1.La poesia nel naufragio contemporaneo
La prima puntata di questa rubrica ha fatto registrare, al momento in cui scrivo, 1154 letture. Nel ringraziare tutti i lettori, ecco una seconda tappa delle nostre riflessioni. Se guardiamo oggi il nostro tempo, è sotto gli occhi di tutti che esso presenta, al di là di tante positività, parecchie caratteristiche negative che, poeticamente, faccio convergere nella metafora del naufragio. Quello che viviamo oggi, infatti, è il tempo dell’individualismo; è il tempo del nichilismo: tutto è relativo, tutto è un fluire mutevole, non ci sono valori uguali per tutti, paletti di riferimento ; c’è una disgregazione valoriale e culturale che ha messo in discussione la ricerca della verità; non c’è più una moralità oggettiva, ma ognuno ha la propria verità, la propria idea di morale in base alla quale il bene e il male sono divenuti interscambiabili.
E’ ancora il tempo della frammentazione e della segmentazione: tutto è frammento, segmento; se tutto è frammento, segmento, non serve più la storia, il passato, la memoria; vale per l’uomo d’oggi solo l’attimo che riesce a cogliere, il segmento esistenziale che può dare la gioia del momento, che può soddisfare la voglia di effimero.
Quando tutto diventa segmento, immediatezza, non serve più domandarsi chi sono, da dove vengo, chi era mio nonno, cosa faceva, dove vado, ci sarà un futuro, come sarà, cosa posso fare per renderlo migliore, per quali idealità devo impegnare la mia vita. Insomma, quello di oggi, è il tempo del naufragio: naufragano le relazioni tra uomo e donna, tra genitori e figli, tra marito e moglie; tra giovani e adulti; tra datori di lavoro ed operai, tra nazioni, tra popoli e culture e tra le religioni.
E’ il tempo del naufragio delle istituzioni: politica, aggregazioni sociali, culturali, sindacali, religiose, partiti, scuola; è il tempo del naufragio delle motivazioni, dei sentimenti e nel quale si avverte malessere, conflitto, mancanza di pace interiore; è il tempo del naufragio della coesione sociale: viviamo di conflitti, scontri, polemiche, insulti, aggressioni verbali, fisiche. E’ il tempo dei vaffa…E allora mi domando: perché tutto questo? Dove è da ricercare la causa di questo naufragio spirituale, relazionale, sociale, morale? E la poesia può dire qualcosa?
Già Montale prefigurava questo tempo della post modernità in una sua poesia quasi mai spiegata nelle scuole:
Incespicare, incepparsi
è necessario
per destare la lingua
dal suo torpore.
Ma la balbuzie non basta
se anche fa meno rumore
è guasta lei pure.
Così bisogna rassegnarsi
a un mezzo parlare.
Una volta qualcuno parlò per intero
e fu incomprensibile.
Certo credeva di essere l’ultimo
parlante. Invece è accaduto
che tutti ancora parlano
e il mondo da allora è muto.
(Da: Incespicare)
Montale evidenzia in questi versi due modalità del parlare: il “mezzo parlare” e il “parlare per intero”. L’ultimo Montale in effetti avverte che la causa dell’incomunicabilità e della solitudine, del male di vivere, che oggi chiamiamo nichilismo, relativismo, naufragio morale va ricercata nel fatto che l’uomo si è illuso di “parlare per intero” e di avere la verità in mano, mentre in realtà il suo è stato e continua ad essere un “mezzo parlare” che ha reso “muto” il mondo, cioè incapace di comunicare, a differenza del parlare di quel “qualcuno (che) una volta parlò per intero” e del quale l’uomo della post modernità ha voluto che si tacesse in quanto non afferrabile, misurabile e verificabile.
L’uomo del nostro tempo parla, parla, parla, urla, urla, urla, sembra avere la presunzione di volersi sostituire a colui che “credeva di essere l’ultimo parlante”, al “Verbum caro factum est”, al kai o logos sarx egeneto , e con questa opera di presunzione ha innalzato muri di incomunicabilità tra gli uomini, tra i popoli, al punto che dall’ “ultimo parlante” ad oggi il mondo è divenuto “muto”. Il poeta di oggi è un parlante che parla a chi? E per dire cosa?
Rispetto a questo, bisogna chiedersi che senso può avere il poetare, a che cosa serve un poeta, supposto che a qualcosa serva.
2.La poesia, “il salvagente”. Il poeta, un “ricostruttore” tra sofferenza e profezia.
E allora visto che la parola è fondamentale nella poesia, mi chiedo: a che serve un poeta, supposto che a qualcosa serva? La poesia, certo, non è un mestiere né un passatempo, ma un senso nella storia dell’umanità l’ha sempre espresso e tale senso ne ha impregnato il divenire, disegnato le coordinate, come si rileva dalla testimonianza dei grandi poeti della storia della letteratura.
Il poetare contemporaneo potrà continuare ad avere un senso se aiuta l’uomo a cercare un “oltre” ove sia presente “il parlare” di colui che “una volta parlò per intero”, nonché a trovare un “varco soteriologico” che sia capace di avvicinarlo alla Trascendenza, alla ricerca del Mistero, orizzonti, questi, importanti anche se non esclusivi.
Se è vero, come è vero, che la poesia non è un “prodotto”, una merce deperibile, un oggetto di mercato che il tempo usura; se è vero, invece, che la poesia è un atto dello spirito e la sua voce un messaggio di riflessione dal quale nascono domande che il poeta pone anzitutto a se stesso, e, quindi, a tutti, allora è altresì vero che tali domande che egli fa risalire dall’abisso potranno essere oscure, ma indipendentemente dal fatto di essere comprese, non smetteranno di esercitare una forte influenza nella vita sociale.
Insomma, io credo che nel mondo globale contemporaneo la poesia debba potersi connotare per la sua visione “soteriologica e ri-costruttrice” , vale a dire per quella prospettiva ontologica grazie alla quale la parola poetica diventa “atto profetico” in grado di aiutare l’uomo a leggere dal di dentro se stesso, i suoi rapporti con l’altro, con la società: la poesia deve – e mi avvalgo delle parole sempre attuali di Quasimodo- “ri-fare l’uomo dentro”: questo è il problema capitale! – affermava il Premio Nobel. Chiaramente non in senso morale, perché la morale non può costituire poetica”. E allora a che serve un poeta e di quale poeta ha bisogno il nostro tempo? Di scrittori di versi ce ne sono parecchi, ma credo che siamo nell’attesa che riemergano e nascano “poeti visionari e ricostruttori”, non come fondatori di correnti, ma come portatori di nuovi linguaggi, di nuove forme di incarnazione filosofica del pensiero capaci di “fare scuola” e lasciare un segno nel percorso letterario del nostro tempo.
Chi è allora il poeta? Il poeta è colui che con i suoi versi deve entrare dentro le macerie interiori della vita per ricostruirla, rianimarla; occorre il passaggio dal poeta che descrive o canta la vita al poeta che “ri-costruisce e che butta un salvagente per aiutare l’uomo a salvare la vita” come si legge in alcuni versi di Kahlil Gibran:
“La poesia è il salvagente
cui mi aggrappo
quando tutto sembra svanire.
Quando il mio cuore gronda
per lo strazio delle parole che feriscono,
dei silenzi che trascinano
verso il precipizio…”.
Il poeta è un ricostruttore, e la sua poesia, nel nostro tempo, è chiamata a suscitare domande di senso sulla necessità per l’uomo di “ritrovare l’anima” rubata da relazioni di solitudine e dall’imperante nichilismo e materialismo. E’ all’interno di questa visione che, secondo me, occorre aprire un nuovo orizzonte dentro il quale orientare la poesia del nuovo millennio, quasi con l’intento di determinare il passaggio da una “poesia elitaria”, cioè letta da pochi, ad una “poesia per tutti” e capace di contribuire ad innalzare il livello qualitativo dell’uomo del nostro tempo.
Oggi, a mia avviso, c’è bisogno di una poesia che si faccia ponte di unione non solo con la “mens” ma soprattutto con l’ “interioritas” di chi la legge , che si faccia veicolo capace di dire parole non “sulla” vita, ma “di” vita. Una poesia che si offra alla realtà contemporanea quasi come una sorta di nuovo “veltro” di sapienza, amore e virtù di dantesca memoria, una via di salvezza, una luce, una speranza, una profezia capace umanizzare il pianeta.
L’incontro tra “interiorità e realtà” costituisce il segno di poetica nella direzione di un nuovo umanesimo, poetica che supera una certa “cifra di razionalismo” dispiegandosi come canto alla Bellezza nel secolo del rapporto conflittuale fra poesia e trascendenza, come meditazione sulla fragilità delle emozioni essenzializzata in una “spiritualità dell’esistenza” che va oltre i confini della confessionalità e che fa proprio il turbamento di un tempo che si lacera tra essere e avere, tra l’apparire e il bisogno di comunicare, fra la contrapposizione tra il Nulla e l’Essere. E in questo quadro di assunzione della vita, la scrittura poetica può diventare una luminosa testimonianza ed avventura della persistente “circolarità ermeneutica” tra simbolo e realtà, analisi del fenomeno esperienziale e sogno, ascolto dell’emozione e cifra lirica./2 –Continua