
Entra dalla finestra quello che è uscito dalla porta. Ed è molto più di uno spiffero. Il giorno dopo le europee del 2019, battuti i partiti sovranisti e arginato, almeno per quel momento, il rischio che altri paesi oltre il Regno Unito uscissero dall’Europa, era tornato il sereno. Ma la questione immigrazione, connessa al tema della difesa delle frontiere nazionali, una delle cause del contrasto tra europeisti e antieuropeisti, era rimasta e rimane tuttora al palo. La pandemia, con il pesante carico di vittime, ha messo in stand by paura e apprensione che non fossero legate ai suoi temibili effetti, consegnando alla dissolvenza le immagini dei migranti ammassati ai confini dell’Unione europea. Con l’abbandono dell’Afghanistan ai talebani e ai loro implacabili nemici, i tagliagole dell’Isis, quelle immagini sono tornate nei notiziari ed è tornato il tema della difesa dei confini. Il modello Trump del muro anti-messicani, per i dem americani peggio del morso del ragno violino, ha ispirato Orban, da sempre oppositore irriducibile della politica dell’accoglienza. Fin qui nulla di strano, se non fosse che il premier ungherese è oggi in buona compagnia. I capi di governo di 11 paesi membri, di fronte all’aumento di sbarchi superiore ai livelli pre-pandemia, hanno chiesto a Bruxelles di finanziare “in via prioritaria” e “in modo adeguato” le barriere fisiche ai confini esterni. A Danimarca, Austria, Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Bulgaria, Grecia, Cipro e ovviamente Ungheria, la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, ha risposto che ogni paese ha il diritto di difendere le proprie frontiere come crede, ma non a spese dell’Unione. Dunque, il principio di una roccaforte Europa contro flussi migratori incontrollati, non è stato rigettato. Ha invece incontrato il pieno favore della presidenza di turno slovena del Consiglio Ue, più preoccupata della sicurezza che della solidarietà, e la cosa non è sfuggita a Salvini che ha chiesto quali siano le intenzioni di Roma. Che si è ben guardata dal pronunciarsi sulla proposta dei 12, preferendo la strategia della collaborazione con i paesi d’origine dei migranti, soprattutto Tunisia e Libia. Johansson ha assicurato l’Italia che i piani d’azione sono in dirittura d’arrivo, ma i soldi scarseggiano, nonostante la richiesta ai 27 di un impegno maggiore per i reinsediamenti dei profughi afghani. Ora. E’ evidente che la situazione di grande precarietà dei cittadini afghani che hanno scelto di non restare nei paesi confinanti, e sono una minoranza, meriti un impegno straordinario in termini di protezione, assistenza, accesso al diritto di asilo e a risorse, accoglienza di interi gruppi famigliari. Al dramma afgano, di cui anche l’Europa è responsabile, tutti i paesi dell’Unione, compresi i 12, dovrebbero rispondere con la massima sollecitudine, mettendo da parte la giustificazione, per altro comprensibile, di possibili infiltrazioni jihadiste, che uno screening rigoroso sarebbe in grado di scongiurare. Fare una eccezione, confermerebbe la necessità di risolvere con mano ferma e senza l’ipocrita gnagnera umanitaria, contraria allo spirito di vera umanità, la questione immigrazione, che rappresenta una minaccia alla stabilità dell’Unione. Minaccia evidenziata dalla Slovenia che sottolinea l’inefficienza del confine esterno dell’Unione se ogni anno vengono fermati 14 mila migranti a un confine interno dell’Ue, minaccia al confine con la Bierolussia dove Lukashenko utilizza i migranti fatti arrivare in aereo da Iraq, Camerun, Congo e Siria, inviandoli ai confini di Polonia, Lettonia e Lituania come arma di pressione nei confronti dell’Unione, minaccia al confine terrestre con la Grecia da parte della Turchia prima che scoppiasse il Covid-19, minaccia alla Spagna da parte del Marocco. L’Europa non si può trasformare in un grande campo profughi , come vorrebbe il Papa argentino e come non vorrebbe nessun paese dell’Unione, ipocrisia a parte. Ci si aspetta che al Consiglio europeo del 21 e 22 ottobre, il tema venga affrontato con senso di responsabilità e nel rispetto di linee condivise. Con cifre precise e impegni sottoscritti, rispetto ai rimpatri di coloro che non hanno il diritto alla protezione internazionale, e alla tutela dei confini esterni. L’autorevolezza dell’Europa di fronte al mondo si costruisce soprattutto così.