
“Il cristianesimo anarchico di Fabrizio De André”, Edizioni Messaggero Padova, è un interessante libro scritto da Andrea Pitrolo, sacerdote della Diocesi di Noto; un testo che tocca una tematica molto rilevante nel nostro tempo, vale a dire il rapporto tra due mondi: quello della fede e quello dell’arte musicale. Due mondi apparentemente distanti, ma che in realtà si “con-fondono” nella quotidianità ordinaria dell’esistenza.
Il protagonista di questo libro non è Fabrizio De André, ma Gesù Cristo, del quale il cantautore genovese (1940 -1999) si fa ermeneuta, esegeta sui generis, interprete in libertà al di fuori e al di sopra di ogni dimensione dogmatica, stando a quanto scrive Pitrolo.
La ricerca dell’autore è abbastanza attenta, misurata e poggia su una analisi certosina di alcune opere musicali di De André con l’intento di lanciare un messaggio, in particolare ai giovani: la musica, da sempre, è stata una grande forma di comunicazione rivolta a tutti, credenti e non credenti, ma oggi, tempo dei social, della comunicazione veloce, può diventare mezzo interessante per testimoniare “il lieto messaggio di quel Dio la cui presenza – scrive nel suo saggio Andrea Pitrolo – non smette di ‘aleggiare’ (cfr. Gn 1,2 ) sulle nostre vite”.
“Il cristianesimo anarchico di Fabrizio De André” è un testo di “spiritualità musicale” che contiene un approccio alla figura di Gesù da parte di un cantautore che ha fatto la storia della canzone italiana.
I testi esaminati dall’autore del volume, sono sempre sospesi tra anarchia e misticismo, solitudine e libertà e indagano sul senso evangelico-teologico delle canzoni di Fabrizio De André.
Il corpus scrittorio si divide in tre capitoli che analizzano il Fabrizio De André definito evangelista involontario, temi di teologia deandreiana quali Cristo, l’amore e la morte, e alcune opere che maggiormente definiscono il suo cristianesimo anarchico: “Si chiamava Gesù”, “La buona novella” e “Il testamento di Tito”.
Ma chi è il Gesù che De André canta nelle sue canzoni? Andrea Pitrolo dà una riposta a tale domanda, e per questo vale la pena leggere il suo libro; per capire tuttavia il senso di questa domanda e rispondere ad essa, occorre tenere conto del contesto storico, sociale, culturale, religioso e politico nel quale il cantautore genovese presenta al pubblico le sue canzoni.
Si tratta, particolarmente, del contesto degli anni 60 -70. L’Italia, uscita dalla guerra, si avvia verso una fase di ricostruzione; c’è un fermento di democrazia che si agita alla base, c’è un movimento studentesco e di contestazione giovanile che scalpita nelle scuole, c’è un movimento femminista che scende nelle piazze per rivendicare il ruolo e i diritti delle donne, c’è un bisogno di liberalizzazione sessuale, c’è tutto un movimento di contestazione che sfocia nei cosiddetti “anni di piombo” che caratterizzano gli anni ‘70 fino agli inizi degli anni ‘80 e che vedono la sfida allo Stato da parte delle Brigate Rosse con il rapimento e l’uccisione di Moro, la strage di piazza Fontona, attentanti nelle università e nelle fabbriche.
In questo quadro storico del tempo, anche la canzone subisce un mutamento: si vuole andare oltre la cosiddetta musica leggera trionfante nei Festival di Sanremo e aprire strade verso una musica engagéé, musica impegnata di cantautori come Battiato, Guccini, Bennato, De Gregori, il De André del libro di Andrea Pitrolo. In questo contesto di mutamenti quantitativi e qualitativi, De André propone con molta originalità il testo de “La buona novella” per raccontare il senso dell’essere uomo attraverso Gesù; cosa, questa, gli portò molte critiche: il suo disco venne infatti ritenuto anacronistico dalla critica musicale.
Certo è che dopo duemila anni di storia, la figura di Gesù fa ancora oggi discutere animatamente in tutti i settori della vita dell’uomo: da quello scientifico a quello culturale e filosofico, da quello etico a quello religioso, a quello cinematografico, teatrale ed artistico musicale. Di Gesù Cristo, tra ‘800 e ‘900 in particolare, sono state dette le cose più disparate; da una parte non sono mancati gli apologeti fanatici, dall’altra i negatori agnostici e positivisti. Gli hippies hanno visto in lui un “superstar”, certi marxisti un “socialista”, alcuni un “profeta”, altri un “maestro di vita”, altri ancora un “filosofo saggio e sapiente”. Quello di De André, stando al libro di Andrea Pitrolo, sarebbe un “rivoluzionario anarchico!” .
Certo è che il cantautore genovese, non possiamo sapere se per strategia o per sentimento umano di condivisione, è inciampato nella figura di Gesù, e ci dà del nazareno l’immagine di un “rivoluzionario”; tale immagine, del resto, ha trovato da sempre ispirazione in tanti gruppi anarchici e di protesta che hanno esaltato la figura di Gesù come di uno che è entrato in lotta con i gruppi dominanti e i grandi proprietari terrieri del tempo, condannando l’oppressione e mettendosi dalla parte dei poveri, degli emarginati, dei miseri e dei dimenticati, quasi alla stregua di guerriglieri del tipo Che Guevara e Camillo Torres.
Da questo libro di Andrea Pitrolo emerge che il Gesù cantato da De André presenta tratti simili all’uomo Gesù descritto nei vangeli, cioè come una persona appassionata per una “causa”: il regno di Dio. Gesù, secondo i vangeli, impegna infatti la sua vita per questa “causa” con l’azione e con la parola, per cui svolge una notevole azione liberatrice, liberando uomini e donne dal peso di una esistenzialità fallita; va alla ricerca di una comunione con i più deboli, gli emarginati e disprezzati della società del tempo, con le folle povere ed ignoranti, con i peccatori e i pubblicani, con le donne e i bambini (Cfr Mt 9,10-13; Lc 5,19-32).
Fabrizio De André intuisce che negli anni ’60 è maturata una rivoluzione culturale che contesta l’autorità, che chiede libertà, democrazia e allora si inserisce nel panorama musicale con la sua “buona novella”. Ecco cosa dice egli stesso in un intervista rilasciata a Giampaolo Mattei, autore del libro “Anima mia, Piemme, 1998 p.109:
“Ho scritto quelle canzoni in pieno 1968 e resto convinto che abbiano una carica rivoluzionaria. Con quel disco ho voluto dire ai miei coetanei di allora: guardate che le nostre stesse lotte sono state già sostenute da un grande rivoluzionario, il più grande rivoluzionario della storia. Molti ritennero il mio disco anacronistico perché parlavo di Gesù Cristo nel pieno della rivolta studentesca. Eppure ciò che gli studenti volevano non era poi così lontano dagli insegnamenti di Cristo: abolizione della classe sociale e dell’autoritarismo e creazione di un sistema egualitario.
Tutti coloro che pretendono di fare rivoluzioni – afferma De André – devono guardare l’insegnamento di Gesù. Lui ha combattuto per una libertà integrale, piena di perdono. Al contrario di certi casinisti nostrani che combattono per imporre il loro potere. Nessuno, ad esempio, mi toglie dalla testa che Cristo avrebbe salvato tutti e due i ladroni che stavano sulla croce accanto a lui, sì, anche quello cattivo. Ma forse il suo “ufficio stampa”, gli evangelisti, non hanno voluto. Ecco così ribadita l’attualità della mia vecchia canzone “Il testamento di Tito”.
De André pur palesando riserve e critiche verso il cristianesimo, non si dimostra un nemico di Gesù, accoglie la sua carica “rivoluzionaria”, cerca l’humanitas del nazareno nella chiesa ma fa fatica a trovarla, lasciando nell’ombra la dimensione divina di Gesù, che ha fatto e continua a fare di Lui il salvatore del mondo.
Al di là delle espressioni connotative usate da Fabrizio De André, una cosa è chiara: Gesù non è stato un romantico dell’amore e della povertà né un astuto diplomatico né un guerrigliero rivoluzionario in cerca di potere; egli ha proposto una rivoluzione diversa: non ha fatto la rivoluzione ma ha vissuto da rivoluzionario testimoniando l’amore del Padre. Se è vero infatti che egli non ha creato un sistema politico, è vero che ha invocato la politica come liberazione; se non è stato il fondatore di un movimento ideologico, è pur vero che ha creato una comunità di credenti con alla base dei valori di pace, di amore, di giustizia, di fratellanza e di condivisione comuni a tutta l’umanità.