Ogni giorno l’assistente sociale Maud Drennan lascia il suo piccolo appartamento situato in periferia per andare nell’elegante e vasta area londinese chiamata West End, precisamente a Bridlemere, che un tempo fu la sontuosa dimora della famiglia Flood ed ora è diventata la “tana” di Cathal Flood, l’anziano e burbero padrone di casa, più a suo agio con i gatti che con gli esseri umani.
Pare che proprio Cathal abbia steso a colpi di mazza l’ultimo assistente che aveva provato a fare ordine tra le sue (milioni di) cose.
perciò Maud prepara a Cathal un pasto caldo ogni giorno e, nel frattempo, cerca di farsi strada tra fasci di giornali, pile di menu di pizzeria o mucchi di scatolette vuote per riportare un po’ di ordine nel caos, conquistandosi uno spazio più ampio ogni volta e cercando di non far infuriare l’anziano ed enigmatico proprietario della casa.
E più la protagonista conquista terreno, apre porte e finestre, più la casa la accoglie e le lascia messaggi: è successo qualcosa a Bridlemere, qualcosa di terribile e funesto, che non è mai venuto alla luce. Maud inizia così un’indagine, una ricerca della verità sotto strati di polvere e ricordi. In questa ricerca, Maud si fa aiutare da Renata, sua eccentrica padrona di casa oltre che appassionata di libri gialli, e da una cerchia di amici alquanto improbabile: uno stuolo di Santi, impiccioni e sarcastici. Maud è l’unica che riesce a vedere i Santi e ho trovato il loro inserimento all’interno della trama un colpo di genio. Pian piano se ne capisce il carattere e la natura, la gentile spinta dei Santi nei confronti di Maud, il volerla proteggere e aiutare. E una cosa è certa: San Valentino non è mai stato così irriverente!
Con fascino eccentrico e una vena noir molto poetica, “La follia dei Flood” è un romanzo che fa il giocoliere nel confine tra peccato e santità, e veste di leggerezza (e a tratti anche di comicità) il genere gotico.
Il libro è scritto molto bene, con uno stile mai banale, sempre scorrevole e con descrizioni accurate, e con dialoghi brillanti che danno smalto e ironia al racconto.
Delia Covato