La figura del grande Giorgio La Pira trova nel libro di Grazia Dormiente, poetessa ed etnoantropologa di Pozzallo, dal titolo Giorgio La Pira, una vita per la pace nel mondo, Edizioni Prova d’Autore, 2024, la restituzione memoriale di un uomo, di un politico, di un credente, di un contemplativo dalla vita straordinaria e pervasa di santità.
L’autrice mostra di conoscere molto bene il percorso esistenziale di La Pira nella sua efficacia sociale, politica e bellezza morale, delineando le coordinate di “un personaggio di grande spessore culturale e profetico” come si evince già dalle prime pagine del libro ove Grazia Dormiente riporta il testo di una sua relazione al Convegno promosso dal Circolo Movimento Cristiano Lavoratori “G. La Pira” di Milazzo il 21 giugno 2003, di fronte ai parenti convenuti da Pozzallo, di fronte agli amministratori ed ai cittadini di Milazzo, di fronte ad uno studioso come Giuseppe Miligi”, il saggista messinese che attraverso gli scritti inediti del giovane La Pira ha fornito “preziose chiavi di lettura e di comprensione” della attività lapiriana.
La struttura del volume poggia su una prospettica visione di angolazioni ermeneutiche, che convergono nell’unità di una narrazione che trova già una sua prima espressione nella “Lapide commemorativa” murata l’8 gennaio 2005 sulla facciata del palazzo messinese, dove il giovane La Pira abitò dal 1918 al 1926.
Nei vari capitoli del libro Grazie Dormiente tratteggia La Pira come “Autore della strategia della speranza”, come “profeta” dalla grande attualità, come esegeta di una politica che ricerca la pace, come terziario domenicano e francescano dalla vita contemplativa e come Operaio dell’evangelo sulle orme di Francesco.
Il tessuto scrittorio tende a mettere in rilievo la straordinarietà della vita di La Pira, il quale ha saputo dare di sé l’immagine di un “uomo abitato dal divino”, testimoniando, da un parte, la vita dell’uomo in azione, del sindaco, del mediatore che organizza grandi incontri per la pace e che sa camminare sulle strade tortuose delle ideologie, e, dall’altra, dell’uomo in contemplazione nel convento di San Marco ove attinge la forza per stare in mezzo ai poveri , ai diseredati e per testimoniare il vangelo della carità.
Grazie Dormiente offre anche un panorama culturale nel quale si staglia la presenza di poeti che hanno cantato nei loro versi la figura di Giorgio La Pira: Benito D’Ippolito, autore della poesia Firenze di Giorgio La Pira; Domenico Pisana con la poesia italiano-inglese “A Giorgio La Pira”; Carmelo Lauretta di Comiso con la poesia dialettale Lu Rusariu di La Pira; Gino Del Monte con la poesia Leggevi diritte (in memoria di Giorgio La Pira); Giuseppe Lombino che auspica con versi dialettali la beatificazione di La Pira,( Ora ti vulemu Biatu, nui cristiani/lu Santu Patri ci metti li mani/pi fari a Tia La Pira granni Biatu/chistu è lu premiu di nui ricanusciutu.); Mario Luzi che nella poesia Siamo qui per questo esalta la Pira, sindaco di Firenze, con sublimi versi nei quali, tra l’altro, afferma:
“…Essere stata
nel sogno di La Pira
‘la città posta sul monte’
forse ancora la illumina, l’accende
del fuoco dei suoi antichi santi
e l’affligge, la rode,
nella sua dura carità il presente
di infamia, di sangue, di indifferenza.
Non può essersi spento
o languire troppo a lungo
sotto le ceneri l’incendio…”
E ancora, Luciano Nicastro che nella sua poesia A Giorgio La Pira mette in risalto l’impegno del sindaco fiorentino, del sognatore di un mondo di fraternità avviando colloqui anche con figure di grande rilievo nella geopolitica internazionale:
“…Per nuove acque timidi e beati,
dalla tua luce attratti, in varia folla
il nostro mare cercano inseguendosi,
lievi com’erbe, i minuscoli pesci
che dan vita al silenzio, accanto al tuo
lavoro. Tu sei l’intrepida pace
che tenta aperti colloqui con Stalin…”
La stessa autrice del volume dedica a La Pira una poesia dal titolo Esule per vocazione, testo di soave bellezza dal quale si sprigiona una delicatezza di sentimenti che richiama la vocazione profetica di un uomo al quale Pozzallo ha “dato i natali”:
Non parlava il paese
del suo profeta,
non leggeva le sue
“parole di vita”,
ora libera dal marmo
di fessurati muri
legami ed appartenenze
e vive il dono,
straordinario e fecondo,
d’aver dato i natali
al suo “esule per vocazione”.
Interessante anche il capitolo nel quale Grazia Dormiente mette il lettore di fronte al “francescanesimo” di Giorgio La Pira, riportando le parole del Presidente del Senato Amintore Fanfani dette in un convegno svoltosi a Firenze nel 1981:
“Quando rivedo nella ceramica robbiana l’abbraccio tra san Domenico e san Francesco subito – affermava Fanfani – mi viene in mente La Pira. Terziario domenicano, fermo discepolo del domenicano San Tommaso D’Aquino, Giorgio La Pira che come pochi imitò Francesco D’Assisi”(…) Queste affermazioni mettono in luce la esemplare testimonianza di La Pira “per il filiale amore verso il Creatore, per la sincera fraternità verso tutte le cose create, per il generoso abbraccio verso tutti gli uomini, per il godimento delle tribolazioni nella perfetta letizia, per lo spirito di pace […] Disponibile sempre all’incontro negoziale, con in mano sempre il pane per gli affamati, l’olivo per i paurosi, la propria coerenza per i dissidenti” .
Il valore delle parole di Fanfani riportate dalla scrittrice Dormiente, riverberano ancora oggi come voce profetica per la politica contemporanea attraversata da una forte crisi d’identità.
Giorgio La Pira ha vissuto la politica con una chiara “weltanschauung”, cioè con una “visione antropologico-cristiana”della vita e della società, dello stato e del potere, del lavoro e dell’economia, della famiglia, dell’etica e dell’accoglienza, che egli traeva dall’eredità di Don Sturzo e dal cattolicesimo popolare, e che ben traluce, in modo meraviglioso, anche da una lettera alla zia Settimia del 1931 riportata da Grazia Dormiente nel volume, e nella quale La Pira scriveva:
“…c’è ormai in me un cuore che si è allargato un po’ verso tutti i fratelli: c’è come il desiderio di una sovrannaturale paternità che ci fa generare figli del Signore mediante la parola e l’opera.
Che il Signore abbia messo nella mia anima il desiderio delle grazie sacerdotali non c’è dubbio: solo, però, che Egli vuole da me che io resti col mio abito laico per lavorare con più fecondità nel mondo laico lontano da Lui. Ma la finalità della mia vita è nettamente segnata: essere nel mondo il missionario del Signore: e quest’opera di apostolato va da me svolta nelle condizioni e nell’ambiente in cui il Signore mi ha posto”.
Leggere questi testi è come entrare in un santuario, nell’interioritas di un uomo che concepisce la politica come “missione” finalizzata a metter la propria vita a servizio del bene comune e a rendere la città di Firenze da lui governata non un semplice agglomerato urbanistico, ma comunità di persone; cosa che emerge, particolarmente, anche dal capitolo in cui Grazia Dormiente offre “la visione lapiriana sul valore della città, casa comune da tutelare, abbozzo e prefigurazione della città celeste, dimora della memoria e della speranza”.
Per La Pira costruire la città implicava, certamente, pensare al suo benessere inteso come “star bene” non solo economicamente e fisicamente, ma anche sul piano spirituale ed etico, e tale pensiero risulta ancora attuale e necessario per gli amministratori di oggi, proprio al fine di evitare di cadere nella trappola della ricerca del potere e del benessere personale.
Dalla esperienza di La Pira configurata da Grazia Dormiente, scaturisce chiaramente la necessità di una città degli uomini e non di accumulo “di case”, una città da amare, da costruire non col ricorso alla menzogna e al potere ma con l’impegno a ripartire dalle persone più deboli e dagli ultimi nella distribuzione delle risorse, nonché a progettare una “comunità sociale” dove il potere diviene servizio vicendevole e dove il cittadino sia messo nelle condizioni di fare scelte serie e responsabili nel rispetto della dignità di ognuno.
La mediterraneità di La Pira e il suo carteggio con il poeta Salvatore Quasimodo sono altri due ambiti dell’interesse di Grazia Dormiente. Sul primo l’autrice afferma che “Giorgio La Pira nel periodo critico della decolonizzazione e della crisi del Canale di Suez del 1956, seminava la sua visione mediterranea, ancorandola al viaggio di Abramo, padre delle tre famiglie religiose – ebrei, cristiani e musulmani- costellate dal Grande Lago di Tiberiade e materializzanti un’ispirazione religiosa e al tempo stesso un progetto sociale per la composizione dei conflitti nel Mediterraneo e nel Medio Oriente”. Giorgio La Pira – prosegue la Dormiente – asseriva che “I popoli rivieraschi del Mediterraneo hanno, infatti, che lo vogliano o meno, un comune destino. Essi hanno esercitato una influenza decisiva nel passato della storia dell’umanità”.
Anche nel carteggio La Pira – Quasimodo, uscito nel 1980, le parole di Grazia Dormiente colgono le coordinate di una amicizia e di un rapporto che “si rivela illuminante per comprendere il processo di formazione del mistico La Pira, l’apprendistato di Quasimodo poeta e anche il ruolo guida del dotto Pugliatti il ‘soave amico’ di Vento a Tindari, che della stagione giovanile quasimodiana si fece storico e interprete”. Grazia Dormiente mette anche in luce come questi due figli della terra iblea, abbiano disvelato, attraverso il loro l’epistolario, il ruolo determinate degli anni giovanili nella formazione delle rispettive personalità, offrendo la testimonianza di un rapporto fondato su una reciprocità fortemente segnata da una carica umana ed emotiva: due amici in “viaggio” che si raccontano, si inseguono, si plasmano rimanendo fedeli, però, alla loro diversità. L’impressione che si ricava del poeta siciliano è quella di un personaggio “in ansia” e sempre alla ricerca di nuove emozioni e di più alte mete; si avverte in lui una “compresenza di umiltà e di bisogno di grandezza”, una ricerca del consenso che diventa motivo del suo esistere e della sua pace interiore. Il carteggio, inoltre, appare caratterizzato da una diversità di eloquio: ricco, articolato e di profonda spiritualità cristiana quello di La Pira; scarno, breve, sintetico quello di Quasimodo, che si affida alle “buone parole” dell’amico pozzallese.
Il volume è corredato da un apparato iconografico, lettere e testimonianze che accompagnano il percorso scrittorio di un uomo divenuto “cittadino del mondo”, un esempio di santità riversata nelle pieghe della storia e alimentata dal rapporto con il Dio Gesù Cristo e dalla preghiera soprattutto nelle sue missioni più difficili, come quella in occasione del suo viaggio in Russia benedetto anche da Papa Giovanni XXIII per avviare quel ponte “mariano di orazione” fra Fatima e Mosca, quel ponte di dialogo del quale egli si considerava “il muratore visibile, il facchino”.
Un libro sicuramente da leggere, perché scritto da Grazie Dormiente non solo con l’intelligenza critica della studiosa, ma col cuore di una donna di talento, di ampio respiro culturale e tra le personalità che hanno contribuito ad elevare il livello culturale dell’Area degli Iblei e oltre. Lo stile scorrevole del suo libro, l’esegesi puntuale dei testi rivela la sua competenza d’analisi e il suo bagaglio etnoantropologica, lo spessore della sua personalità versatile ed eclettica, che le ha permesso di dare un contributo notevole alla crescita culturale del territorio ibleo con studi, convegni, mostre fotografiche e ricerche archivistiche, e recuperando l’identità delle città iblee e del loro patrimonio culturale.
Gli interventi di questo corpus antologico, per concludere, non hanno altra finalità che quella di lasciare alle nuove generazioni la testimonianza della meritoria ed incessante attività di un grande pozzallese “cittadino del mondo”, che con la spiritualità del vissuto, la delicatezza dei sentimenti, la competenza socio – politica ha saputo dimostrare di non essere un “rasend”, uno smanioso di ribalta, come, oggi, capita di vedere frequentemente a tanti personaggi del nostro tempo, ma un umile “operaio del vangelo”, un uomo mite la cui opera è stata una ricerca continua per conquistare il significato vero della vita e la costruzione di un mondo di pace attraverso la centralità dei valori del vangelo chiamati a sintonizzarsi con la lunghezza d’onda dell’Eterno.
Insomma, un’opera preziosa, utile e indispensabile perché aiuta il lettore a non cadere nella tentazione della damnatio memoriae.