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1992: strage di Capaci, ricordando Falcone… di Domenico Pisana

Tempo di lettura: 2 minuti

Il 23 maggio è la giornata in cui si ricorda la strage di Capaci, avvenuta in Sicilia nel 1992 e in cui fu assassinato dalla mafia il giudice Giovanni Falcone. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Io penso che questa giornata sia utile a non far dimenticare, ma deve al contempo evitare la “retorica del ricordo” per stimolare, invece, nuove prospettive di impegno di lotta alla criminalità mafiosa e a tutta la sua rete.
E si tratta di quella rete dove la mafia si nasconde dietro la circolazione del denaro, attraverso alcune attività ben precise e che sono, secondo i dati del rapporto dell’Associazione Libera dell’ottobre 2018, il traffico di stupefacenti (59%), la turbativa di appalti (27,9%) il lavoro irregolare (24,5%), l’estorsione(23%) , la corruzione dei funzionari pubblici(21,5%), il riciclaggio di denaro(20,6%) e lo sfruttamento della prostituzione(20,0%);
E’ necessario che dal ricordo della strage di Capaci nasca in tutti un nuovo slancio di impegno politico, sociale, civile e culturale, impegno che deve tendere a fare piena luce sul piano dell’indagine giudiziaria e che deve affondare le radici nella filosofia di pensiero sulla mafia espressa dallo stesso Giovanni Falcone in molti suoi discorsi e in alcune frasi più celebri di cui ne evidenziamo alcune (Younipa.it – blog dell’Università e della città di Palermo):

“Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.”

“Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.

“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

“Il dialogo Stato-mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti Stato, ma piuttosto una organizzazione parallela”.

Questo citazioni implicano che per combattere la mentalità mafiosa è necessaria una rifondazione etica del senso e del valore della cittadinanza attiva, che va recuperata non solo con esempi di vita in prima persona come nel caso di Falcone, ma soprattutto con l’attività educativa e culturale; e qui, sono di grande lezione le parole dello scrittore Gesualdo Bufalino, il quale affermava che “La mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari”.
E che ci sia bisogno di un forte processo educativo e culturale per sconfiggere le mafie, emerge dai dati della citata indagine dell’Associazione Libera, dati che dicono che le mafie non sono percepite solo come un fenomeno del Sud: c’è un 74,9% di italiani che considera la presenza delle mafie un fenomeno globale, il che dà ragione a quanto già intravedeva il grande don Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano, allorché scriveva che “La mafia diventerà più crudele e disumana. Dalla Sicilia risalirà l’intera Penisola per forse portarsi anche al di là delle Alpi”.
Certo, affermare che le mafie sono una presenza globale, rischia di renderle meno riconoscibili, invisibili e più distanti, e di renderle altresì percepite come meno pericolose, ragion per cui c’è ancor più bisogno di uno slancio educativo e culturale per combattere il fenomeno. Penso a quanto diceva Peppino Impastato in un dialogo del film del 2000, “I Cento Passi”, diretto da Marco Tullio Giordana e dedicato proprio alla vita e all’omicidio di Peppino Impastato, attivista impegnato nella lotta alla mafia nella sua terra di Sicilia:

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità… ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.

In questa acutissima interpretazione di Impastato, è bellezza la giustizia, è bellezza la legalità, è bellezza l’impegno civile e sociale; è bellezza la ricerca della verità, la correttezza, la moralità. L’educazione alla bellezza dovrebbe diventare la spina dorsale di un rinnovato senso civico: insegnare la bellezza è infatti un potente antidoto contro la cultura della corruzione e della furbizia, e costruisce un’alternativa all’omertà tipica dei territori dominati dalle organizzazioni mafiose.
La bellezza, che richiama la Bellezza divina, ha certamente in sé il potere di cambiare nel profondo, ma non bisogna temere questo cambiamento perché la bellezza, una volta che si è compresa, appare come tenue fiore dal profumo delicato e porta in sé la forza dell’amore, che non offende, ma esalta la libertà.
Il problema in Italia è allora che dobbiamo tutti imbarcaci sulla Nave della Legalità: scuola, Istituzioni politiche, sociali, militari e religiose, mondo dell’informazione, organizzazioni di volontariato, culturali ed educative. Se la nave della legalità affonda, affondiamo tutti: le scialuppe di salvataggio non basteranno. Per arrivare insieme su un porto sicuro, dove la mafia, l’illegalità, il crimine, il terrorismo, l’intolleranza possano essere sconfitti, abbiamo bisogno che tutte le Istituzioni dello Stato, e principalmente la scuola, si adoperino per indirizzare le generazioni di oggi nel solco dell’alto impegno civico e morale, della giustizia e della solidarietà.
Nel chiudere questo ricordo della strage di Capaci, voglio dedicare a Falcone e a Borsellino questi miei versi, per dire che “di verità si muore e si risorge”.

NON SVUOTEREMO I SIMBOLI
(a Falcone e Borsellino)

Se ombre di veleni e raggi d’alba
annebbiati da foschie schiudono voci
di lamenti negli acquitrini di parole
divenute pietre che lapidano l’anima

non ci piegheremo ai tentacoli della notte
né chiuderemo nello scrigno del silenzio
le relazioni striscianti ammorbidite
da cumuli di polvere ancora sotto il tappeto.

Se il tempo del riscatto è una montagna
da scalare con picconi di ferro arroventato
e la luce in fondo al tunnel tarda a venire
tra i miasmi di pagine colorate di rosso

si moltiplicheranno le braccia della pazienza
il canto della verità salirà al cielo, si fletterà
nello specchio dell’eterno come un incanto
per porre la parola fine al circuito delle nebbie.

Non si svuoteranno i simboli di essenze di speranza
né chiuderemo la morte in sterili rituali
troveranno in noi il testimone con la lanterna accesa
per dire con la croce che di verità si muore e si risorge.

Domenico Pisana

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© Riproduzione riservata

5 commenti su “1992: strage di Capaci, ricordando Falcone… di Domenico Pisana”

  1. In Sicilia, nel territorio Ibleo, ed a Modica la masso- mafia e alla luce del sole.
    Nessuno la vuole vedere, e non fa nulla per nascondersi.
    Dov’è lo Stato, e dove sono le Istituzioni ?
    La magistratura accentrata a Rg, lascia spazio per un ottimo radicamento sul territorio circostante.

  2. Dove lo Stato latita, la connivenza associativa di poteri forti, massoneria, lobby e criminalità impera.
    Il lassismo istituzionale ha portato i cittadini a sfiducia TOTALE.

  3. Pertanto se la magistratura non combatte le associazioni mafiose, è connivente ( Mattarella docet ).

  4. Eh già!
    Un magistrato ha difficoltà ad essere imparziale se ha la moglie procuratore legale nello stesso tribunale.
    Lo stesso giudice non potrà essere terzo, se il genero difende l’imputato sotto processo.
    Non parliamo poi dei procedimenti civili, e delle nomine dei periti.
    Ancora più eclatante se il magistrato fa parte di una associazione elitaria, o ha legami amichevoli con gruppi di potere locali.
    Che dire poi se il territorio è influenzato da un’associazione di
    muratori, o di un’associazione segreta o “coperta”.
    Da tempo sui territori non si rispettano più le regole di controllo e salvaguardia previste nell’amministrazione della Giustizia.

  5. Il signorotto di paese che invita il neo magistrato ad una cena di famiglia…
    Od il professionista che fa pervenire regalie nelle feste comandate…
    Od una battuta di pesca sulla barca di un amico degli amici.
    O l’impresa che fa pervenire un invito, di una manifestazione locale, da un’allegra madama.

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