Per parlare ai giovani serve la musica, questo capirono i grandi partiti in Italia negli anni Ottanta. Da lì partirono diverse storie, con la Democrazia cristiana che sposa e sponsorizza la disco music e il Partito comunista la musica impegnata e i cantautori, fermo restando la centralità dello show come elemento comune che precorre quello che poi sarà il linguaggio del Berlusconismo. E’ questo il quadro tracciato da Alessandro Volpi, professore di storia contemporanea al dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Il libro è un viaggio che dura un anno, il 1980, una data simbolica che segna un punto di svolta. Per la prima volta in maniera organica, la politica cominciò ad occuparsi di musica e in Italia, dopo le contestazioni del decennio precedente, tornarono i concerti dei grandi artisti internazionali e dei cantautori. Un elenco di certo non esaustivo comprende Francesco De Gregori, Edoardo Bennato, Roberto Vecchioni, Angelo Branduardi, Lucio Dalla, Francesco Guccini, Pino Daniele e Vasco Rossi e per quanto riguarda gli stranieri i Ramones, gli Stranglers, Peter Tosh, Roxy Music, Iggy Pop, i Police, i Clash e Lou Reed. “Pci e Dc sembravano diventarono a tutti gli effetti grandi organizzatori di concerti, a partire dalla Feste dell’Unità e da quelle, neonate, dell’Amicizia – spiega Alessandro Volpi – i gusti popolari andavano coltivati, non c’era più spazio per gli snobismi e per le pedagogie elitarie”. Questo comportò per il Partito comunista di celebrare la musica del momento cancellando buona parte delle “liste di proscrizione” che erano cominciate addirittura con Elvis Presley, e per la Democrazia Cristiana l’abbandono dei tradizionali moralismi accettando la seduzione della dance music, in nome di un divertimento capace di sottrarre i giovani, e non solo, alle più noiose produzioni culturali di Sinistra. “Era iniziata una battaglia politica – conclude Volpi – che però né la Democrazia Cristiana né il Partito Comunista avrebbero potuto vincere dopo la discesa in campo del signore delle televisioni private che aveva messo a sistema quella grande evasione”.
di Giannino Ruzza