
Al mio primo approccio a Pianeta Donne. Poetesse italiane del 2000, Casa editrice Kimerik , 2022, dedicato a ben 19 poetesse italiane contemporanee,(ndr Laura Barone , Luisa Bolleri, Ester Cecere, Daniela Cecchini, Flaminia Cruciani, Adele Desidenche ri, Sandra Guddo, Rita Iacomino, Maria Teresa Infante, Lidia Loguercio, Adriana Gloria Marigo, Serenella Menichetti, Cecilia Minisci, Antonella Montalbano, Iole Chessa Olivares, Claudia Piccinno, Giuseppina Rando, Cinzia Sciuto e Tina Ferreri Tiberio) ho avuto qualche vertigine, a causa del considerevole numero di ritratti di poetesse riunite in questo bel volume, sulla cui copertina sono riprodotti dei dipinti di Guido Cicero, anch’essi, non a caso, ritratti di donne. Sia Domenico Pisana che Guido Cicero sono nativi di Modica, una città ricca di cultura e di raffinati talenti. E il libro che qui si presenta conferma questa nobile tradizione della capitale dell’antica Contea.
Le immagini all’interno del libro sono invece a cura dello stesso Autore, e consistono nella riproduzione in bianco e nero di un ritratto fotografico di ciascuna poetessa e della riproduzione della copertina dei libri da cui sono tratte le poesie antologizzate. Desidero inoltre segnalare la bellissima dedica che recita: “A due donne speciali: le mie figlie Carmen e Miriam, che hanno scelto la Letteratura come strumento per la formazione dei giovani”, e per la quale faccio i miei complimenti al padre per avere educato le figlie all’attenzione e alla sensibilità verso la Letteratura.
Desidero ora entrare in medias res cercando di presentare brevemente, nei limiti consentiti, il lavoro delle poetesse italiane contemporanee scelte da Domenico Pisana, a sua volta poeta riconosciuto (ben 10 volumi di poesia al suo attivo) e instancabile saggista, intellettuale e promotore di cultura – (su tutto voglio almeno ricordare la Fondazione nonché la Presidenza del Caffè letterario Salvatore Quasimodo) -, e della cui formazione vasta e articolata mi preme citare il suo Dottorato in Teologia Morale.
Naturalmente ho dovuto operare a mia volta una selezione tra le diciannove poetesse, scelte dall’Autore sicuramente tra una massa ancora più ampia di voci. Infatti, se da un lato si osserva già da parecchi anni una certa emarginazione della figura del Poeta nella nostra civiltà, dall’altro assistiamo ad un inarrestabile nascere e insistere di poeti e poetesse che non vogliono sacrificare la loro voce, ed è impossibile seguirli tutti. Quindi ben venga questa recente raccolta di Domenico Pisana che mi ha permesso di accostarmi a delle poetesse finora tutte inedite per me, eccetto una, Cinzia Sciuto, della quale ho letto per la prima volta i suoi versi in vernacolo proprio grazie a Pianeta Donna. Si tratta dell’unica poetessa dialettale compresa nella silloge. E da lei voglio partire per poi procedere con la mia piccola galleria.
Cinzia Sciuto, come è noto, è una meravigliosa artista, cantautrice e cantastorie – erede tra l’altro della grande tradizione di Rosa Balistreri -, che ho conosciuto più da vicino in occasione della prima edizione del Premio di Poesia Città di Catania Dora Coco, allorquando ci allietò col suo suggestivo e malinconico canto. In seguito fui contattata da Cinzia per la presentazione di Pianeta Donna, dove anche lei figura, come è stato detto, tra le diciannove poetesse antologizzate.
Ora, un motivo, in particolare quello del vento, mi ha particolarmente colpita nei versi di Cinzia Sciuto che Domenico Pisana sottopone all’attenzione dei lettori: Cancia lu ventu (tratta dalla raccolta eponima Cancia lu ventu) dove ci si imbatte in una inedita figura del “vento” al contempo foriero di vita e di morte, come dice il refrain Cancia lu ventu / e si porta appressu la me’ vita / pp’abbuffuniari la morti (“Cambia il vento / e si porta con sé la mia vita /per raggirare la morte”) (p. 177). Oppure si confonde col suono del lamento, col quale risuona in splendida rima, nella poesia Visti lu suli (Ho visto il sole): Addivintamu vucchi / ca isano muri di minzogni / e poi ni scantamu / quannu lu murmuriu di lu ventu / addiventa lamentu (“Diventiamo bocche / che alzano mura di menzogne / e poi ci spaventiamo / quando il mormorio del vènto /diventa lamento” (pp. 178-179), dove spicca la ripetizione della vocale u e delle nasali n ed m: Addivintamu, vucchi, muri, scantamu, quannu, lu murmuriu, lu ventu / lamentu.
Ora, Pisana procede alla presentazione delle 19 poetesse secondo un modo di lettura o, se si preferisce, un commento assai originale che definirei ‘racconto critico-ermeneutico’ intercalato dalle citazioni di alcuni versi delle varie poetesse, che costituiscono al contempo la fonte e la conferma del suo discorso critico, corroborato anche da precise notazioni tecniche e retoriche e da citazioni di poeti, artisti, filosofi (Ungaretti, Quasimodo, Saba, Seneca, Munch, Paul Celan, Dante, Heidegger, Luzi, Vittorini, Lucilio, Bukowski, Hannah Arendt, Alda Merini, Kierkgaard, Vittorio Sereni, Oscar Wide, Eraclito…, l’elenco sarebbe sterminato). E alla fine di ognuno di questi coltissimi racconti critico-ermeneutici, vengono riportate per intero alcune poesie di ciascuna poetessa. Da questa prospettiva non si dovrebbe a rigore parlare di Antologia, a proposito di Pianeta Donna, bensì di un lungo Racconto suddiviso in capitoli, ciascuno dedicato al ritratto di una poetessa.
L’ordine col quale Domenico Pisana ha proceduto alla sua raccolta è quello alfabetico. Si va infatti da Laura Barone a Tina Ferreri Tiberio. L’ordine alfabetico è comunque un ordine esterno, poiché è soprattutto il segmento temporale, gli anni Duemila, che motiva e accomuna la scelta delle nostre poetesse, non a caso il sottotitolo di Pianeta Donna recita: Poetesse del 2000. Se si leggono poi i medaglioni bio-bibliografici dedicati a ciascuna poetessa, si nota che sono tutte (o quasi tutte) nate a metà circa del secolo scorso, appartenenti quindi, con qualche anno di differenza, alla stessa generazione o a generazioni limitrofe. Si tratta perciò di poetesse oggi mature e ancora attive.
Mi soffermerò solo su alcune di loro e, dopo Cinzia Sciuto che è la diciottesima e dalla quale ho voluto iniziare, torno alla poetessa che apre la lunga lista: Laura Barone nata a Sesto San Giovanni nel 1959.
La poesia di Laura Barone nella raccolta del 2016 Germogli di sole, è una poesia che si muove “tra cielo e terra”, afferma Domenico Pisana il quale, secondo un metodo a lui caro e che trovo particolarmente consonante, riconduce ad una fonte biblica la genesi di questa raccolta. Il titolo Germogli di sole ad esempio rilancia secondo il critico, quel verso evangelico che afferma: “Se il chicco di grano non muore, non porta frutto”. (1) E Laura Barone, rovistando “tra le pagine del passato”, il suo “chicco d’allegria” dice di averlo trovato:
“… dormiva quieto,
abbracciato alla mia pena,
e si è svegliato per ricordarmi
che sono nata per essere serena” (p. 10)
Un’allegria tuttavia che non rimuove il dolore della vita, ma comunque: “Un dolore composto, mai gridato, […]; un dolore che apre l’anima al colloquio con ‘un Dio sbadato / che più non dona raggi al Suo creato’ e al quale la poetessa chiede pace” (p. 12).
Ho voluto citare questi passaggi del commento dedicato a Laura Barone per sottolineare specialmente due fenomeni relativi ai versi intercalati da Domenico Pisana: dapprima il fenomeno tecnico-formale, e cioè che siamo davanti a un dettato poetico apparentemente tradizionale. Si sarà notata la rima, la linearità del costrutto sintattico, nonché la trasparenza del lessico. Ragion per cui difficilmente si situerebbero questi versi nei nostri complicati anni Duemila, come invece testimonia il lavoro di altri poeti contemporanei, più giovani delle nostre 19 poetesse, e che si muovono in tutt’altro universo poetico e linguistico, operando in qualche modo una frattura irreversibile con la nostra tradizione poetica. Penso in particolare al fascicolo (n. 49 Aprile 2020) della Rivista Internazionale Poeti e Poesia (diretta da Elio Pecora), che mi è capitato di sfogliare di recente.
A conferma tuttavia che, con Laura Barone siamo comunque negli anni Duemila, sottolineo il secondo fenomeno lessicale e dunque semantico: ad esempio l’attributo “sbadato” riferito a “Dio”, per giunta messo in rima con “creato”: “un Dio sbadato / che più non dona raggi al Suo creato”, versi che identificano con perspicacia la nostra attuale condizione di solitudine rispetto a un Dio che è diventato distratto fino a dimenticarsi di scaldarci coi suoi raggi.
Anche Luisa Bolleri, poetessa nonché autrice di romanzi e racconti, nata a Fiesole nel 1960, attinge al testo sacro come nella raccolta Involuzione della specie (2019). “Ogni poesia di Involuzione della specie è una poesia di rottura […], scrive Pisana, perché dice verità amare che non appaiono […] – dimenticando quella massima di genesiaca memoria che la poetessa fa propria” nella poesia intitolata Nessuna parola: “L’amara verità / anche se non si vede / è che sei solo polvere / a volte lo dimentichi” (p. 19). (Ecclesiaste 3, 20)
“Nei versi di Ester Cecere, biologa marina nata a Taranto nel 1958, c’è, scrive Pisana, una dolente meditazione sapienziale che si fa linguaggio poetico catartico; […]” (p. 28). Nella raccolta del 2014 dall’originale titolo Fragile, maneggiare con cura appare “un orizzonte cercato e sognato nel mezzo di un cammino interiore attraversato da oscurità: “Di cocci / è disseminata la mia strada. / A piedi nudi / la percorro”; “Maschere / d’un carnevale impazzito, / s’accalcano, / grottesche, crudeli, irridenti, / all’angolo il cuore mettendo” (pp. 28-29).
Di Sandra Guddo, che vive e opera a Palermo, mi interessa almeno citare alcuni versi particolarmente incisivi: “I giovani sfilano / per la pace e per l’ambiente / vi sembra niente?” (terzina finale della poesia Babele tratta dalla raccolta Amo il chiaroscuro (s. d., p. 76). “Sono rimasta al buio per troppo tempo / accovacciata nuda sul freddo pavimento / la testa tra le ginocchia / a sognare l’ignoto e l’avventura. / Ma resto qui rinchiusa / tra queste quattro mura / che abili mani hanno costruito intorno a me / … sono le mie!” (dalla poesia Solitudine, tratta sempre dalla stessa raccolta Amo il chiaroscuro (s. d., p. 77).
Anche di Rita Iacomino nata nel 1950 a San Vito Chietino, vanno citati alcuni versi dalla raccolta esordiale del 2012 Formato A4, di cui cito solo due versi tratti dalla poesia eponima: “Sono un foglio nascosto / nella risma bianca” (p. 87). E ancora tre versi da un’altra poesia intitolata Un sogno mai osato appartenente alla raccolta … e mi fingo poeta del 2015, dal bell’ossimoro finale “silenzi rumorosi”: “A piccoli passi si allontana la tristezza / di un tempo senza voci / e silenzi rumorosi” (p. 88).
Maria Teresa Infante, che vive e lavora a San Severo (FG), tratta in modo assai personale il tema del viaggio, connotato, commenta Pisana con molta acribia, da una “spiritualità d’incarnazione”, legato com’è ad una ricerca e un’interrogazione costante sulla propria interiorità condizionata dall’assenza di Dio.
Considero straordinaria L’ora, una poesia tratta dalla raccolta del 2016 intitolata proprio Il viaggio, una poesia che mi sembra traduca efficacemente il motto Aspettare la propria ora, Arriverà la nostra ora, e che è una disincantata meditazione sulla tappa finale del nostro viaggio su questa terra (p. 98).
Molto belle anche le altre due poesie antologizzate: Granello dimenticato la cui ultima strofa suona: “Granello tra le tasche del creato / che si dimentica la giacca sul selciato” (da Il viaggio. p. 99), e la poesia tratta dalla raccolta Rosso sangue del 2018, i cui primi tre versi suonano: “Tu mi chiedi / dove ho lasciato i piedi / che vogavano verso te” (p. 99).
Lidia Loguercio di Rofrano (provincia di Salerno), autrice di una raccolta dal titolo molto eloquente, Voci dell’anima del 2016 e dalla quale cito una strofa della poesia Ogni giorno di più: “Come una foglia che si accartoccia / ripieghi su te stessa / Premi le dita contro il palmo della mano / Senti che non puoi disperdere al vento / la vita che hai dentro” (p.107).
Serenella Menichetti di Cascina è tra le poetesse che si sono dedicate a tematiche sociali e civili, insomma alla nostra desolante contemporaneità, “che nasconde i corpi degli annegati”.
Pisana propone per intero la poesia Oscuro tratta dalla raccolta Oltre la soglia del 2018, nella quale mi ha colpito l’allusione ad Altea, una figura mitologica mirabilmente evocata nel tragico contesto di questa lirica non a caso intitolata Oscuro: “La pelle del buio è il tizzone della morte / gettato nel fuoco da Altea” (p. 122). Ma anche La regina è nuda, l’ultima poesia della piccola antologia dedicata alla Menichetti, che tratta l’attuale e inquietante distruzione della natura minacciata di morte, meriterebbe di essere citata per intero, ma della quale cito qui almeno la prima strofa:
Niente gabbiani ne tramonti adamantini
Nel plumbeo cielo.
Sospesi sopra un mare di pece
Spelacchiati corvi neri,
Dal ventre sterile della terra
S’alzano flebili lamenti.
Tutto ammorbato e infetto intorno,
Tronchi d’ulivo cupi e anchilosati, piegati
Su se stessi come vecchi artritici.
Con il gelo nel cuore:
ascolti i rantoli delle stremate palme (p. 123).
Di Claudia Piccinno cito soltanto un magnifico verso: “Sono altro, sono oltre, sono altrove”, tratto dalla raccolta Sfinge di pietra del 2020, nella quale è indagata, secondo Pisana, “la dualità tra l’apparire e l’essere dentro i confini della vanitas” (p. 154).
Concludo questa mia rapida recensio con Giuseppina Rando di Sant’Agata di Militello, città dove è nato il nostro Vincenzo Consolo, autrice, tra l’altro, di una raccolta dal titolo molto evocativo Geometria della rosa, una poesia che si distingue nell’intera silloge dedicata alle 19 poetesse anche per un tipo di ricerca formale relativa alla distribuzione dei versi, non più allineati, ma dislocati sulla pagina, forma che ha caratterizzato tanta poesia del Novecento e non solo. Per la visione e la lettura di questi versi rimando al libro di Domenico Pisana (p. 167), mentre desidero, per concludere, proporre il commento del nostro Autore a questa interessante Geometria della rosa: “Già nel titolo del volume troviamo una dichiarazione di poesia ermetica, se è vero che la rosa è un simbolo fortemente complesso, poiché include in se significati variegati e, tra loro, a volte, totalmente antinomici. Nella rosa c’è molta ambivalenza: può alludere alla perfezione celeste e alla passione terrena, al tempo e all’eternità, alla vita e alla morte, alla fecondità e alla verginità; e ancora, sin dagli antichi miti greci la rosa è stata considerata simbolo di pienezza e di completezza” (pp. 161-162).
Rosalba Galvagno
Rosalba Galvagno è Professoressa associata di critica letteraria e Letterature comparate nell’Università di Catania, nonché scrittrice e saggista con varie pubblicazioni su Federico De Roberto, Vincenzo Consolo, Carlo Levi, Leopardi, Capuana.
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(1) In Giovanni 12, 24-26 si legge: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Se il seme non muore è anche il titolo di un celebre e scandaloso romanzo di André Gide del 1924 (Si le grain ne meurt).