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Eric Zemmour, il candidato all’Eliseo più decorticante…l’opinione di Rita Faletti

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Nell’aprile del prossimo anno, i francesi saranno chiamati alle urne per eleggere il presidente della Repubblica. Macron  è pronto per il secondo mandato consecutivo che dovrà aggiudicarsi al ballottaggio, prima del quale nessun candidato ha mai  superato il 50 per cento dei voti. Nel 2017, il fondatore di En March! sconfiggeva al secondo turno la sfidante Marine Le Pen, leader di Rassemblement National. Intanto, la campagna elettorale è iniziata. Nessuna verve a sinistra, tra i socialisti di Mélenchon, i Verdi e il Partito comunista, incapaci di darsi un leader comune. Frammentazione, sfiducia e percezione della propria debolezza, questi partiti vivono una fase di evidente declino. Tutt’altra musica dalla parte opposta, dove, a rendere più che effervescente il clima nel mondo della destra sovranista di Le Pen e moderata dei Républicains,  è stata la discesa in campo di Eric Zemmour.  Scrittore e famoso polemista del quotidiano Le Figaro, Zemmour,  63 anni,  si definisce gollista-bonapartista, ma le sue posizioni sono di estrema destra. Il programma del suo partito, “Reconquete” ( Riconquista), non lascia dubbi: no al matrimonio per tutti, no all’interruzione di gravidanza e alla maternità surrogata, no alla cultura woke che definisce una “macchina per far sentire in colpa il cattolico, bianco e eterosessuale”, no all’immigrazione islamica, sì alla difesa strenua dell’identità francese e delle sue radici religiose e culturali. Un personaggio profondamente divisivo, che suscita amore e odio. Accusato di razzismo, ha replicato: “Razzista io? Sono berbero e ebreo”. A chi, su CNews di Vivendi, gli ha chiesto un paragone tra Islam e cattolicesimo, ha risposto: “I cattolici bruciano gli eretici oggi? Decapitano le persone per strada perché fanno una caricatura di Gesù Cristo?” Un tasto delicato, questo, e opportunamente accantonato dopo lo sgozzamento  del professore francese che spiegava il significato della libertà mostrando le vignette di Maometto. Delicato, ma ineludibile, che impone il coraggio della verità. Alla quale Zemmour  non si sottrae, e al meeting di Villepinte di domenica scorsa, dove ha presentato  la propria candidatura all’Eliseo, si è rivolto a una Francia cattolica e orgogliosa di esserlo, per troppo tempo rimasta orfana politicamente. Anticonformista e carismatico, l’intellettuale, autore di “Suicidio francese”, un attacco al multiculturalismo e all’immigrazione islamica, ha intercettato le inquietudini di quei connazionali  che hanno  visto in lui una sorta di messia. Gli stessi che da un anno seguono con entusiasmo il programma  “Alla ricerca dello spirito”, su temi di attualità interpretati da una prospettiva religiosa e filosofica. La trasmissione, che va in onda settimanalmente su una emittente del gruppo Canal plus di Vincent Bolloré, spiega anche il legame tra il tycoon bretone, cattolico praticante, fondatore di enti di beneficenza, impegnato nel restauro di chiese e nell’acquisto della più antica testata cattolica “La France Catholique”, amico di abati e del vescovo più combattivo e conservatore di Francia, Dominique Rey, e Zemmour, la sua creatura. Rimane un quesito: riuscirà il giornalista ultraconservatore, che ricorda con passione e nostalgia la Francia che lo accolse bambino, a convincere i cattolici di oggi, confusi, demoralizzati e minacciati, a seguirlo? Zemmour sa di avere molti nemici che gli farebbero volentieri la pelle, non solo metaforicamente. “I miei avversari vogliono la mia morte politica, i giornalisti vogliono la mia morte sociale e i jihadisti vogliono la mia morte” .

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