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“Respiro il tempo”, libro di Giuseppe Macauda…di Domenico Pisana

Tempo di lettura: 2 minuti

La poesia di Giuseppe Macauda, componente del Caffè Letterario Quasimodo di Modica, contiene il respiro di forti sentimenti, ma anche di un rilevante pensiero che esplora frementi dimensioni e che riesce, con pronta intuizione, a comunicare una visione dell’esistenza. E’ ciò che si percepisce leggendo la sua ultima raccolta poetica Respiro il tempo, (Collana Le schegge d’oro, Montedit, appena pubblicata a seguito del risultato del 3° Premio del Concorso Letterario “Citta di Melegnano” 2022), con la quale conferma ciò che aveva fatto particolarmente intravedere nel suo libro Cromie, ove parlava del tempo che lascia il segno, del tempo che muta la storia in fotogrammi e che si fa percorso vitale di emozioni, memorie, sogni, desideri, illusioni e delusioni.
In questa sua nuova creatura, il tempo ritorna ad essere, come emerge dalla stessa poesia che dà il titolo al libro, l’elemento aggregante di modulazioni di respiro classico, da cui trasuda l’amore sincero del poeta per la terra e la natura, sublimato, sotto il profilo mistico, con versi capaci di trasfigurare e di rilevare il significato essenziale delle cose all’interno di un intenso dettato lirico:

Non ha sogni di seta
la mia notte infranta,
ma solo versi
che ora dolci ora aspri
danzano nella mente
per spegnersi in gola.
Nel buio silenzio
il rumore dell’ansia
sfida la verità della luce
e mi nasconde il senso.
Respiro il tempo
che veloce m’insegue,
mentre l’alba stende
il suo velo dorato
sui costoni d’ocra
ignari ed eterni.
(Respiro il tempo)

Come può notarsi, i “sogni di seta”, la “notte infranta”, il “buio silenzioso”, “la verità della luce”, “l’alba”, “la velocità del tempo” e i “costoni d’ocra ignari ed eterni” sono il fomite di implicazioni interiori che si manifestano su toni alti di intellettualità e che toccano i vertici di una commossa liricità; il privato di cui si occupa il poeta , conosce “rotture”, “ansia”, momenti “dolci” e “aspri”, ma riesce anche a respirare odori e colori naturalistici del tempo che egli vive ed ad allargarsi sino ai confini dell’universalità con una versificazione che fa venire in mente il poeta Khalil Gibran quando scriveva: “Lasciami, oh lasciami immergere l’anima nei colori; lasciami ingoiare il tramonto e bere l’arcobaleno”; ed ancora la poetessa Alda Merini, quando cantava: “Amo i colori, tempi di un anelito inquieto, irrisolvibile, vitale, spiegazione umilissima e sovrana dei cosmici ‘perché’ del mio respiro”.
Il lettore, insomma, si trova di fronte ad un percorso lirico con una struttura sintagmatica che si muove tra “presente esistenziale” e “presente desiderativo”, e con una poetica che privilegia versi che sembrano pennellate atemporali e fuori dallo spazio, e da cui provengono, spesso, risposte velate da una tecnica di scrittura poggiata su canoni di derivazione ermetica. La scelta stilistica dà poi alle parole suggestività e capacità di espressione nella direzione di una piacevole musicalità del verso; e così Macauda riesce a far entrare il lettore in un paesaggio di atmosfere rarefatte e impalpabili.

Il respiro di un canto d’amore per la terra sicula

La silloge Respiro il tempo scandisce i tempi della relazione del poeta con la terra sicula, cantata non come semplice luogo abitativo, ma come scenario di bellezza da contemplare perché riassume le nostre scaturigini, il senso delle radici , il valore di una storia disegnata in luoghi di bellezza come Ortigia e Akragas, in paesaggi marini, moli, vallate , querce e rovi, rotonde sul mare, pietre ricamate, tonnare e perle d’acqua:

…Alfeo per amore
sotto Ortigia scorre
e le ninfe danzano leggere
al suono delle lire
sfiorate dallo scirocco. In lontananza miraggi
di piramidi barocche
e teatri antichi distesi,
che hanno sempre in scena
lo spettacolo delle pietre”.
(Un altro Eden)

Fili d’avena secchi
pettinano d’azzurro
la marina deserta…
…Attoniti i gabbiani
pregano in fila
sul molo di sbarco…
(Marina deserta)

Il poeta, “rapito dai segreti / delle antiche pietre”, respira il tempo come testimonianza di pensiero e di cultura, immagina di vivere la libertà di un’aquila che sorvola il cielo, entrando in una visione d’estasi in cui crede di “sentire i soavi passi di Tersicore” che danza: “Era la voce suadente del mito / che ad Akragas vive / per ammaliare ancora / chi dentro il cuore / nelle note sente la storia”, in “Nella valle la voce”.
L’inquadratura logica, organica, concettuale dei versi di Giuseppe Macauda ha il sapore dell’incanto, il senso estetico del bello, che è tipico di tutto il mondo classico e di cui la sua anima è pienamente affascinata; il suo cuore contemplante ed assorto nel silenzio, riproduce pennellate lirico-meditative nelle quali trovano approdo vitalità interiore, vitalità speculativa, di pensiero, di razionalità; quello di Giuseppe Macauda dunque, come afferma il prefatore, è “ un canto d’amore per la propria terra”; è anche – aggiungiamo noi – poesia della terra, poesia dell’uomo poeta che in essa vive, dell’uomo poeta che non si lascia “ammaliare / dal canto seducente / delle sirene virtuali” né dalla “magia della rete”.
E’ di rilevante bellezza, in questo senso, la lirica “Le sirene virtuali” , dove emerge una dicotomia di momenti creativi: uno dialettico-gnomico, che prende criticamente le distanze dal “virtuale” che impera fortemente nella società globalizzata, l’altro umano-idillico con il quale il poeta vive una colloquialità di pause che inteneriscono i suoi versi, ove sono proprio “i segreti /delle cave impervie” i “lanci coraggiosi / dei falchi pellegrini”, le “danze al vento / dei soffioni leggeri”, “l’odore del sole / e le struggenti melodie / delle allodole innamorate a scrivere le note sul pentagramma dell’ ispirazione e ad imprimere ala al ritmo, comunicando al cuore spazi di libertà e freschezza di respiro. E così, nei versi del poeta la natura si fa vibrazione dell’anima, motivo di serenità, stupefazione, come conferma anche la personalizzazione di alcuni verbi utilizzati dall’autore: “preferisco”, “sdraiato”, “mi abbandonerò”, “stancarmi”, “seguirò” , a dimostrazione, qualora fosse necessaria, che il poeta non solo descrive ma vive con la sua terra un “rapporto simbiotico” e di intimo e immaginifico valore esistenziale.

Il respiro della contemplazione estetica

Nella raccolta Respiro il tempo la versificazione di Macauda non è mera riproduzione dell’idea della realtà, ma espressione dell’intuizione che il poeta ha di essa, intuizione che trova nella “contemplazione” il mezzo per esperirla personalmente.
Si tratta di una contemplazione connotata di levità lirica e accarezzata di venature ermetiche, dove la parola poetica si offre con un taglio di versi dinamico e leggero nello stesso tempo, e dove la brevità del dettato si riveste di una sorta di seducente chiaroscuro, che diventa risonanza di un’interiorità rapita e intenerita.
Molte liriche della raccolta sono avvolte quasi in un mosaico immaginifico ove ogni parola parla, si svela e si nasconde, ove colori, suoni e odori s’intrecciano con musicalità e ritmo alla partecipazione interiore e alla voce di canto dell’autore, che non resta solo intimità ma irradiazione di un pensiero, di un “nous poietikos” che fa interagire squarci filosofici, scientifici e che arriva sulla pagina con studio e innovazione della parola, e sentimenti alti.
La poesia di Giuseppe Macauda è quasi un invito, in un tempo in cui la prassi assorbe interamente la vita dell’uomo contemporaneo, a saper restituire valore alla “contemplazione”, che non è una alienazione dalla realtà né esclusivamente speculazione filosofica o teologica, ma, piuttosto, un ricordare il fatto che l’uomo è l’unico essere vivente in grado di volgere gli occhi verso il cielo ed ammirare le opere e i prodigi della natura, senza altro scopo che la percezione del bello. La contemplazione del poeta si oggettiva, ad esempio, in versi suadenti che gli fanno odorare, coinvolgendo il lettore, il respiro della primavera:

…Arriverà la nostra
primavera calda,
asciugherà ogni pietra
e le gocce di veleno
che ci chiudono dentro.
Sarà nuovo il respiro
nostro e della Terra.
Cammineremo piano,
sotto un cielo più azzurro”.
(Cammineremo piano)

Come è vero che “Si diventa ciò che si contempla” secondo quanto affermava lo scrittore francese Gustave Flaubert; l’autore di Respiro il tempo, infatti, ce ne dà conferma mentre egli osserva la danza della farfalla “sul profumo degli iris”, che “Di scie illumina l’aria e le begonie” facendole sognare, arrivando poi ad una conclusione di rilevante bellezza;

“…Amo le nostre comuni cadenze
che sentono il grigio dolore,
ma sanno donare i pennelli
per ogni primavera”.
(Ogni primavera)

Agli occhi del “fanciullino” interiore, di pascoliana memoria, che si agita dentro l’autore, l’atto della contemplazione è fonte energetica di immagini e di emozioni di silente pace interiore ma anche di possibili paure:

“Leggera la foschia
stende il ventaglio
sul confine azzurro
del cielo sopra il mare.
Un intenso profumo
di alghe vive si sparge
dall’acqua di cristallo
sulla sabbia martoriata
dai birilli che dividono.
Lontano dai raggi roventi
il mostro invisibile
pare dormiente sul regno,
ma un’ eco di paura aleggia
su quest’estate così diversa”.
(Estate diversa)

L’arrivo dell’estate stimola la sensibilità, gli umori e gli occhi contemplativi di Giuseppe Macauda, il quale sa così darci versi molto belli che sono quadri d’anima, dipinti ove si stagliano “muri a secco”, “spighe dorate”, “carezze di tepore”, “distese di luce” che dondolano dentro il suo cuore riproducendo echi del “Meriggiare pallido e assorto” di montaliana memoria: “rovente muro d’orto”, “schiocchi di merli, frusci di serpi”, “crepe del suolo” “file di rosse formiche” scriveva il poeta ligure.
Macauda con versi in climax ascendente fa sentire l’arrivo dell’estate come un profumo, una carezza che fa sussultare il cuore, un fascio di luce che invadendo l’orizzonte crea sentimenti di bellezza, nuove attese e speranze:

Dietro i muri a secco
l’oro sfiora già le spighe.
L’antico frinire risuona
nell’aria che torna
a profumare d’estate.
Alle carezze del tepore
sussultano i cuori nuovi,
ora che la distesa di luce
l’orizzonte pulito invade”.
(Profumo d’estate)

Il respiro della convivenza sociale

Nella raccolta Respiro il tempo si coglie infine, in diverse poesie, il respiro della convivenza sociale; Macauda è un navigatore che sa intercettare i tormenti derivanti da tematiche sociali frutto di conflitti e relazioni complesse. Con un lemma di grande forza metapoetica, “briciole”, egli trasmette la forza di idee, di limiti e di debolezze che provocano felicità o infelicità, gioia o dolore, stanchezza o malinconia, luce o ombra. Ciò appare evidente nella poesia “Briciole”, dove c’è un profilo etico-gnoseologico che viene via via selezionato ed oggettivato in una molteplicità di sequenze liriche affidate ad una scrittura allusiva e metaforica.
Il poeta denuncia la povertà del cuore umano, l’inadeguatezza di una coscienza universale incapace di rispondere ai problemi della fame, dei diseredati, degli emarginati, degli ultimi, ai quali giungono solo briciole; il poeta stigmatizza l’assenza di umanità lì dove vive ed opera il potere economico e politico; e lo fa con la consapevolezza che anche la parola poetica deve saper diventare “atto profetico” in grado di aiutare l’uomo a leggere dal di dentro se stesso, i suoi rapporti con l’altro, con la società, atteso che il poetare non può rimanere chiuso nella contemplazione del cielo e della terra fine a se stessa, ma ha il compito di intuire ciò che sta oltre il cielo e la terra, e di provocare il superamento del limite e del dono del superfluo, evitando così di donare solo briciole di se stessi “a bambini dimenticati / nei tropici sbagliati”, o elemosine davanti “ ai lamenti freddi / di chi dorme sotto i cartoni”, e di saper, invece, incarnare umanità , solidarietà, amore, pace e gratuità:

Briciole di pianeta
nelle zolle rosso sangue
dei terreni dissodati,
briciole di riso
nelle mani tese
dei bambini dimenticati
nei tropici sbagliati.
Briciole d’umanità
nei palazzi del potere
sordi ai lamenti freddi
di chi dorme sotto i cartoni.
Granelli soli
vaghiamo smarriti
verso mete dimenticate,
ignorando ancora
che l’umano destino
ci voleva uniti”.
(Briciole)

Questo respiro di convivenza sociale di Giuseppe Macauda vibra anche nelle sue relazioni con i giovani, con i quali intesse rapporti nelle aule scolastiche. Il volto dei suoi studenti è costruito dentro un alone poetico che coglie l’espressione degli occhi, la dolcezza dei sorrisi “aperti agli altri e al mondo; c’è anche un elemento memoriale (“…ho risentito / il profumo della giovinezza…”) e una ricostruzione di slanci di solidarietà umana (“ho condiviso i palpiti dell’ansia”), nonché una sobrietà di immagini con le quali il poeta percepisce se stesso come un seminatore ( “… ho seminato con ardore / i germi del pensare /e il potere delle idee…”) e un “operaio di sogni”, la definizione che Quasimodo diede di se stesso:

Ho creduto ai vostri occhi
pieni di luce e di speranza,
ai vostri sorrisi dolci
aperti agli altri e al mondo.
Tra i banchi ho risentito
il profumo della giovinezza
e condiviso i palpiti dell’ansia.
Nei vostri cuori acerbi
ho seminato con ardore
i germi del pensare
e il potere delle idee.
Volevo contagiarvi
la mia passione per le parole.
Per sognare insieme.
(Tra i banchi)

Ed ancora, quando gli occhi del poeta intercettano all’alba “i passi stanchi / dei viandanti delusi”, egli fa propria l’intonazione delle loro “struggenti / nenie di terre lontane /per cullare i cuori /dai sogni traditi”, esternando così il valore di una socialità aperta all’alterità; stessa cosa quando il poeta pone lo sguardo sia su donne devote della città di Modica, che, scalze, fanno “Chilometri d’asfalto duro/ per donare alla Vergine / grandi torce e cuori aperti…”, sia su “Giovani mamme timorate /” che tengono strette in braccio “monachelle con i sai /promessi alla Madonna /nelle lunghe notti di paura”.
C’è in questa osservabilità del poeta il respiro di un tempo vissuto come apertura all’ altro, come presa di coscienza che l’essere nel tempo può essere un inganno, ma anche uno “spazio di senso” dove i sogni possono aiutare a incontrare e vivere la bellezza. L’immaginazione, per Macauda, non è una via di evasione, ma una riappropriazione d’identità e un viaggio verso “futuri possibili”, è cercare nei limiti del tempo l’oltre di un infinito, perché come dice bene il poeta in alcune poesie nessuno può pensare di essere onnipotente: “Granelli soli / vaghiamo smarriti / verso mete dimenticate”; “…Siamo gocce di rugiada, / effimere e disperse, / sottese da misteriosi / orditi d’energia che legano / le nostre fragili esistenze…”
Con Respiro il tempo Giuseppe Macauda offre dunque al lettore un viaggio poetico nel quale palpitano sentimenti e riflessioni di profonda sensibilità. Con l’andatura di versi ora sereni ora malinconici, ora d’estasi ora di delicata dolcezza, il poeta sa condurre in modo pregevole il lettore nel suo mondo; il linguaggio e lo stile cercano la simpatia (si badi bene all’etimo greco) e gli affacci onirici, incurvando la parola nell’alveo di una fascinazione che tende ad aprire orizzonti di meditazione e di mistero. In Macauda, che è anche uomo di scienza, va pure detto che si coglie, a volte, un’osmosi tra poesia e scienza, atteso che entrambe hanno in comune il tempo, la volontà di conoscere le cose, la natura, l’universo e di entrare nel mistero come suggeriscono i lemmi “materia e tempo”, “mistero”, “molecole”, “limite”, “eterno” utilizzati dal poeta nella lirica “Senza sensi”:

Nell’azzurro rosato
senza materia e tempo
vorrei incontrarvi ancora.
Là,
dove la luce e il suono
sono onde senza sensi,
sveleremo il mistero
delle molecole brute,
che fanno odiare e amare
in questa terra calda,
che sa anche gelare.
Là,
dove l’amaro limite,
che ci chiude agli altri
ed erode il piacere,
si aprirà all’eterno.

A supportare questo aspetto del rapporto tra poesia e scienza, ci viene in aiuto il grande Dante il quale seicento anni prima che Plank mostrasse che la materia è movimento di energia, egli aveva scritto che “ ‘l sole e l’altre stelle” sono mosse da amore, armonizzando così il sapere scientifico con il discorso poetico. Ma anche un grande poeta del primo novecento, Leonardo Sinisgalli, chiamato il poeta-ingegnere, che dopo una fase iniziale di adesione all’ermetismo diede testimonianza del superamento della dicotomia tra scienza e lettere. Abbiamo voluto evidenziare questo aspetto della poetica dell’autore per far rilevare come per lui fare poesia significhi fondamentalmente riflettere sull’esistenza e sulla capacità di riuscire a comprendere anche la scientificità della realtà, attraverso la passione poetica.
Quel che piace della poesia di Giuseppe Macauda, è, concludendo, la capacità di far incontrare “interiorità e realtà”, di veritare nel mistero della natura e dell’esistenza, di addentrarsi nel “nunc fluens” e nei segreti più nascosti della vita connotandosi come strumento necessario per conoscere se stessi e offrendo orizzonti di cambiamento ad ogni uomo mentre “respira il proprio tempo”.

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© Riproduzione riservata

2 commenti su ““Respiro il tempo”, libro di Giuseppe Macauda…di Domenico Pisana”

  1. Giuseppe Macauda

    Sinceramente commosso ringrazio pubblicamente Domenico Pisana, critico letterario di fama internazionale, per avermi donato una meravigliosa recensione, dalla quale emergono le sue cristalline ed irraggiungibili doti ermeneutiche.
    Grazie, critico immenso; grazie amico generoso!

  2. orazio ispettore privato

    Mi occupo di ispezioni e non di poesia . Tuttavia , a primo acchito e dalla lettura delle poesie riportate , mi è sembrato di capire che il poeta senta , giunto a una tappa del cammino , il bisogno di protendersi ad abbracciare con tutte le facoltà della mente , il significato del cammino e del tutto e di trarre le sue conclusioni , se così fosse , meglio astenersi da pretese di esaustività , accontentarsi di spiragli e accettare che le profondità del reale e l’esplorazione ispettiva di queste , sovrastano le facoltà della mente umana , che può solo accontentarsi di sentirsi come naufragare dolcemente nell’ oceano-

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