il tempo della vita nelle sue luci e nelle sue ombre, della socialità nel suo divenire fattuale, il “tempo negato” di Maria Galluzzo richiama il tempo pandemico, il tempo sospeso, il tempo della chiusura, della solitudine, dell’incertezza e della morte:
“Si è petali al vento, fluttuanti nel vago,
in cerca del Sole che attenui il tormento
in questo pallido marzo
che stenta la primavera.
Negato è il saluto ad ognuno,
non si può porgere un velo
a chi soggiace ignudo
in una fredda dimora”…
(Primavera austera)
“…Miseri e soli senza sepoltura
da voi sperata, come folata
di vento, inaspettata…”
(Folate di vento)
“…Le città dormono in un tempo
sospeso. I loro sguardi
limitati all’interno…”
(Primavera)
Il tempo, insomma, non è per la poetessa un’astrazione, ma un “luogo di significati” determinati dalla presenza dell’altro come essenza di dialogo e di reciprocità, un segmento finito e proteso sempre verso un “oltre” da raggiungere, come bene sottolinea l’autrice stessa: “…Solo colui che con virtù sopporta le amare traversie …attende saggio che il vento passerà; /poi sbalordito continuerà contento, /con la saggezza e la voce del cuore:/ sa che ad ogni pioggia il sole brillerà”, in Avversità.
La negatività del tempo le permette di poter operare un discernimento tra bene e male, tra passato, presente e futuro con un metalinguaggio che è già idea di fine; il tempo assume altresì nella sua versificazione una circolarità ermeneutica in base alla quale prende consapevolezza dell’imperfezione dell’uomo e del fatto che la temporalità è un modo di avvertire la realtà, è un modo che scaturisce appunto dalla sua imperfezione, per cui il passato viene visto come memoria, il futuro come aspettativa e il presente come percezione:
“Passato d’ombra
il viso tuo sul mio
nell’amorevole
e dolce nutrimento”…
(Ombra)
“…sì, attendi il tempo,
forse domani
il vento cambierà”.
(Affidamento)
“O terra, il mondo
si è stretto in un pugno!
Si è relegato nell’ombra.
Tace il suo animo muto.
Univoco e solo il suo grido:
si attende che passi l’inverno”.
(Terra)
L’orizzonte lirico di questi versi riproduce uno scavo interiore molto forte, è carico di un sentimento di ricerca che affanna la poetessa (“E cerco, cerco con affannosa pena, /in questo mare oscuro, incerto e opaco / una conchiglia nuova in cui confido…, in Albore); è attraversato da un senso di rammarico causato da quell’indifferenza esistenziale che caratterizza le relazioni umane:
“Vita,
in questo mondo strano e assorto vai
verso un’ostinata indifferenza…”
(Indifferenza)
Sono liriche, pertanto, quelle di Maria Galluzzo, che nascono da emozioni e da una progressiva osservazione della realtà di un tempo di solitudine e di crisi umana e sociale come quello della pandemia iniziata nel 2020; sono liriche che non mancano, tuttavia, di sperare nel giorno della rinascita:
“Verrà quel giorno che dentro ogni scrigno
ci sarà il sole,
e schiarirà le ombre tristi e oscure
che inattese hanno velato il cuore;
resteranno solo siluette
nude nel nostro cuore.
S’incroceranno come ghirlande
fili di pensieri e di speranze nuove.
S’incontreranno volti destinati:
saranno vita e linfa del domani”.
(Verrà quel giorno)
Si chiarisce via via, leggendo Oltre il tempo negato, come l’interesse tematico della poetessa si essenzializzi in una rivisitazione trasfigurativa del tempo caratterizzata da scelte formali e musicali delicate, da malinconia e nostalgia, da impressioni chiaroscurali e smarrimento, dal bisogno di fondersi con la natura. Si leggano a riguardo le liriche “L’allodola solitaria”, “Forse l’eterno sole è a te vicino”, “Passerotto”, “Stagioni”, “Prunalbo”, “Falce di luna”, ove il lirismo della Galluzzo tende a dare spazio a quegli attimi di luce attesi, a disegnare fili di speranza, a trasformare in slanci spirituali le sue sensazioni interiori, a fare della poesia la sua essenza di vita e di rigenerazione:
Frescura d’alba che rapisce la mente;
laghi dorati e tramonti inconsueti.
Parole nuove e voci soavi,
luce che filtra nei momenti bui.
Attimi intensi di libertà e stupore:
gioia suprema per chi l’occhio dona;
tutto è elevato per chi ti apre il cuore!
(Poesia)
Come un minatore, la poetessa scava dentro i segreti dell’anima e riesce a far venire su emozioni, pensieri, sentimenti, reazioni, sogni, dolori, desideri; costruisce, così, la parabola della sua spiritualità affidandosi ad un linguaggio caldo, denso di immagini, dove il limite si apre all’illimitato, lo smarrimento alla speranza, e la trasfigurazione dell’anima diventa il punto di osservazione per leggere l’esistenza umana: “…Muti si resta in questo limbo umano;/ umili e ignudi in un disegno oscuro., in Enigma.
C’è, così, una metafisica della parola che intreccia incanto e contemplazione, socialità e ragione, mistero e attesa, bisogni catartici e ansie di ripresa; la trasfigurazione lirica è sempre ispirata da una rivisitazione memoriale, da una attenzione alla storia che si consuma nell’anima come fiamma ardente e con il desiderio di trovare sollievo e di sublimare la mente nell’immenso: “L’animo tuo si presta ad ogni anelo, /sicché la mente s’innalza e si sublima nell’immenso: dove attimi eterni /plasmati a note d’oro del silenzio/ creano quel supremo che è sollievo, in Poeta.
Altre tematiche si dispiegano sul pentagramma lirico di questa silloge, come gli “affetti familiari”, il “ricordo” (“Robusta e forte tu ci accoglievi /sotto la chioma ampia come ombrello:/quando bambini rifugiavamo/ freschi pensieri./ Dolci trastulli in quegli anni lontani/ che nessun tempo ci distoglieva…”, in Quercia), il “mito della giovinezza”, con una versificazione ove anche il silenzio si fa contemplazione e l’anima sa mettersi in riflessione per trovare le ragioni di senso al travaglio dell’esistenza; e tutto ciò avviene con un linguaggio carico di allusioni, di metafore e di immagini che costruiscono un mosaico lirico nel quale sono racchiusi i flussi tematici e poematici di un sentimento che ricongiunge nella memoria il passato e il presente di un tempo “spogliato” delle sue “pietre preziose” e divenuto, attraverso il miracolo della poesia, narrazione di una quotidianità a filo d’anima e trascrizione del mistero della vita.
La poetessa ama certo la vita e la semplicità delle cose; il suo è un atteggiamento interiore che, interrompendo la quotidianità, riesce ad aprirsi, con il candore del fanciullo, alla luce di un raggio di luna, alla carezza di un sorriso, all’ultimo respiro del sole al tramonto.
Dentro queste impressioni coloristiche, ove si sviluppa quasi un rapporto di simbiosi con la natura, la poetessa stende il suo sguardo contemplativo e accoglie, di fronte all’immensità del creato, la sua finitudine.
La poesia di Maria Galluzzo procede, così, per impressioni uditive e visive, e costruisce immagini che decifrano i suoi stati d’animo, il suo sentire ora turbato ora sereno, le sue oscillazioni psicologiche ora intime ora sociali, con un linguaggio caldo, tenue, rarefatto e con un continuo alternarsi di stati di contemplazione o “idilliaci”, a momenti di riflessione e di meditazione; gli uni e gli altri si incontrano, si avvicendano e si sorreggono reciprocamente, dando vita ad una tessitura lirica ove sentimento e ragione esprimono la maturità interiore dell’autrice.
La protagonista della sua poesia rimane allora sempre la vita, quella che si crea e si distrugge, si apre al mistero, si nasconde e si rivela, si scontra con la sofferenza e il dolore “nello specchio dei giorni”; quella che resiste alle tentazioni della fragilità, quella che viene negata.
Una silloge, questa di Maria Galluzzo, che ci dà, per concludere, uno spaccato della vita di una “tempo negato”, con un registro lirico-autobiografico che sa elevarsi a una prospettiva universale, e contrassegnato, senza dubbio, da capacità immaginifiche e dal desiderio di comunicare le “voci del suo(mio) tempo”, come ella stessa dichiara nella poesia che chiude la raccolta:
Voci assordanti per vie rumorose,
sguardi inquietanti che appannano
il cielo.
Anime sole nel sospiro del vento
in cerca di cibo nel retaggio
d’amore.
Bianchi gabbiani mendicano il sole,
ambendo all’azzurro per non radere
il suolo.
Pianto di stelle nel tremolio del mare,
che rattristate lo vedono morire.
(Voci del mio tempo)