L’amministrazione Biden ha messo sul tavolo la crisi israeliana: 4 mesi di guerra, diverse migliaia di morti tra i civili palestinesi, 224 soldati israeliani uccisi, oltre 100 ostaggi nelle mani dei terroristi. In secondo piano, ma non per questo meno importanti, le implicazioni: il rischio che il conflitto si allarghi con effetti incontrollabili e il lavoro incessante di Teheran che dietro le quinte organizza e coordina gli attacchi contro l’occidente per fiaccarne la resistenza psicologica e minarlo nei suoi interessi commerciali. Dallo scorso novembre, le navi container provenienti dal Golfo di Aden e che attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb entrano nel Mar Rosso, sono nel mirino degli Houthi, il gruppo yemenita legato all’Iran che i bombardamenti anglo-americani non sono riusciti a fermare. Vedremo se anche gli avvertimenti di Pechino, “I nostri rapporti commerciali subiranno delle conseguenze”, oltre alle recenti minacce di Biden, avranno efficacia. La guerra a Gaza, scatenata dal pogrom del 7/10 nel sud di Israele e che Netanyahu ha più volte detto di considerare conclusa solo con la distruzione di Hamas e della città sotterranea, potrebbe essere troppo lunga. Il nemico è più forte di quanto si credesse e profondamente radicato nella società civile palestinese. Controlla tutto, dai curricula nelle scuole, al personale medico e sanitario negli ospedali alla partecipazione attiva nel terrorismo. Il direttore esecutivo di UN WATCH, la Ong con sede a Ginevra che ha la funzione di monitorare l’operato delle Nazioni Unite, Hillel Neuer, ha rivelato che l’Unrwa, agenzia per i profughi palestinesi, è legata a Hamas e il 23 per cento dei suoi dipendenti è complice del gruppo terroristico, come provano le chat interne su Telegram. Alcuni hanno partecipato all’assalto del kibbutz Be’eri (97 uccisioni, 26 rapimenti). “Sono inorridito” ha detto Guterres, che aveva respinto ogni addebito e dopo la pubblicazione su Twitter dei nomi dei membri conniventi con Hamas ha dovuto cedere. La verità, nascosta con cura dalla rete di coperture fornita dall’Onu è venuta a galla con tutto il suo marcio, motivo per cui nove paesi tra cui l’Italia hanno sospeso i finanziamenti all’Unrwa. In questa situazione, gli Stati Uniti, consapevoli che affidare a israeliani e palestinesi la soluzione dei due stati, fino a qualche tempo fa creduta possibile, sia ora irrealizzabile, stanno pensando di riconoscere uno Stato palestinese. Si tratta della conclusione di un intenso sforzo diplomatico teso a coinvolgere tutti i paesi della regione. Agli inizi di gennaio, infatti, si è svolto a Teheran un incontro tra iraniani e sauditi per discutere una “proposta segreta” di Biden, una “grande soluzione” con un approccio ampio di cui il presidente americano chiedeva il parere alle due parti. La finalità era evidentemente quella di sondare il terreno per capire quanto il pogrom del 7 ottobre e la guerra avessero inciso sullo stato precedente delle cose e se il dialogo avviato tra Israele e Arabia Saudita in previsione degli accordi di Abramo potesse essere ripreso senza che l’Iran si opponesse. Hamas, infatti, oltre che provare a mettere a terra il suo piano di distruzione dello stato ebraico, intendeva far naufragare quel progetto di distensione. Che non è tramontato. Nonostante la semidistruzione di Gaza, l’Arabia Saudita non ha rinunciato alle relazioni diplomatiche con Israele, se e quando Israele dovesse accettare la soluzione dei due stati, cioè la nascita dello Stato palestinese, e Teheran non ha fatto dichiarazioni pubbliche contro il principe bin Salman quando Blinken ha annunciato che Riad era ancora disponibile a riprendere il dialogo interrotto. Nel messaggio di Biden era forse esplicita la richiesta di non schierarsi contro la soluzione dei due stati e la normalizzazione araba con Israele, che dovrebbero procedere in parallelo. In cambio, la fine della fase più intensa della guerra e la presa di distanza di Washington dalle posizioni più rigide di Netanyahu sul dopoguerra. Sottintesa o espressa la demilitarizzazione di Gaza e l’esclusione dell’Unrwa da qualunque progetto. Si è aperto uno spiraglio.