
Il 20 e il 21 di settembre in sei regioni si andrà al voto per eleggere i presidenti di regione. Negli stessi giorni gli italiani potranno esprimersi sulla riduzione del numero dei parlamentari al referendum confermativo che, come suggerisce il nome, servirà a confermare l’approvazione di una riforma costituzionale che in seconda deliberazione non è stata approvata dalla maggioranza dei due terzi dei voti al Senato. Il referendum non prevede quorum: vincerà la maggioranza dei voti indipendentemente dal numero di persone che si recheranno alle urne. La vittoria dei SI, che sembra scontata, porterebbe i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.Diventerebbero 6 i senatori eletti all’estero e 5 quelli a vita nominati dal presidente della Repubblica. Sarà ridotto anche il numero minimo di senatori per ogni Regione o Provincia autonoma, che passerà da 7 a 3, ad eccezione di Molise e Valle d’Aosta, rispettivamente con due e un senatore. I 5s celebrano il risultato che avrà l’effetto di tagliare i costi della politica. Secondo i calcoli di Cottarelli 57 milioni di euro. Una cifra tanto modesta quanto irrilevante, una bazzecola confrontata alla massiccia e crescente spesa corrente in cui rientrano bonus e sussidi distribuiti a pioggia, con pesanti ripercussioni sul debito. Di Maio definisce la riforma “un grande salto per il Paese e per i cittadini” , di rincalzo il Blog 5s: “E’ un momento storico per il nostro Paese, avremo 345 parlamentari in meno e milioni in più da investire in servizi per i cittadini”. Un caffè a testa. Diego Fusaro ironizza: “Se lo fanno per i costi della politica la dittatura costa meno”. E non poteva mancare la dichiarazione di Conte, sponsor della legge in due governi successivi: “Una riforma che incide sui costi della politica e rende più efficace il funzionamento delle Camere”. Appurato che l’entità del risparmio fa ridere i polli, sul funzionamento più efficiente non sembrano concordare esperti e giuristi secondo i quali la riduzione del numero dei parlamentari diminuirà la rappresentanza degli elettori, renderà i gruppi parlamentari più piccoli e facilmente controllabili da leader e segretari. Più in generale la riforma rischierà di allontanare ulteriormente l’elettorato dalla politica. Una voce per il No quella di Claudio Fava: “Parlare di risparmi perché si tagliano i parlamentari vuol dire offendere la democrazia che ha bisogno invece di non risparmiare sulla qualità delle proprie risorse, anche umane. Il taglio è un riconoscimento alla moda dei tempi, che pretende che ogni risparmio sulla politica debba essere benedetto dal consenso delle folle”. Sgarbi parla di “Parlamento stuprato”, De Falco, ex pentastellato ora nel Gruppo misto, vede nella riforma un affievolimento della rappresentanza parlamentare e della democrazia. E Calenda, sempre tranchant: “Parlate di taglio dei parlamentari come se la Costituzione fosse un regolamento di condominio”. Argomenti che Zingaretti e il Partito democratico condividevano, quando votarono NO alle tre precedenti votazioni, salvo poi calare le braghe, come ha detto Mancuso, che osserva come il lungo tragitto delle leggi che viaggiano da Camera a Senato prima di essere approvate, non verrà eliminato, quindi sbagliato parlare di velocizzazione e di efficienza. E aggiunge: “Non si affronta il problema dei rapporti tra legislazione nazionale e quella regionale, che invece era presente nella riforma di Renzi bocciata dal referendum”. In questi giorni, all’interno del Pd le perplessità riaffiorano creando divisioni e allargando l’area di coloro che vorrebbero tornare allo schema originario. Matteo Orfini ne spiega le ragioni. L’approvazione della riforma da parte dei dem era precondizione per la nascita del governo giallorosso. Ma l’accordo con i 5s prevedeva che la legge fosse preceduta da meccanismi correttivi, tra cui la riforma della legge elettorale su base proporzionale con sbarramento al 5 per cento e la revisione di regolamenti e norme a garanzia del funzionamento della rappresentanza della popolazione e dei territori in Parlamento. Ad oggi, lamenta l’ex presidente del Pd, nulla è stato fatto, il che legittima il NO alla riforma. Si potrebbe far notare a Orfini, che forse ha la memoria corta, che la concessione del suo partito ai grillini sulla riduzione del numero dei parlamentari è segnata dallo stesso destino di una concessione precedente, quella sull’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Anche allora il Pd pose una condizione: che la nuova abominevole legge fosse parte di una riforma più ampia che comprendesse il processo penale. Non è accaduto. Dunque? Il Pd si conferma un partito dalla spiccata propensione masochistica. Ma stanno per arrivare i rinforzi: le Sardine sono tornate. Giganteschi cartelli a forma di pesci con su scritti altrettanto giganteschi NO e la frase: “Democrazia e libertà non si vendono”. Auguri!