Berlusconi kingmaker…l’opinione di Rita Faletti

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Il populismo, la massima espressione della demenza in politica, toccato il suo apice tra il 2018 e il 2020, è rientrato, almeno in apparenza, così come il sovranismo ha perso il suo appeal in Europa e in Italia. Salvini non è più antieuropeista, ha lasciato che sia Gianluigi Paragone a tenere alta la bandiera. Giorgia Meloni glissa e preferisce parlare di patriottismo. Vuole un presidente della Repubblica patriota. Furbizia lessicale che non dice fino a che punto si debba spingere il patriottismo di chi occupi il colle più alto di Roma. Deposto il sovranismo, senza per questo inginocchiarsi a un globalismo senza limiti, rimane da capire qualcosa di più del populismo. Quanto del processo di normalizzazione avvenuto nel M5S è stato vissuto come costrizione per il solo mantenimento degli scranni in Parlamento? Quanto come effetto di un ripensamento e di un convincimento reale? A tre anni da quel 18 marzo, il partito di Grillo ha via via rinunciato alle sue battaglie identitarie, diventando un oggetto non facilmente identificabile. Confusione, divisione, conflitti e abbandoni, progressivo allontanamento del fondatore – interventi sporadici e improvvisi, eclatanti – un capo-non capo, Conte, ondivago, che medita, incontra Letta e si consiglia con Bettini, convoca i parlamentari pentastellati, dà la linea o si illude di darla. Prova, in tutti i modi, di mettere ordine nel disordine, di unire ciò che è diviso. Nel mezzo del caos grillino, l’elezione del capo dello Stato ingarbuglia ulteriormente le cose. Conte non vuole Draghi al Quirinale, cerca di evitare Berlusconi e nei momenti di ottimismo dice ai suoi che il M5S sarà l’ago della bilancia. L’ipotesi donna sarebbe la migliore. La nostra classe politica quando non sa che fare propone il rosa. La donna tappabuchi. Dacia Maraini è d’accordo, la vorrebbe di sinistra ma rispettosa della destra e super partes al Quirinale. C’è chi crede nei miracoli. Tutti sanno che per il Paese la soluzione è una sola, ma temono per il loro destino. L’amor di patria! Chi invece non teme affatto di esporsi è l’incredibile Berlusconi, l’anziano e incontrastato capo di un partito al 7 per cento, l’uomo più perseguitato dalle Procure, il più detestato e temuto dalle sinistre, il più fantasmagorico e informale dei capi, la negazione del politico di professione. E’ anche quello da cui dipenderà la scelta del prossimo inquilino del Colle. B., ha candidato se stesso alla luce del sole, si dice convinto di racimolare quei 50 voti che gli servono e, via Sgarbi, corteggia i parlamentari del Gruppo misto, molti dei quali potrebbero lasciarsi incantare dalle sirene del grande affabulatore. Che chiede con insistenza a Salvini se gli sarà leale, “Tu mi ami?” e il leghista, che è poco affidabile, promette, poi sente Renzi tre volte al giorno e forse prepara qualcosa con lui, poi torna da Berlusconi. Meloni è presente, ma solo fisicamente, sotto sotto vuole Draghi, e sotto sotto vuole Draghi anche Salvini e chissà cosa vuole Berlusconi? Forse in testa ha un unico disegno: dimostrare che è ancora in grado di determinare le sorti del Paese, l’unico a scompigliare le carte e creare la situazione perfetta per mandare Draghi al Quirinale, realizzando il desiderio di cdx e centro-sinistra, Italia viva e i grillini di Di Maio.

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