I fatti di cronaca, di violenza, di bullismo, le gravi aggressioni da parte di baby gang che in questi giorni stanno coinvolgendo giovani e minori e che stanno rimbalzando sui social e sui media, inducono a riflettere quanto sia urgente “ri-focalizzare” l’attività educativa nella famiglia e, in particolare, nella scuola.
Questi fenomeni, che hanno bisogno sicuramente di misure legislative, non possono risolversi solo con decreti legge e norme, ma occorre qualcosa di più. Occorre riconsiderare il problema educativo dei giovani, che coinvolge tutta la società nelle sue articolazioni: la famiglia, la politica, le istituzioni, la cultura, la chiesa, le associazioni. La scuola ha sicuramente un ruolo determinante; essa deve domandarsi: chi educhiamo? Se c’è un punto comune per tutti è che il compito della scuola è quello di educare la persona: un essere unico e irrepetibile; c’è la necessità di “riaccendere desideri e speranze che lascino intravedere – pur nel nostro difficile tempo – la concreta affermazione di un nuovo umanesimo.
C’è altresì la necessità, nella scuola delle nuove tecnologie, di non perdere di vista l’impianto pedagogico che poggia sulla lezione dei grandi padri della pedagogia del ‘900, Nell’attività di insegnamento, infatti, l’individuo non è un “cliente” ma “una persona” proiettata ad essere protagonista di se stessa; pertanto, come sosteneva Rogers, occorre una pedagogia non direttiva, nel senso che non deve essere il docente a cambiare l’alunno, ma è l’alunno che deve cambiare e si deve formare mentre apprende.
Nella scuola di oggi appare importante e urgente rivedere radicalmente il ruolo e la funzione dell’insegnante, il quale fa già tanto, ma è chiamato soprattutto a mutare la propria concezione della didattica, a rivedere la propria capacità di relazionarsi; il suo compito, direbbe Rogers, è quello di evitare un “apprendimento insignificante” e imposto dall’esterno e di provocare, invece, un “apprendimento significativo” che coinvolge l’esperienza e che nasce dai processi vitali profondi della persona. Questa centralità della persona trova anche la sua radice in Maritain, sostenitore di un umanesimo integrale, capace di superare ogni riduzionismo e di accogliere tutte le espressioni dell’uomo, tutti i suoi valori, tutta la sua personalità. Il fine di ogni attività di insegnamento è dunque l’educazione della persona e la scuola ha il compito di provvedere alla sua formazione, che non dovrà essere esclusivamente umanistica ma dovrà superare la divisione tra discipline umanistiche e tecnico-scientifiche lungo un itinerario curricolare che faccia seguire ad un corso di base un corso di orientamento verso scelte di vita mature e culturalmente definite.
Se “chi educhiamo” è una persona, occorre ritornare a riflettere sulla visione che il docente della scuola di oggi ha dell’apprendimento degli allievi. L’apprendimento, in questo quadro di personalismo pedagogico, deve diventare un processo che produce nello studente un cambiamento nel modo di pensare, agire e operare relativamente stabile, in quanto coinvolge sia l’ambito ideazionale(si apprendono concetti, idee, strutture, valori), sia il campo affettivo(si apprendono atteggiamenti valoriali, gusti, si formano inclinazioni, pregiudizi, ), sia l’ambito motorio, poiché si apprendono abilità, gesti, espressioni e tratti esteriori.
La scuola può raggiungere il suo obiettivo di educare istruendo solo quando si dimostra capace di determinare negli studenti il passaggio da un “apprendimento meccanico” , che avviene allorché l’allievo lascia ai margini i nuovi contenuti acquisiti rispetto a quelli già in suo possesso non procedendo alla loro ristrutturazione, ad un “apprendimento concettuale”, caratterizzato dalla capacità dello studente di comprendere il significato di un fatto, di dare soluzione ad un problema, di fare sintesi e di saper fare una operazione di induzione e deduzione, e, altresì, ad un “apprendimento significativo”, che avviene quando l’allievo comprende e collega i contenuti che acquisisce con quelli in suo possesso, operando una riorganizzazione cognitiva autonoma e in grado di avvertirne la pertinenza e la proiezione sul suo itinerario formativo.
Educare istruendo esige allora “ri-pensare” la propria attività di insegnamento con la consapevolezza che nell’apprendimento intervengono spesso delle variabili che possono determinare il successo o il fallimento. Esistono infatti variabili intrapsichiche quali la struttura cognitiva dell’allievo, le sue attitudini evolutive, le capacità intellettive, i fattori motivazionali e quelli relativi alla struttura della sua personalità; vi sono però anche variabili situazionali che possono determinare il successo o meno dello studente, quali il metodo utilizzato, la strutturazione del materiale didattico, le dinamiche del gruppo-classe e, in particolare, le caratteristiche del docente a livello di competenze professionali, abilità pedagogiche e atteggiamenti comportamentali.
- 18 Settembre 2024 -