
C’è una parola che pesa più di ogni altra: “genocidio”. Nata negli anni Quaranta, dalle riflessioni di Raphael Lemkin e poi consacrata nella Convenzione ONU del 1948, essa racchiude la tragedia dello sterminio ebraico, i massacri di armeni, tutsi e bosniaci, i crimini che segnano l’umanità. Una categoria giuridica, ma soprattutto un simbolo morale assoluto. E proprio per questo, oggi, è diventata una parola d’uso comune nel linguaggio politico e mediatico, usata come accusa definitiva.
Il peso di una parola
Dire “genocidio” non significa descrivere un evento: significa collocarlo in una cornice di male assoluto. Il diritto internazionale stabilisce criteri rigorosi – intenzione di distruggere un gruppo in quanto tale, atti sistematici di annientamento – ma nel dibattito pubblico la parola è ormai usata come sinonimo di violenza estrema, spesso senza alcuna verifica. Dal Ruanda alla Bosnia, dal Darfur all’Ucraina, quante volte l’accusa è stata pronunciata in modo estensivo, non come constatazione giuridica ma come slogan politico?
Israele come bersaglio
Oggi l’accusa di genocidio viene rivolta a Israele. Non solo da piazze e attivisti, ma anche da ONG, accademici, giornalisti e persino organi internazionali. La forza simbolica di questo termine trasforma ogni operazione militare, ogni vittima civile, in un “prova generale” di sterminio. Il meccanismo è chiaro: non si giudicano singoli atti o responsabilità politiche, ma si colpisce un intero popolo. Israele diventa “il genocida”, e con esso tutti gli ebrei, dentro e fuori dal conflitto. Una dinamica che alimenta odio, radicalizzazione e violenze antisemite nelle strade d’Europa e nelle università americane.
La logica propagandistica
Perché usare proprio questa parola? Perché funziona. “Genocidio” garantisce titoli, indignazione, campagne virali. Porta fondi, consensi, attenzione politica. Trasforma un conflitto complesso in un mito morale: da un lato le vittime innocenti, dall’altro i carnefici assoluti. Non c’è più spazio per la realtà – con le sue ambiguità, responsabilità incrociate, errori tragici – ma solo per lo schema manicheo che incendia opinioni pubbliche e governi e influenza soprattutto chi ignora la storia e constestualizza.
Effetti concreti
Questa retorica produce conseguenze reali: sulla politica internazionale, bloccando ogni spazio di mediazione; sulle opinioni pubbliche, generando campagne di boicottaggio che colpiscono indistintamente Israele e comunità ebraiche in diaspora; sulla memoria storica, perché svuotare il termine significa tradire la memoria di chi ha vissuto genocidi reali e riconosciuti.
Difendere le parole
Non si tratta di negare la sofferenza, né di minimizzare le vittime. Al contrario: proprio perché la sofferenza merita rispetto, non deve essere piegata a propaganda. Abusare della parola “genocidio” non aiuta la pace, ma alimenta la guerra delle immagini e dei simboli. Difendere la precisione del linguaggio significa difendere la verità storica, preservare il valore della memoria e impedire che le parole che hanno segnato la nostra coscienza collettiva vengano ridotte a slogan da corteo. Il genocidio è realtà storica e giuridica, non metafora. E usarlo come arma politica non salva nessuno: condanna tutti a un linguaggio che semplifica, polarizza e, alla fine, distrugge la possibilità stessa di capire. Conseguenza questa anche “dell’ignorantamento” di questi brutti tempi, come direbbe Claudio Martelli.
9 commenti su “La parola “genocidio” come arma politica”
Una persona che stimo moltissimo e che ho avuto modo recentemente di conoscere personalmente per parlare di tematiche attuali, mi ha chiesto quando sarei tornato a commentare. Beh, rtm lo seguo costantemente, ed ho spiegato che ciò che mi stava nauseando era il basso livello culturale di taluni commentatori, livello che potrebbe salire con apertura mentale, ricerca e conoscenza, ma queste persone questa predisposizione non l’hanno oppure non la cercano, mentre sono propense alla polemica virtuale, travisando, imbtogliando, falsando.
Poi, sugli articoli e sulle opinioni pubblicate, la battaglia è diversa, si propagano ideologie per tornaconto personale, sia esso anche di pura convinzione o simpatia personale, e qui è dovere smontare la narrazione dominante.
Ad esempio, su questa opinione particolare, l’articolo può essere letto proprio in chiave pro sionismo.
E mi domando, al mondo esistono tanti genocidi, come mai si parla sempre e solo di uno, perlomeno, l’ideologia ne propaga e si fa scudo solo di uno.
Si, è vero, vengono citati un paio di genocidiu, ma ci si dimentica sempre dei cristiani.
E visto che si parla di storia, come sempre im modo distorto, MI preme ricordare il genocidio di cristiani in Africa, quello di Vandea durante la rivoluzione francese, e quello di Mamilla, uno dei più gravi per numero in proporzione agli abitanti nel modo dell’epoca, nascosto nelle pieghe del revisionismo storico illuminista.
Quindi, la parola genocidio usata come propaganda, fa comodo anche a determinati autori, ovvero opinionisti.
Quali sono gli interessi nel negare a parole ciò che accade, a tollerare le immagini che giungono di massacri, denutrizione, malattia di bambini di un popolo che è nato lì e che è stato etichettato come terrorista, come fecero anche i Savoia con i meridionali dandogli dei briganti, da chi è arrivato li, ha compiuto per primo atti terroristici, ha occupato territori e si è esteso solo con le armi?
Non è detto che risponda, valuterò commento per commento, come nick fasulli che sono spuntati come funghi.
L’articolo non è ‘pro sionista’, è pro verità delle parole. Se tutto diventa genocidio, nulla lo è più. E così si offende la memoria di tutte le vittime, cristiane, ebraiche o di qualunque popolo. Difendere il senso dei termini non è propaganda: è responsabilità.
Ah non sapevo che la radio principale del mio comune fosse un megafono delle (s)ragioni di Kiev e Tel Aviv. LOL
Figo.
Le scoperte.
Quelle brutte.
Il “tutto” genocidio di cui si parla è un massacro in corso da anni, si potrebbe dire da decenni, di un popolo che è stato invaso.
Che la sinistra lo usi per propaganda, nulla da smentire, conosciamo bene la logica del tutto fa brodo che gli appartiene, ma che la destra lo usi allo stesso modo a protezione di quelli che considerano affini politicamente, è palese. Per non parlare delle lobbies presenti anche da noi.
Politici di destra che si dichiarano cattolici che si sottomettono a riti estranei al credo. Teologicamente parlando, fra l’altro, non preghiamo nemmeno lo stesso Dio.
D’altronde, chi è legato da catene degli schieramenti politici, se è di sinistra è sottomesso all’islamismo, se è di destra è prono al sionismo.
Tifoseria da calcio, che impedisce obiettività ed imparzialità.
Poi, parlando di “difesa della verità storica”, si possono schematizzare I fatti della Palestina dai primi insediamenti, cogliere le parole giuridiche di ciò che è stato fatto ma non si poteva fare, con la complicità occidentale, e la parola genocidio assumerà un contorno più ampio, solo diluito in più di un secolo ed accelerato come processo negli ultimi anni.
Il punto preciso è che l’olocausto con la sua tragedia ed il suo ovvio e naturale impatto emotivo nel mondo, ha permesso di cancellare verità storiche risapute, il sionismo l’ha strumentalizzato per poter perseguire piani ben precisi e davanti agli occhi di tutti, fra l’altro scritti anche nero su bianco. L’olocausto non è un punto fermo ed unico nella storia, c’è un prima e c’è un dopo, il prima si vuole nascondere, il dopo si vuole proteggere con lo scudo dell’olocausto.
E chi sostiene ancora questa classe politica che permette quanto accade, ed è d’accordo con l’invio di armi ai sionisti, e sostiene anche l’alleanza nato in corso con Israele, è complice del genocidio in corso. E qualcuno anche da noi dovrà pagare un domani, come è stato per l’olocausto.
Che la sinistra strumentalizzi, ribadisco, nulla da dire, anche se lo fa appunto per schieramento, ma almeno contribuisce in qualche modo a far sì che lo scopo sia fermare quanto accade, che se ne parli, che si scuote l’opinione pubblica.
Ben più grave chi sta in silenzio o si schiera a favore, oppure porta bambini da noi per curarli o invia aiuto ai palestinesi con una mano, e con l’altra manda armi che servono a sterminarli.
@Giannino Ruzza
Comprendo che per Lei il fulcro del dibattito risieda nell’applicabilità o meno della parola “genocidio”.
Tuttavia, credo che la questione di fondo sia un’altra: il dramma umanitario che si sta consumando a Gaza. È sotto gli occhi di tutti come Israele, con un’azione di una prepotenza inaudita, stia colpendo una quantità inaccettabile di civili inermi, conducendo di fatto una guerra asimmetrica, senza un reale contendente.
Questa tragedia, ormai riconosciuta a livello globale, rappresenta a mio avviso l’atto definitivo che, paradossalmente, sta delegittimando la storia del popolo israeliano.
Un popolo la cui elevata cultura e il cui status di ‘eletti’ sono stati per secoli oscurati da un odio immotivato e da persecuzioni atroci.
Oggi, alla luce di quanto sta accadendo, è proprio quella storia di sofferenza che rischia di essere offuscata per sempre dalle sue stesse azioni.
Quella che vediamo è una strage di innocenti che non passerà inosservata né al giudizio della Storia, né a quello della coscienza universale.”
Signor Ruzza, comprendo perfettamente la sua lingua, e sono certo che lei comprenderà bene la mia.
Propongo un nuovo nome per la testata, si addice molto di più: Radio trasmissione israeliana.
E ho una domanda: a che numero di morti si può chiamare uno sterminio genocidio? Così imposto il file Excel, tipo 100mila morti vanno bene? O se si arriva a 99999 morti allora rimane carneficina? Avete tabelle e schede tecniche da poter usare? Chiedo per un amico palestinese morto con un proiettile in testa mentre cercava cibo per la sua famiglia mentre su rtm viene trasformato in un terrorista scansafatiche come dice quell’omino di amo modica. È assurdo come non una singola persona di questa “testata” abbia speso una parola per i palestinesi o di condanna ad Israele. Vi qualifica davvero questa cosa, sostanzialmente da “giornalisti” siete passati a ufficio stampa.
@Jack
Forse il contendente non è reale per Lei perché come la maggior parte del mondo già dall’8 ottobre ha dimenticato Hamas o lo ha trasfigurato vedendo in un gruppo di predoni e assassini fanatici un eroico movimento di resistenza. Forse si è dimenticato che i palestinesi, dal 2007, anno della presa del potere da parte di Hamas nella Striscia, vivono da schiavi non sotto Israele ma sotto i terroristi che li usano come scudi umani. Assassini, quindi, oltre che degli israeliani anche e più colpevolmente del proprio popolo per la cui liberazione dicono di combattere. Gli occhi del mondo sono velati dall’ideologia e dall’odio antiebraico, che come un fiume carsico affiora ogni volta che una grave crisi sociale o economica deve trovare un capro espiatorio. L’annebbiamento diffuso impedisce di capire che è più difficile difendersi da terroristi spietati e dai loro attacchi vili, non a militari ma a civili, che da un esercito che si affronti sul terreno. Il popolo israeliano è diviso, è vero. Una parte è stata colpita direttamente da jihadisti che hanno rubato la vita di figli, fratelli, padri, nipoti, uomini donne e bambini che non meritavano una fine tanto orribile (documentata dalle webcam dei terroristi) dove nessuna forma di tortura è stata trascurata. Quella parte chiede la restituzione dei loro cari, vivi o morti, e vorrebbe la tregua, “subito”, e la fine della guerra. E’ la parte più sofferente. L’altra parte, pur partecipe di quel dolore, è tuttavia consapevole che se Israele smettesse di combattere, cioè di dare la caccia alle bestie inumane, sarebbe sopraffatto. Ricordiamo “ancora, ancora e ancora”. Non fingiamo che dietro Hamas e gli altri gruppi del terrore che operano a Gaza e fuori non ci sia una teocrazia sanguinaria che ha giurato la distruzione di Israele dal fiume al mare. Per motivi di odio radicato, desiderio di rivalsa e invidia. Sì, c’è anche l’invidia. Un popolo che si è distinto nella scienza, nella tecnologia, nell’innovazione, nelle arti, nella letteratura e che è emerso da persecuzioni e dallo sterminio nazista, è facile oggetto di invidia da parte di vicini che vivono ancora in un’era storica passata. La guerra contro la cultura combattuta dall’Occidente contro se stesso contiene anche l’odio contro Israele che dell’Occidente fa parte e contiene i germi del nichilismo che avvicina paesi democratici ai terroristi islamici. Le università lo testimoniano tristemente essendo diventate terreno di coltura intolleranza e razzismo di chi oggi vi spadroneggia con la complicità di docenti e rettori, e centri di smistamento di menzogne e di odio antisemita. Accusano Israele di essere uno stato apartheid e razzista non sapendo che arabi israeliani di religione musulmana ricoprono importanti ruoli in diverse professioni. (sono mai stati in Israele? Sanno almeno dove si trova?), identificano Israele come stato genocidario quando l’Idf fa il possibile per evacuare i civili dal campo di guerra, fingono di non capire perché da quasi un secolo uno stato è costretto a vivere militarizzato: gli israeliani lottano per l’esistenza, mentre i palestinesi, non legati a Hamas, per salvarsi da criminali che li uccidono senza pietà per il solo sospetto di simpatia col nemico. Vittime simmetriche dello stesso carnefice. Gli occidentali, un po’naif un po’ in malafede, dopo il pogrom del 7 ottobre pretendevano che le Forze armate israeliane non entrassero a Gaza, che Israele lasciasse che il governo legale della Striscia, democraticamente eletto nel 2007 e tuttora in carica anche se malconcio, continuasse ad organizzare incursioni, lanciare razzi e perpetuare stragi di israeliani. I terroristi, con Sinwar capo militare e architetto del massacro di quel Sabato Nero, il più feroce dopo la Shoah, sarebbero tutti vivi e vegeti, e Israele? I nostri pacifisti non sono andati a Gaza per chiedere a Hamas di fermarsi, non si sono neanche organizzati per manifestare solidarietà a Israele. E l’Onu? Non ha smentito l’accusa di essere un’organizzazione marcia, sottomessa all’ideologia, dove l’Iran detta le regole in tema di diritti umani (l’Iran! che impicca gay e oppositori politici, ammazza di botte le donne per uno straccio di fazzoletto male indossato), incapace di fare il suo antico mestiere al quale si deve la sua fondazione, oggi una piattaforma per la propaganda antisemita. Un’infamia. Hamas, Hezbollah, jihad palestinese, houthi, associazioni per delinquere stipendiate dall’Iran, protette da Guterres, il vertice di un obbrobrio morale che si esercita da tempo per addossare la colpa di genocidio a un popolo che di un genocidio storico è stato vittima, e corre il rischio che la tragedia si ripeta se cessa di difendersi. Cosa significa del resto “dal fiume al mare” se non la cancellazione di uno stato, quello ebraico, e la sua sostituzione con uno stato palestinese? Dov’è l’auspicio che nascano due stati, uno accanto all’altro, e vivano in pace? Meglio gettare a mare quello che esiste e lasciare il posto all’altro, no? E qualcuno mi chiede di “motivare”? Motivare cosa? Lo schifo che provo davanti all’isterismo antisemita di un mondo giunto alla fase conclusiva del proprio declino morale? Motivare la scelta di andare nella direzione opposta e difendere Israele con forza e il suo diritto all’esistenza? Chi sono quelli che ipocritamente mascherano il loro furioso odio antisemita dietro l’antisionismo, che non si scandalizzano quando turisti israeliani sono cacciati da pizzerie hotel e ristoranti? Ho fatto qualche telefonata per verificare e dopo aver prenotato ho detto: “Sono israeliana”. Silenzio e comunicazione interrotta. A me sì che viene il vomito. Si vuole un’altra Shoah? Si esca dall’ipocrisia e si abbia il coraggio di dirlo. E concludo. Certo che i palestinesi mi fanno pena, certo che spero che la guerra finisca, certo che vorrei per loro case, asili, scuole, ospedali in un paese loro, libero e in pace, ma non sacrificando Israele, non alzando solo la bandiera palestinese ma affiancandola alla bandiera israeliana. Sarebbe il messaggio più efficace per far capire che si vuole davvero aiutare due popoli a vivere vicini e superare le ostilità reciproche, su cui hanno campato terroristi assassini e i loro sostenitori politici in occidente. La difesa dei palestinesi è giusta ma deve stare in equilibrio con la difesa di Israele dagli attacchi di una disumanità che vive di menzogne cattiveria e ignoranza e per opportunismo chiama alla sbarra un governo e un popolo, senza fare distinzioni, fermo restando che solo una strategia di fermezza può sconfiggere il terrorismo. La strategia usata in Italia da governo e opposizione per sconfiggere le Brigate rosse.
Avevo smesso quando Zelensky stava per entrare a Mosca su rottami di pale e lavatrici, e ritorno quando invece è Israele che sta marciando praticamente verso Baghdad…
Un po’ di storia, le radici del problema, necessarie, per inquadrare chi è invaso e chi invasore, potendo poi etichettare correttamente le fazioni.
La dichiarazione di Balfour del ’17 parla di ‘focolare ebraico’, che giuridicamente non vuol assolutamente dire stato ebraico. Quindi, non se ne parli.
Sempre nella stessa dichiarazione viene specificato che nulla andava fatto comunque pregiudicando i diritti civili.
Lo stato di Palestina è riconosciuto indipendente dal 1920. (sdn)
La proprietà terriera ebraica nel 1948 era del 6%.
I sionisti accettato la proposta di spartizione al 54% nonostante avessero il 6% di terra. Ma prima del ritiro inglese a metà maggio ’48 ne avevano già occupata l’80%.
L’assemblea dell’ONU non ha alcun potere per sottrarre terra o darla, né di creare o eliminare stati.
Israele esiste de facto, ma non de jure.
La carta delle nazioni unite era in contrasto con la proposta di creare uno stato disfacendone uno esistente.
Lo stato ebraico è stato proposto sulla linea di intersezione fra Asia ed Africa senza libera approvazione di stati mediorientali, africani o asiatici (solo Sudafrica, chissà come mai..).
Tutti i tentativi fatti dai paesi arabi e diversi asiatici per controllare la costituzionalita della proposta ONU, furono respinti dallonu ed ignorati dalla Corte di giustizia internazionale.
Israele non è mai stato riconosciuto da paesi africani e asiatici né ammesso a loro conferenze internazionali.
Tutto il resto è storia relativamente moderna, compreso il fatto ormai risaputo che tutte le organizzazioni terroristiche di stampo jihadista sono finanziate dagli USA.
Pertanto, soluzione a due stati significa riconoscere di conseguenza ufficialmente uno stato che giuridicamente non è mai stato riconosciuto.
C’è un invasore e c’è un invaso (cit.). Ciò serve a capire chi ha ragione e chi ha torto, per chi ovviamente ancora necessita di capirlo.
E non si tirino fuori argomenti religiosi per giustificare la terra e quant’altro.
Paolo, Lei ha smesso proprio nel momento in cui Nato ed Europa le scoppole non li contavano più. Sono passati in un niente dal moribondo Putin al tappeto rosso in Alaska. Ma ora abbiamo la cartella clinica di Dalema e quindi siamo ad un passo dalla Gloria.
Per quanto riguarda la Palestina:
La Cina afferma che includerà la Palestina nell’organizzazione BRICS per il suo sviluppo.
Corto circuito o cosa?