Riflessi Covid nel rapporto Usa-Cina…l’opinione di Rita Faletti

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Nel confronto Usa-Urss che si è concluso con la fine della Guerra fredda e il trionfo degli Stati Uniti, hanno giocato elementi che non potevano che portare a quel risultato: una solida base industriale, le maggiori riserve auree, metà del pil globale, una marina più grande di tutte le marine del mondo messe assieme, una popolazione in espansione e una classe media in rapida crescita, oltre che un monopolio sulle armi atomiche, che aveva funzionato da deterrente in quanto né gli Stati Uniti né l’Unione Sovietica avevano interesse a farne ricorso. Il potere degli ideali liberali non ha avuto alcun ruolo nel trionfo dell’America in confronto al vantaggio ineguagliabile in ogni aspetto della tecnologia ricerca e sviluppo, produzione e ricchezza complessiva rispetto al suo avversario.  Oggi la Russia di Putin non è ancora un paese democratico e dal punto di vista economico è in discreto affanno. Non potrebbe competere con gli Stati Uniti, che stanno tuttavia attraversando una crisi non si può dire quanto profonda, ma certo divisiva e lacerante al loro interno. Negli equilibri geopolitici, alla debolezza di un paese corrisponde la forza di un altro. Il fallimento della strategia/non strategia trumpiana nella lotta contro il Covid è il tallone d’Achille che fa vacillare la supremazia dell’America a vantaggio di una potenza imperiale, la Cina, che ha alle spalle una storia e una cultura millenarie e è decisa ad estendere la propria influenza nel mondo. Avete visto? Noi siamo riusciti a sconfiggere il virus e far crescere l’economia in tempi rapidi. Questa duplice vittoria, la seconda ridimensionata dai dati, rischia di essere letta sotto la lente politica: l’implicita superiorità dei regimi anti democratici. In verità non tutti, come dimostra il Venezuela di Maduro. Ma quella è un’altra storia. Se dunque la debolezza americana sia transitoria o meno, le prossime elezioni presidenziali che portassero Biden alla Casa Bianca sarebbero la cartina di tornasole. Per il momento è palese che quella debolezza abbia segnato un punto a favore della Cina, benché, con Biden presidente e con modalità diverse, poco cambierebbe nella sostanza la posizione degli Usa nei confronti del gigante asiatico. E’ altrettanto palese che l’apparato comunista cinese intenda sottolineare il successo riportato nella guerra al virus con l’efficienza del sistema politico, lasciando in penombra il fatto che il successo economico di cui si vanta è dovuto all’applicazione del modello capitalista occidentale, l’unico che gli consenta il raggiungimento di due importanti risultati: un livello di benessere accettabile per un numero sempre maggiore di cinesi e contemporaneamente la quasi certezza che questo sia garanzia di fedeltà al regime. Fermo restando che il controllo capillare consente di misurare la temperatura del consenso  come del dissenso che esiste e che è contrastato con la repressione. Nulla avviene in Cina che Xi Jinping non sappia e, entro certi limiti, non voglia. D’altro canto, il regime non ignora che nella sfida per la supremazia, il modello economico capitalista  è quello vincente, non essendocene di migliori. E’ questo il motivo per cui ha scelto il mercato, che pure controlla, senza rinunciare al dispotismo dei regimi comunisti. C’è da chiedersi quanto a lungo questa coabitazione  possa resistere sul filo di un equilibrio che forse è più precario di quanto sembri. Rimane il fatto che la corsa verso la crescita e lo sviluppo nella Repubblica popolare cinese continua.

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