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La chiesa di Francesco nel libro di Rumeo…di Domenico Pisana

"La mistica della strada e il Vangelo della gioia e della misericordia. La Chiesa secondo Papa Francesco"
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Un’opera notevole ove la cultura teologica dell’autore si armonizza, in modo straordinario, con l’esperienza pastorale del sacerdote e del vescovo che tende a portare il vangelo lungo le strade della vita. E’ questa l’impressione che suscita, a primo impatto, il libro del Vescovo di Noto Mons. Savatore Rumeo, dal titolo “La mistica della strada e il Vangelo della gioia e della misericordia. La Chiesa sscondo Papa Francesco”, titolo che contiene già in sé le dichiarazioni di un percorso profetico-pastorale che intende incarnarsi in una società in continuo cambiamento, affinché la fede diventi realtà importante capace di dare senso all’esistenza umana e di raccontarsi agli uomini.
Il libro di Rumeo non lascia per nulla indifferenti, perché nei suoi sette capitoli è disegnata l’immagine di un “chiesa in uscita”, “ospedale da campo”, pensata e voluta da Papa Francesco, e nella quale ogni persona, accogliendo il vangelo di Cristo, può fare esperienza di vita piena, di gioia, di amore e della misericordia divina.
Molto significativa la provocazione ossimorica dell’accoppiamento “mistica-strada”; se infatti la mistica fa pensare al tempio ove il cristiano si sublima in una esperienza di vita interiore e di intima unione con Dio, la strada fa pensare alla città, al quartiere, ai luoghi di lavoro, di ritrovo, di aggregazione spesso lontani dalla chiesa. L’autore intende così sottolineare che il luogo dell’evangelizzazione è, primariamente, il territorio e pertanto, come ben sottolinea egli nel primo capitolo del volume, occorre una “pedagogia dello sguardo”, lo sguardo di una chiesa locale itinerante capace di “riscoprire Gesù” e aiutare gli uomini a riscoprilo nella quotidianità del cammino , affiancandosi a loro come Gesù si affiancò ai due discepoli lungo il cammino per Emmaus. Scrive Rumeo a pag, 93:

“…la strada è la vita e la vita si incarna sulle strade degli uomini di ogni tempo senza distinzione alcuna. La chiesa, nella sua esperienza secolare, non ha mai smesso di vivere e praticare il pellegrinaggio…Il pellegrinaggio è un cammino divino, è metafora della vita quotidiana”.

Quello di Rumeo è un chiaro invito al passaggio da una gestione pastorale della Chiesa dispersa a volte in molte attività interne, ad una Chiesa che ritrovi le cose essenziali della fede e sappia testimoniarle come pellegrina sulle strade dell’uomo, mediante un radicamento nel territorio, e con la consapevolezza e convinzione che è “lungo le strade” che gli uomini e le donne devono poter sentire riscaldato il proprio cuore dal Vangelo e dalla Parola che salva.

Il Vangelo della gioia. Dire Dio in periferia

Per Salvatore Rumeo necessita una “conversione pastorale” sulle orme indicate da Papa Francesco; il cap. III del libro porta infatti un titolo paradigmatico: “Il Vangelo della gioia. Dire Dio in periferia”. “Dobbiamo – scrive Rumeo – porci dinanzi ad una Chiesa che riesca a dialogare con tutti, a ricercare e rimettersi sulla frequenza dello Spirito di Dio per comprendere il significato più vero del suo essere strumento di salvezza per chi crede”.
La chiesa della nuova evangelizzazione deve essere una chiesa che annuncia il vangelo della gioia; basta – come afferma Papa Francesco in Evangelii Gaudium – con gli evangelizzatori che hanno costantemente “una faccia da funerale” o che imprigionano il Cristo in “schemi noiosi”.
Papa Francesco invita a mettere il sorriso nel vissuto delle giornate, nel dialogo in famiglia, nel lavoro, nelle relazioni interpersonali. Un sorriso che non è mera sdolcinatura, buonismo, accondiscendenza cieca, né una semplice assunzione di un volto sereno e raggiante; il sorriso è la capacità di leggere la storia anche al positivo; la capacità di aggiustare le cose senza ricorso a troppe parole; è saper aprire la strada al dialogo, disporre la mente e il cuore all’ascolto; è disponibilità a non trasformare l’incontro in scontro, il colloquio in conflitto, la diversità in uniformità.
Il sorriso è ammettere che l’altro esiste; che l’altro è persona alla quale occorre dare e dalla quale si può anche ricevere.
Oggi, come si può dedure da questo concetto di “Vangelo della gioia”, è necessario per i credenti mettere un pizzico di sorriso nelle giornate; sì, è vero, spesso “non dura che un istante”, un attimo, il tempo dell’alito di un respiro; sì, è vero, il sorriso è fugace, passeggero, lento ad esprimersi, tardo a venire alla luce, ma quando nasce e si riesce a donarlo a qualcuno con sincerità e spontaneità, il suo ricordo, direbbe Faber, rimarrà a lungo nel cuore di colui al quale è stato donato.
La Chiesa della nuova evangelizzazione tracciata da Rumeo in questo libro è dunque la “Chiesa in uscita”, è la “Chiesa dei poveri”, è la “Chiesa dell’ospitalità”, è la Chiesa che incarna una “pastorale popolare” chiamata a superare alcuni ostacoli, quegli ostacoli che Papa Francesco indica in Evangelii Gaudium.
Anzitutto la teologia del museo: spesso si ha la sensazione che tutta la vita delle comunità ecclesiali, – scrive Francesco – sia un “pezzo da museo in possesso di pochi” da conservare con una “cura ostentata della liturgia, della dottrina, del prestigio della chiesa”. Questo è un ostacolo, perché non aiuta a vivere autentici rapporti interpersonali di fede e a scoprire il volto dell’altro.
In secondo luogo lo snaturamento della missione della Chiesa, che a volte scade – secondo l’esortazione di Papa Francesco – in un attivismo ove si nasconde “il fascino di poter mostrare conquiste sociali e politiche, o in una vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, o in una attrazione per le dinamiche di autostima e di realizzazione autoreferenziale, o ancora in un ‘funzionalismo manageriale’, carico di statistiche, pianificazioni e valutazioni, dove non c’è un beneficio per il popolo di Dio, ma solo per la chiesa come organizzazione”, (E.G. n.95); parole davvero profetiche che mettono in guardia le comunità dal rischio di rinchiudersi in un gruppo di elìte senza fervore evangelico, ma che gode di un “autocompiacimento egocentrico”.
E infine un terzo ostacolo: lo scollamento e la perdita di contatto con la realtà sofferta del popolo di Dio: spesso la chiesa parla “di quello che si dovrebbe fare” o meglio di quello che dovrebbero fare gli altri”, e allora si fanno piani di evangelizzazione perdendo di vista la realtà.
Il quarto, il quinto e il sesto capitolo del libro ruotano attorno alla categoria biblica della misericordia, che è stata al centro del Giubileo del 2015. Mons. Rumeo nel suo percorso prende in esame alcuni aspetti di teologia come le opere di misericordia corporale, spirituale e i vari dinamismi strutturali e le declinazioni della misericordia, sottolineando come la visione di Papa Francesco sia – scrive Rumeo – quella di “far comprendere ai fedeli che non basta farsi prossimo. La misericordia anticipa, ha un valore temporale e quindi la misericordia è quella virtù di amore, che non solo permette di essere vicino all’altro, ma di anticiparlo…La misericordia è il dispiegarsi dell’amore nella quotidianità ed invita a rispondere ad una chiamata che interpella le coscienze”. Non a caso Rumeo definisce Francesco apostolo della misericordia.
Nel cap.5 l’autore passa in rassegna, in oltre 100 pagine, le opere di misericordia corporale: – Dar da mangiare agli affamati – Dar da bere agli assetati – Vestire gli ignudi – Alloggiare i pellegrini – Visitare gli infermi – Visitare i carcerati – Seppellire i morti; e le opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi – Insegnare agli ignoranti – Ammonire i peccatori – Consolare gli afflitti – Perdonare le offese – Sopportare pazientemente le persone moleste – Pregare Dio per i vivi e per i morti.

La misericordia della chiesa sullo stile del buon samaritano

Dalla analisi che Salvatore Rumeo fa di queste opere di misericordia, emerge un dato fondamentale. La misericordia deve essere lo stile di vita di una chiesa che vuole annunciare il vangelo nella direzione di una ricostruzione della società in cui la giustizia sia accompagnata dalla misericordia. Egli, infatti, nel cap.VII sogna una Chiesa misericordiosa sullo stile del buon samaritano; scrive infatti:

“la misericordia è una risorsa indispensabile per questo nostro mondo. E’ il tesoro che il mondo non possiede, sono quelle scintille che pure abitano nel cuore degli uomini, ma che è difficile fare divampare. Ecco perché il cristianesimo è indispensabile al mondo . Purché, ovviamente, i cristiani alimentino quella luce che hanno ricevuto in dono, ossia l’amore e la misericordia. L’amore per gli altri, la misericordia per i deboli, sono la prova che l’amore del Padre sono in noi”.

Dunque, l’insegnamento che viene da questo libro è far capire alle comunità ecclesiali che il fratello, l’altro è un dono, non può essere mai “un ingombro”, e che non si farà mai abbastanza in fatto di misericordia spirituale e corporale, anche perché i bisogni sono immensi e obbiettivamente superiori alle forze umane.
Se la Chiesa è segno della presenza di Cristo nell’hic et nunc della storia, e se tutta la vita di Gesù si è essenzializzata nell’annuncio della misericordia, è fuor di dubbio che missione della Chiesa è “annunciare” la misericordia, “celebrarla” nella liturgia, “praticarla” nella prassi pastorale, atteso che è con la misericordia che la Chiesa, intesa come popolo sacerdotale in cammino guidato dai suoi Pastori, può far risplendere il volto di Gesù.
L’annuncio della misericordia è il cuore del vangelo. Misericordia è un termine che si compone di due parole: miseria e cuore. Ebbene la miseria è costituita da tutti quei vizi che crescono nell’ anima (superbia, invidia, ira, accidia, viltà, connivenza, omertà, egoismo, odio, risentimenti, divisioni, gelosie, fazioni e quant’altro) mentre il cuore che ama e perdona è quello di Gesù, il quale questa miseria umana da un lato la vede , ma dall’altra non la giudica, anzi la assume per redimerla e per cambiarla con l’amore e il perdono.
La misericordia “della” Chiesa non è, tuttavia, una sorta di passaporto con il quale ognuno può fare quel che vuole, tanto – si potrebbe pensare – il perdono Gesù non lo nega a nessuno; al contrario è un segno che impegna la Chiesa alla testimonianza e ad evitare di pensare di essere dispensata dalla conversione.
Dunque l’annuncio della misericordia non è cedimento sulle verità della fede né indebolimento delle esigenze etiche che derivano dalla sequela di Gesù, ma il fondamento e il principio ermeneutico per l’interpretazione e l’applicazione delle verità di fede, nonché la testimonianza di uno stile di vita della Chiesa che è chiamata ad essere e a presentarsi come Madre misericordiosa che accoglie tutti, come “ospedale da campo” per usare la bella immagine di Papa Francesco.
Il Gesù dei vangeli è il Gesù che fa della misericordia la sua missione, se è vero che è venuto proprio per i malati nel corpo e nello spirito; l’annuncio della sua misericordia ha toccato figure discutibili, come Matteo Levi, Zaccheo, Simone il fariseo, Maria di Magdala, pubblicani e faccendieri, ipocriti e malfattori, ricchi e poveri; egli non ha messo i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, ma ha donato amore e misericordia senza pregiudizio né giudizio.

La missione della Chiesa è annunciare il vangelo scegliendo i poveri

Alla luce di tutto questo, la misericordia non ha solo una dimensione sociale ed ecclesiale, ma una dimensione cristologica e mistica. Gesù è venuto per annunciare il Vangelo della misericordia, la lieta novella ai poveri (Lc 4,18). Lui che era ricco si è abbassato e si è fatto povero e debole fino alla croce (2 Cor 8,9). Questa kénosis, cioè questo auto-abbassamento, questa auto-spoliazione ed auto-umiliazione trova un prolungamento nel suo corpo mistico che è la Chiesa e si essenzializza nei poveri. E allora la missione della Chiesa è annunciare il vangelo scegliendo i poveri, testimoniare un altro modo di essere: non quello del potere e dell’affermazione, ma quello della povertà evangelica. La misericordia annunciata da Gesù non è regolata da un prontuario di verità morali da applicare alla vita, ma da una relazione personale che egli chiede all’uomo, da un rapporto di reciprocità che egli intesse con coloro che vogliono diventare suoi discepoli.
La Chiesa sa bene che la misericordia è la strada su cui deve camminare, che nel povero c’è una presenza privilegiata di Gesù, e quindi non può esserci chiesa senza la scelta dei poveri, non per opportunismo o per pietismo, ma per una testimonianza credibile dell’amore misericordioso di Dio. Nel libro di Rumeo c’è un insegnamento chiaro: gli uomini del nostro tempo vogliono vedere la misericordia “della” Chiesa ad intra, e la misericordia “nella” Chiesa ad extra, ossia quella che si storicizza nei territori tra comunità e comunità, parrocchie e parrocchie, cristiani e cristiani, quella misericordia che si nutre della carità di Dio che “è paziente, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto , non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità”(I. Cor. 13,4-6).
Gli uomini di oggi vogliono vedere nella Chiesa “la carità che si compiace della verità”, vogliono toccare con mano la misericordia di Dio in “parole, intenzioni, atteggiamenti ed azioni”; allora sì, essa davvero risplenderà come sole nel mattino e tutti abiteranno nella tenda del Verbo, una tenda che non è omologabile ad una qualsiasi organizzazione caritativa, ad una società di mutuo soccorso, ad uno dei tanti enti umanitari presenti nella società.
Il libro di Salvatore Rumeo ci offre una pluralità di riflessioni teologiche e pastorali che vanno nella direzione della Chiesa che Papa Francesco sta guidando verso la novità che ha portato Gesù, e che consiste in una prassi di compassione per le sofferenze di uomini e donne, e che porta alla loro guarigione e liberazione dalle potenze che dominano questo mondo.

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