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Pax americana in Medio Oriente……l’opinione di Rita Faletti

Tempo di lettura: 6 minuti

Quando Trump annunciò, agli inizi del mandato presidenziale, il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, il mondo sussultò e insorse scandalizzato. Una sfida al mondo arabo, pensarono con preoccupazione nelle sedi delle diplomazie europee, Trump è nemico della pace. Quanti amici della pace, reali o presunti, tra i democratici americani e i progressisti del vecchio continente, avrebbero immaginato che proprio grazie alla mediazione di un “volgare guerrafondaio”  il mondo arabo potesse avviarsi verso un cammino di normalizzazione con il nemico giurato? Invece è successo, lasciando l’Europa pacifista con un palmo di naso, ancora a rimpiangere l’amatissimo Obama. La storia giudicherà come ha fatto con J.F.Kennedy, adorato in vita e compianto da morto, ma giudicato il peggior presidente che l’America abbia avuto.  Non è tutto oro quello che riluce, vale per tutti, “buoni” e “cattivi”, perché alcuni buoni e alcuni cattivi sono tali solo apparentemente. “Joint Statement of the United States, the Kingdom of Bahrain and the State of Israel” ha twittato Trump dopo che Benjamin Netanyahu ha siglato le intese con i ministri degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, gli “Accordi di Abramo”. Il premier israeliano li ha definiti “storici accordi di pace” e ha indirizzato un avvertimento a chi tenti di sabotare la pace, “li colpiremo”, riferendosi ai terroristi di Hamas che proprio in quella giornata importante hanno salutato l’evento con lanci di razzi, e un messaggio di distensione verso quanti vogliono la pace con Israele “porgiamo una mano”. Che significa reciprocità, una bella parola uscita definitivamente dal lessico europeo e che è il contrario di ambiguità. Quella disposizione mentale che è un ibrido di opportunismo e pavidità e che ha impedito all’Europa di commentare la notizia. Troppo rischioso.  Gli accordi di pace non solo segnano l’avvio di relazioni diplomatiche tra i contraenti, ma sono simboliche dell’avvenuto riconoscimento dell’esistenza dello Stato ebraico. Ciò che ha fatto imbufalire Erdogan il quale ha accusato gli Emirati di tradire la causa palestinese perché si apprestano ad aprire un’ambasciata in Israele. Ma, per chi lo ignorasse, anche i turchi ne hanno una. Inutile menzionare le reazioni rabbiose dei palestinesi che sentono aria di isolamento dal momento che anche il Qatar vede con favore l’accordo e li avverte che nella Striscia non si potrà continuare a fare affidamento sui soldi qatarini. Basta sostegno al terrorismo.  Chi invece sta a guardare in silenzio è l’Arabia saudita che ha però concesso alla compagnia di bandiera israeliana El Al il permesso di sorvolo. Una premessa all’accordo con Israele? E’ quello che ci auguriamo e quello che si augura anche Trump, il quale ha detto che altri quattro o cinque Paesi arabi si preparano alla normalizzazione delle relazioni con lo Stato ebraico. In Medio Oriente gli equilibri stanno cambiando e non per uno scoppio improvviso di simpatia nei confronti di Israele. La ragione profonda è eminentemente pratica: costruire un’alleanza con un paese che ha la forza, la preparazione e il capitale tecnologico e umano per combattere il nemico comune: l’Iran.  A Washington, alle spalle del primo ministro israeliano, dei ministri degli Esteri degli Emirati e del Bahrein e del presidente degli Stati Uniti, quattro bandiere sventolavano, quella a stelle e strisce a sottolineare la “pax americana” in Medio Oriente. Merito anche di Trump.

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