
di Giannino Ruzza
Il dramma della popolazione haitiana continua. Oltre il 25 per cento della popolazione è stata costretta ad emigrare, spinta dalla disperazione. Le Nazioni Unite stimano che ci siano circa 2 milioni di persone soffrano di maltrattamento e razzismo. Senza meno il paese più povero dell’America Latina, in profonda crisi da due decenni, visto che oltre il 60 per cento della popolazione (circa 11,5 milioni di individui) vive con meno di due euro al giorno. Sulle coste orientali di Cuba, a 77 chilometri via mare da Haiti, arrivano le loro chiatte spinte dalle correnti marine. Qui vengono accolti nel campo di Punta de Maisí, creato dalla Croce Rossa cubana negli anni ’70 per i migranti privi di documenti, in cui vengono assistiti con acqua, cibo, vestiario, alloggio e assistenza sanitaria, attraverso un presidio medico attivo H24. Succede anche in altri luoghi della regione centrale di Cuba, dove attraccano molte imbarcazioni il più delle volte malridotte. Aiuti umanitari in linea con gli standard internazionali sulla migrazione, di cui Cuba è firmataria. Uno stretto legame di solidarietà con la popolazione sorella sofferente. I migranti cercano disperatamente di raggiungere le isole Nassau, le Bahamas e soprattutto gli Stati Uniti, dove la mancanza di accoglienza li ha costretti a cercare rifugio in diversi paesi dell’America Latina in cui possono accedere senza visto. Di fronte a un’ondata migratoria, il segretario agli Affari esteri del Messico, Marcelo Ebrard, ha affermato nel 2021 che il flusso di haitiani “è dovuto al fatto che gli Stati Uniti hanno esteso il programma TPS fino al 2023”, che offre uno status di protezione temporanea per chi si trova già negli USA. Secondo Ebrard, l’oppressione coloniale e razziale che colpì la popolazione di colore di Haiti quando Toussaint-Louverture – nato schiavo – aprì la strada alla prima rivoluzione contro la schiavitù, è ancora presente. Il primo paese indipendente dell’America Latina, proclamato il 1 gennaio 1804, ha tuttora un grande debito economico in sospeso. Indubbiamente una vita triste e piena di stenti per gli haitiani. I raccolti falliti, i disastri naturali, il caos politico, il militarismo, l’inflazione sono luoghi comuni in cui la fame è quotidianità. Un colpo di grazia iniziato con il terremoto di magnitudo 7 verificatosi ad Haiti – il più grave dal 1842 ad allora – che nel 2010 ha provocato enormi danni, che non sono ancora stati superati. Una catastrofe che ha causato 316.000 vittime e 400 mila feriti, 1,5 milioni di senzatetto e la distruzione del 60 per cento delle infrastrutture sanitarie. Anche più di 20 governi in 35 anni rendono l’idea dell’instabilità politica e creato una situazione fuori controllo. Ad esempio, ad Haiti circolano più di 500.000 armi, di cui solo circa 45.000 legalizzate. Si stima che le armi provengano dal principale esportatore mondiale, gli Stati Uniti, le cui spedizioni in oltre 96 paesi sono aumentate dal 32 al 37 per cento nel periodo 2016-2020, secondo i rapporti dell’Institute for Peace Studies di Stoccolma. Quindi, le sparatorie tra bande per il controllo del territorio, nel centro della capitale Port-au-Prince, mentre si dà fuoco a una chiesa, non sono più una sorpresa. L’Ufficio Integrato delle Nazioni Unite ad Haiti ha denunciato un aumento dei sequestri di professionisti, agenti di polizia, contadini, persino venditori ambulanti con parenti residenti negli Stati Uniti che chiedono somme di riscatto esorbitanti che possono arrivare fino a 100.000 dollari. Ad Haiti, anche l’impossibile può accadere. L’esempio, nel 2020, nel corso della distribuzione di cibo nel distretto di Delmas, tra la Polizia Nazionale e Jimmy Cherizier, popolarmente “Barbecue”, a capo ormai del noto gruppo G9. Ovvero, nove capi canaglia a capo di feroci gang locali, che vanta un proprio canale YouTube in grado di mobilitare migliaia di accoliti pronti a tutto, armati fino ai denti. Un rapporto del Centro Analisi e Ricerca dei Diritti Umani, sottolinea che “stiamo assistendo a una società sempre più passiva, mentre il Paese è assediato da bande armate che diffondono terrore, omicidi, rapimenti e stupri, specie nella capitale Port-au-Prince”. Haiti è un paese che importa fino al 70 per cento dei prodotti alimentari, quindi non sfugge alla crisi globale del carburante e del cibo. Il contesto è la violenza delle bande, le persone non possono lavorare, non possono vendere i loro prodotti e allo stesso tempo i prezzi dei generi alimentari stanno salendo. Sempre più numerosi anche i morti con oltre 930 persone uccise quest’anno vittime di atti violenti dovuti a scontri armati tra bande. I dati forniti dal portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ad Haiti, Jeremy Laurence, sottolineano che la maggior parte dei morti non ha stretti legami con i gruppi armati. Ad esempio, in una sola settimana, dal 7 al 14 luglio 2022, sono stati denunciate 99 vittime, 135 feriti e 20 dispersi. “È noto anche il legame tra violenza e abusi sessuali, più di 100 case incendiate e 2.500 sfollati dal luogo di origine, a seguito del perpetrarsi di tali ostilità”, indica l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari ad Haiti.