La scrittura è, senza dubbio, un atto creativo: chi scrive fa parlare il proprio cuore, l’uomo, la storia, la società, i fatti e perfino le pietre.
Scrivere è un atto di comunicazione: chi lo fa, non può essere infatti un freddo trasmettitore di notizie, una tromba che emette suoni, ma un uomo che va oltre la comunicazione, specie se si tratta di un sacerdote, e che offre un contenuto denso di valori, di idee e ricco di messaggi.
Umberto Bonincontro ha fatto della parola sia orale che scritta, nel corso del sui 59 anni di vita sacerdotale, un uso profetico, mostrandosi una personalità poliedrica: sacerdote, parroco, docente di varie discipline come la sociologia religiosa, la storia delle religioni, le comunicazioni sociali; e ancora un giornalista, un appassionato comunicatore della fede che ha usato la scrittura non solo per “informare” ma soprattutto per “formare”, per evangelizzare, per formare ad una cultura della verità e della comprensione della realtà sociale e religiosa nelle sue dimensioni più profonde e complesse.
Gli “scritti scelti” contenuti nel volume “Dalla Parola alla parola” curato da Piergiorgio Barone, ne sono una testimonianza che offre il percorso di vita sacerdotale, di vita culturale, sociale, ecclesiale di don Bonincontro, collocato dentro uno spazio temporale: quello della Diocesi di Noto, della città e della chiesa di Modica.
Direi che Umberto Bonincontro rappresenta una “fonte storica” di fatti e avvenimenti che hanno caratterizzato la città di Modica e la Diocesi di Noto: il secondo Sinodo e il cammino di evangelizzazione e catechesi della comunità diocesana, la missione popolare, la religiosità , le luci e le ombre di una Chiesa che ha cercato sempre il rinnovamento, le contraddizioni della politica locale e nazionale, i temi della giustizia, dell’economia, della solidarietà e del volontariato, i corsi biblici e di storia delle religioni, i ritratti di testimoni della fede, etc…; insomma una fonte cui si potrà fare riferimento per conoscere un sacerdote che lascia la scena di questo mondo, direbbe San Paolo, e che s’è rivelato essere “l’uomo che pensa, riflette e scrive”, e poi il sacerdote, il pastore di anime, il giornalista attento e sensibile che crede in una comunicazione massmediale finalizzata a far risaltare la verità e la giustizia del vangelo.
La dinamica della pastorale di un sacerdote attento alla vita
La lunga esperienza pastorale di Umberto Bonincontro è stata sempre radicata in una attenta riflessione teologica che ha spaziato attorno a nuclei tematici riguardanti la fede, l’evangelizzazione e la catechesi, il rapporto tra presbiteri e laici, la religiosità popolare, la famiglia, il servizio della carità. Dai sui scritti emerge come i frutti che egli ha tratto dall’evento sinodale, dalla missione popolare del vescovo emerito Mons. Giuseppe Malandrino fino a giungere alla Visita Pastorale del vescovo Mons. Antonio Staglianò, siano stati quelli di incarnare non la “pastorale del tempio” , né una ecclesiologia di conservazione, ma una pastorale kerigmatica proiettata in un orizzonte missionario: così , infatti, Bonincontro dice con chiarezza in un suo scritto:
“… una Chiesa ‘cittadella assediata’ o dirimpettaia della città degli uomini, una chiesa sicura di sé e tronfia delle conquiste fatte, una chiesa portata a giudicare e dividere gli uomini in buoni e cattivi, più preoccupata delle ideologie che delle persone, una chiesa che non sa cogliere i “semina verbi” abbondantemente sparsi nella storia, una chiesa comunità-ghetto di eletti, una chiesa tutta dedita ad un culto senza anima, non ha nulla da dire all’uomo di oggi perché non è fedele a Dio …”.
Quella che emerge da questo suo pensiero più o meno condivisibile, è insomma una pastorale che supera la tendenza al cultualismo e alla sacramentalizzazione; la sua è stata una pastorale intesa come “servizio evangelico e incarnazione della comunità cristiana nell’hic et nunc della storia; è stata una pastorale che ha toccato non soltanto la Chiesa “ad intra”, ma anche la Chiesa “ad extra”; è stata una pastorale da cui è trasudato il forte bisogno di una missione della comunità ecclesiale da realizzarsi nella fedeltà a Dio e all’uomo, non perdendo di vista la prospettiva dell’incarnazione.
La spiritualità come “anima dell’agire”
Il radicamento nella spiritualità evangelica è un secondo dato emergente dal pensiero e dalla scrittura di don Bonincontro. Egli ha spezzato alle sue comunità pastorali la Parola di Dio ricorrendo, fra l’altro, alla “Lectio divina”, ad approfondimenti sul “credo”, a insegnamenti sul valore dell’Eucaristia come “sacramentum caritatis”, a catechesi spirituali sulla misericordia e sulla teologia della croce con riflessioni, in particolare, sul Venerdì Santo e sulla resurrezione.
Le sue argomentazioni sulla spiritualità, in qualche passaggio dei suoi scritti, sono molto critiche e discutibili, e precisano che “anche la vita spirituale, come spesso è intesa, misconosce il Vangelo e si alimenta di filoni di pensiero per lo più medievali. Ancora fortemente sperimentati e suggeriti dai direttori spirituali. Filoni di cui si nutrono tante esperienze religiose oggi di moda”.
La prospettiva che don Umberto Bonincontro ha cercato di capovolgere è stata quella di una contrapposizione tra spiritualità e corporeità: in un suo testo afferma infatti che “La spiritualità del Vangelo non è in conflitto con la gioia, ma, anzi, la potenzia. Spiritualità e felicità non sono in conflitto, anzi la spiritualità potenzia la felicità. Gesù dà una svolta alla concezione di spiritualità.”
Questo spiega il perché di una spiritualità intesa come “anima dell’agire cristiano” in conformità alla volontà di Dio, spiritualità che don Bonincontro individuava nelle figure di alcuni testimoni della fede sia a lui vicini sia di respiro più ampio: Giovanni Paolo II, Madre Crocifissa Curcio, la beata contemplativa; Mons. Salvatore Nicolosi, Mons. Giuseppe Malandrino, Don Paolo Ruta, prete scout, fino al neo eletto Papa Francesco.
Di Madre Crocifissa, per esempio, scriveva che “ha raggiunto le vette della santità percorrendo come Teresa del Bambino Gesù la via dell’infanzia spirituale. Non ha compiuto gesti eclatanti ma è stata una contemplativa (don Tonino Bello) facendo sintesi. La santità consiste nel vivere le beatitudini e nel compiere le opere di misericordia, ed è ciò che ha fatto Madre Crocifissa”.
Di Giovanni Paolo II , invece, evidenziava come egli abbia “ potuto ben dire con S. Paolo non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me, e ancora, completo nel mio corpo ciò che manca alla passione di Cristo…. La sua grandezza sta dunque nella sua santità …”
Parole di sincero apprezzamento esprimeva Bonincontro anche per Mons. Salvatore Nicolosi, vescovo emerito netino che diede un forte impulso ad una spiritualità missionaria sollecitando l’uso dei mezzi di comunicazione sociale , atteso che – scriveva lo stesso Mons. Nicolosi nella sua Lettera pastorale “Chiesa in cammino con Maria” del 1988 – il “Portare ad ogni uomo attraverso i mass-media il lieto annuncio della salvezza operata da Cristo, è oggi per i discepoli di Cristo, Profeta, Parola e Rivelatore dell’amore del Padre, non solo inalienabile diritto, ma anche urgente dovere”.
La stessa spiritualità missionaria avvertiva anche nella descrizione della figura di Mons. Giuseppe Malandrino, la cui “prima grande intuizione è stata quella di mettere la Chiesa di Noto in stato di missione come atteggiamento consequenziale del Sinodo che, celebrato qualche anno prima, aveva bisogno di essere tradotto nel tessuto vitale delle singole realtà ecclesiali…”.
Il giornalista: la comunicazione sociale e la ricerca della verità
Un terzo versante del cammino umano e sacerdotale di Bonincontro è stato sicuramente quello della comunicazione come fatto sociale, come fatto antropologico, come fatto ecclesiale. Del resto per tanti anni ha anche svolto il compito di Direttore dell’Ufficio delle comunicazioni sociali della Diocesi di Noto. L’idea madre del pensiero di don Bonincontro era la constatazione che l’avvento della cultura dell’informazione ha trasformato i mezzi della comunicazione nel “primo areopago dei tempi moderni” nel quale l’interscambio di valori e di idee è costante:
“Oggi per annunziare il Vangelo all’uomo in situazione – sosteneva Bonincontro – non si possono ignorare i mass media. L’annuncio, perché raggiunga l’uomo d’oggi, deve tenere presente le categorie della cultura a cui appartiene; non si tratta solo di utilizzare i media ma bisogna penetrare nel profondo del loro essere per comprenderne le strategie e impadronirsi delle tecniche che ne sono alla base”.
Prendere coscienza del valore dei mass media in una società globalizzata ed educare al buon uso di essi perché “decisivi per la missione evangelizzatrice della Chiesa”, costituivano per don Umberto Bonincontro le due linee di movimento della sua azione umana ed intellettuale, della sua convinzione pastorale e teologica, atteso che “la comunicazione per la chiesa non è un lusso, ma è la sua stessa missione. Dal punto di vista teologico la Chiesa esiste perché Dio in Cristo ha comunicato con l’uomo. Cristo poi l’ha voluta come sacramento di comunione degli uomini con Dio e tra di loro. Compito fondamentale della Chiesa è dunque comunicare l’annuncio di salvezza, cioè evangelizzare”.
Don Bonincontro era sempre “dentro la notizia, i fatti e le opinioni”; era un giornalista che si sforzava di rendere la comunicazione massmediale un servizio alla verità, quella verità che – direbbe il filosofo Spinoza – cerca né di piangere né di ridere ma di “intelligere”, cioè leggere dentro la realtà e i fatti della società e della storia per tentare di capirli; quella verità che sa dire le cose relativizzandole e mettendole nel giusto contesto, nella luce problematica che esse presentano.
Il Bonincontro giornalista era molto critico nei riguardi della manipolazione della notizia, della giustizia spettacolo che opera “inevitabilmente un linciaggio morale da parte dei mass-media lesivo della dignità delle persone indagate, e che mette sotto i piedi il principio costituzionale della presunzione di innocenza fino alla celebrazione del processo”. Da sacerdote giornalista focalizzava la sua attenzione su tematiche sociali molto complesse come la guerra, la sanità e la malasanità, il rapporto conflittuale tra Chiesa, fede e politica, le problematiche urbanistiche e le lottizzazioni selvagge, l’uso del potere politico come mezzo di dominio e non di servizio, la malavita organizzata, il lavoro e l’apertura dei centri commerciali nelle festività, la privatizzazione dell’acqua, la scuola, la giustizia e la legalità.
Nei suoi scritti giornalistici si trova la luminosa testimonianza del fatto che c’era in lui la tensione viva e decisa al rispetto dell’etica della comunicazione, atteso che esiste il diritto della persona a non essere ingannata, per cui ogni forma di comunicazione consapevolmente mossa da intenti menzogneri, nel senso che assolutizza , riduce, deforma, nasconde , commenta faziosamente le cose da dire , rappresenta una violazione dell’etica professionale dell’operatore della comunicazione e un atto di lesione della dignità della persona e della qualità della vita sociale.
Certo, il giornalista Bonincontro era cosciente del fatto che non esiste una piena ed assoluta obiettività, e in certe sue stesse interpretazioni delle notizie se ne evidenziava il limite, tant’è che alcune sue posizioni, sia in campo sociale e politico che all’interno della vita ecclesiale, facevano discutere e, spesso, provocavano divisioni perché i suoi scritti, sempre legati alle istanze di cambiamento del Concilio Vaticano II , in alcuni casi si allineavano su posizioni teologiche critiche verso il Magistero della Chiesa, mettendolo, così, in vivace dialettica con suoi confratelli presbiteri e con i laici.
Certo è che l’immagine che ci resta di Don Bonincontro è quella di un sacerdote che – direbbe S.Agostino – ha vissuto la sua vocazione volando con tutte e due le ali: una legata a Dio, l’altra ai fratelli; l’immagine di un sacerdote attento ai segni dei tempi, di uno scrittore con le antenne sempre alzate e pronte a captare segnali; dell’uomo che è sceso nei quartieri della sua città, che ha accolto tutti, che ha condiviso lotte, fatiche e gioie specie con le persone ultime e con gli extra comunitari.
La produzione scrittoria che lascia, rappresenta un “patrimonio” spirituale e intellettuale, etico e di fede dentro il quale emerge la sua storia sacerdotale di prete-pastore che ha avuto cura del popolo di Dio; che ha annunciato la Parola, amministrato sacramenti, confortato, incoraggiato, ripreso e usato la verga; e ancora, che non si è mai stancato di indagare la vita, di leggere i fatti della storia e della Chiesa, di cimentarsi nella ricerca e nell’approfondimento di problematiche teologiche, sociali e politiche; che ha infine mostrato il pieno possesso degli strumenti per “essere e fare” il giornalista. La “parresia” (franchezza e coraggio) è stato l’elemento che ha mosso la scrittura di Bonincontro, per il quale possono sicuramente valere le conclusioni cui giungeva Seneca in sua epistola: “quod sentimus loquamur, quod loquimur sentiamus” (Epist. 75, 3-4), cioè, “quello che pensiamo, diciamolo, quello che diciamo, pensiamolo”.
La produzione scrittoria di Umberto Bonincontro, per concludere, rappresenta l’orizzonte di un pensiero in cui si intrecciano l’ umano e il divino, e si offrono come la voce di un “ermeneuta del suo tempo” che ha sempre rivolto il suo interesse verso le cose realmente accadute, verso il documento. La sua scrittura, sia nel linguaggio che nella tecnica scrittoria, è andata sempre oltre il “convenzionale generico” e la mistificazione della verità; per Bonincontro fare conoscere le cose così come stanno, anche le meno gradevoli, ha costituito di per sé un fatto etico, un atto di profezia.
Nei suoi scritti, specie quelli di carattere teologico-pastorale, don Bonincontro si è sforzato sempre di cogliere quella che Vittorini chiama “realtà maggiore”, cioè i valori esistenziali a dimensione universale e perenne che i fatti contengono in sé, al di là della loro mera apparenza; quella “realtà maggiore” che esprime valori umani e cristiani, sentimenti e idee, emozioni di speranza e di insofferenza degli uomini e dei credenti in genere.
Bonincontro ha guardato “la storia e la chiesa in situazione”, e lascia, con i suoi scritti, una “finestra aperta” sulla vita religiosa, ecclesiale, sociale, politica ed etica del tempo da lui vissuto, dalla quale, senza moralismi e polemiche fini a se stessi, ha annunciato il vangelo di Cristo lanciando un messaggio non semplicemente rappresentativo del reale, ma carico di nuove domande, sui cui si potrà ancora riflettere in avvenire nella chiesa locale.
Buon Viaggio, don Bonincontro ad Deum!