
Tra congresso, nuove regole, nuovo nome e voto online, cose che danno l’impressione di servire a procrastinare il momento delle scelte vere, della sostanza, cosa fare e come per il paese, non a favore di questa categoria o quel gruppo, il Partito democratico si prepara alle primarie, portandosi dietro il peso di rivalità, rancori e ossessioni. Quattro i candidati alla segreteria, che, Bonaccini a parte, non sembrano portatori di grandi novità. De Micheli e Cuperlo sono le fotocopie di se stessi. Quali sono i loro programmi? Non riesco a ricordare niente di preciso, se non “il diritto alla felicità” proposto da un’entusiasta De Micheli. Deve esserle sfuggito che ci avevano pensato prima di lei, nel 1776, gli Stati Uniti quando lo citarono nella Dichiarazione d’Indipendenza. Con rispettivamente il 4 e il 12 per cento dei voti, De Micheli e Cuperlo sembrano lì solo per evitare che i due più gettonati aspiranti alla segreteria, Bonaccini e Schlein, si affrontino in un duello all’ultimo sangue, per poi sostenere l’uno o l’altra al ballottaggio. De Micheli ha anticipato che sosterrà Bonaccini, Cuperlo è attendista. L’esito delle primarie è scontato, Bonaccini ha già superato il 50 per cento dei voti e a chi lo intervista per sapere come si comporterà con gli “sconfitti” dice che non disdegnerà collaborazione e suggerimenti. Basta con le risse e le faide interne, basta correnti. E’ credibile un Bonaccini inclusivo da “vogliamoci tutti bene”? Cosa ha a che fare un Pd che “deve tornare ad essere il primo grande partito laburista” del paese, cioè con al centro il lavoro, con le mozioni congressuali di Elly Schlein, che il tema del lavoro lo sfiora appena? La co-segretaria con alternanza di sesso, come lei si definisce usando il “linguaggio fresco” adatto a un “progetto innovativo”, parla di grandi cambiamenti che “muovono dalle mobilitazioni collettive” per la ricostruzione di un nuovo Pd. “Non vogliamo una partita di resa dei conti identitaria, ma vogliamo tenere insieme questa comunità, salvaguardare il suo pluralismo e le sue diversità ma senza rinunciare a un profilo e a una identità chiari, comprensibili e coerenti”. Chiaro no? Al netto della vaghezza del linguaggio, qual è l’idea di paese di Schlein? Legalizzazione della cannabis, introduzione di una tassa sulla plastica (Bonaccini era contrario) e di una vera carbon tax, parità di genere, rispetto delle donne, lotta alle disuguaglianze, rinnovabili (non dice però che se vanno a rilento la responsabilità è delle sovrintendenze, irriterebbe Franceschini che la sostiene) e superamento del patriarcato in una grande battaglia culturale che attraversi la società. Banalità e luoghi comuni. Questo alla luce del sole e nell’ombra dietro le quinte? Cosa continua ad agitare il Pd? I fantasmi di Renzi e D’Alema turbano il sonno del partito più travagliato d’Italia. Guai a nominare Renzi, eppure, renziano è Bonaccini e con lui i sindaci Gori e Nardella. “Se vince Bonaccini vince Renzi, una presenza mai esorcizzata dalla dirigenza Pd” ha scritto Annunziata. C’è una gran paura di essere catalogati e assimilati, ma la verità è che ognuno, nel Pd, è stato dalemiano o renziano. Solita storia del salire sul carro del vincitore. Dopo la sconfitta del 25 settembre, questa volta per esigenze di rimonta, l’affollamento è sentito come una necessità. Articolo Uno di Bersani e Speranza è entrato ufficialmente nel Pd, ma già Arturo Scotto e Nico Stumpo sono in dissenso sull’invio di armi all’Ucraina. Si dice che il vero ispiratore dell’ambiguità di Articolo Uno sia D’Alema che punta su Conte, ben felice di assecondarlo. Tutti dalemiani un tempo, poi diventati renziani. Oggi, i renziani sono in Italia viva, che ambigua non lo è affatto: a Milano appoggia Moratti con Azione di Calenda, a Roma D’Amato, non vuole saperne di Conte, è garantista in fatto di giustizia e sostiene l’invio di armi all’Ucraina. Renzi gioca in chiaro stando in Parlamento, D’Alema ha lasciato i ruoli dirigenziali in Articolo Uno e si considera fuori, ma continua a influenzare il suo ex partito, premendo per un’alleanza con i Cinque stelle attraverso Schlein. Da parti opposte, sia Renzi che D’Alema lavorano per condizionare il Pd. Se vincesse Schlein sarebbe un’occasione per Renzi di accogliere qualche transfuga, se vincesse Bonaccini, beh, Bonaccini non è renziano? Collettività contro leadership. Una nota di realismo: è possibile guidare un partito in quattro più un fantasma?