
Governare non è un balletto come molti professionisti della politica farebbero credere a giudicare dai comportamenti. Non è limitarsi a considerare la punta dell’icesberg per la fifa di scoprire che sotto c’è molto di più che non si ha né il coraggio né la capacità di correggere o eliminare usando ora il bisturi ora la sega né il tempo certo di un’intera legislatura davanti né le mani libere né la consapevolezza del “popolo sovrano”. Limiti della democrazia. Oggi abbiamo la fortuna e il privilegio di un Mario Draghi presidente del Consiglio perché chi c’era prima, al netto di qualche merito, era inadeguato a maneggiare lo straordinario. Per l’ordinario, in un Paese senza gravitas, poteva anche andare bene. Vivacchiare tra riformine e provvedimenti tampone e aggiustare sistemando una pezza qua e una là (sempre peggiori del buco) in base alle necessità del momento. Un’amministrazione alla giornata, inutile e innocua e condita di chiacchiere e chiacchierate. “Amo molto parlare di niente, è l’unico argomento di cui so tutto” diceva Oscar Wilde. Dall’essere protagonista e dominus della scena politica a causa dell’altrui insulsaggine, come la maggior parte di coloro che hanno assaggiato il sapore del potere e l’hanno trovato squisito, Conte si sta preparando dietro le quinte al ritorno per guidare le stelle cadute dal cielo in cerca di costellazione. Circola voce che abbia aperto un canale di comunicazione con Prodi per avere le giuste dritte. Zingaretti si è defenestrato dalla segreteria del Pd e si è immediatamente attivato per sistemare due grilline nella giunta regionale del Lazio. Propedeutico al sostegno della candidatura di Gualtieri a sindaco della Capitale o della propria? E il Pd? È in gran festa dopo il ritorno di Letta. L’Italia si conferma Paese del grande ritorno degli sconfitti. Enrico Letta, nipote del Gianni eminenza di Berlusconi, premier per un anno dall’aprile del 2013 al febbraio del 2014 e dopo lo schiaffo al suono della vituperata campanella in esilio volontario dalle parti della Senna, cattedra a Sciences Po, fondatore di una scuola di politica, connessioni importanti. Dicono autorevole. Ma l’autorevolezza è la virtù più adatta a individuare e schivare trappole e tagliole e combattere una dura lotta per salvare un partito a pezzi? Da politico moscio e privo di carisma per quanto tempo potrà stare sereno? Cercare non “l’unanimità ma la verità” come ha dichiarato di voler fare, fa pensare a discussioni da accademico più che alla forza e all’abilità del gladiatore, che è quello che ci vorrebbe nella situazione attuale. A chi si rivolgerà il Pd dopo?