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Covid19: forte impatto su anziani con demenza. Dati dello studio

Condotto da Anteas Ragusa
Tempo di lettura: 2 minuti

L’emergenza sanitaria scaturita dalla diffusione del Covid-19 ha avuto un forte impatto sugli anziani affetti da demenza e, di conseguenza, anche sui loro familiari. Da un giorno all’altro, infatti, queste persone si sono ritrovate isolate dalla rete di supporto sanitario, sociale e psicologico su cui potevano abitualmente contare. E’ quanto rileva Anteas Ragusa che riporta le risultanze di uno studio effettuato da Angelo Bianchetti, responsabile dell’Uo di Medicina generale dell’istituto clinico Sant’Anna, dopo avere collaborato ad uno studio italiano sul possibile ruolo della demenza come fattore di rischio di mortalità per gli anziani colpiti dal coronavirus. “Occorre intanto precisare – spiega il presidente di Anteas Ragusa, Rocco Schininà – che nel mondo vi sono quasi 50 milioni di persone affette da demenza, una crescita di casi vertiginosa rispetto a trenta anni fa. I motivi riconducibili a questo incremento sono sostanzialmente due: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento demografico”.
Le demenze comprendono un insieme di patologie tra cui le più diffuse sono: la malattia di Alzheimer, la demenza della malattia di Parkinson, la demenza vascolare, la demenza frontotemporale, la malattia a corpi di Lewy. Queste patologie si distinguono per peculiarità sindromiche e per pervasività dei diversi domini organici e psichici coinvolti, ma hanno un elemento comune. “Come spiega Bianchetti – continua Schininà – richiedono in ogni caso un complesso ed articolato processo di cura, finalizzato ad accogliere e supportare bisogni medici, psicologici e sociali”. Chi soffre di una qualsiasi patologia neurodegenerativa presenta una vulnerabilità superiore alle patologie virali e sistemiche e per questo motivo sono persone più fragili. “Quanto ci siamo lasciati alle spalle – spiega ancora il presidente di Anteas Ragusa – ha messo a dura prova la nostra salute, ma questa situazione ha avuto una ricaduta ancor più gravosa per gli anziani della nostra città affetti da demenza e per le relative famiglie. Di punto in bianco, infatti, è crollato il modello di assistenza studiato attorno ad ognuno di loro venendo a mancare il sostegno a cui erano abituati ogni giorno. Lo stesso, sia pur con risvolti diversi, è avvenuto per coloro che se ne prendono abitualmente cura tra le mura domestiche, i caregivers, inevitabilmente disorientati dall’improvvisa interruzione dell’assistenza domiciliare così come dall’impossibilità di portarli presso i centri diurni specialistici solitamente frequentati. Ancor peggio è andata ai familiari di anziani affetti da demenza ricoverati presso strutture sanitarie dedicate: complice il Covid-19, infatti, non hanno visto più per mesi i loro cari di persona. Ecco perché questo studio ha analizzato il possibile ruolo della demenza come fattore di rischio di mortalità per gli anziani colpiti dal virus. I risultati di questo studio hanno documentato un tasso di mortalità del 62,2% tra i pazienti con patologia neurodegenerativa, rispetto al 26,2% in anziani con funzionamento cognitivo integro”.
È inoltre significativo riportare come per questo particolare campione di popolazione vi fosse una minor presenza dei sintomi clinici solitamente associati al coronavirus. Infatti, solo il 47% dei pazienti aveva febbre, il 44% la dispnea ed il 14% la tosse. Le riflessioni conclusive di questo studio hanno portato ad argomentare come la diagnosi di demenza, soprattutto nelle fasi più avanzate, rappresenti un importante fattore di rischio per la mortalità e di ulteriore riduzione del funzionamento nei pazienti Covid-19. “Inoltre – conclude il presidente rifacendosi a quanto affermato dallo specialista – la configurazione dei sintomi per i pazienti con demenza affetti da coronavirus è risultata essere atipica, riducendo quindi ulteriormente la possibilità di riconoscere precocemente i sintomi in questa complessa popolazione caratterizzata già da importanti difficoltà comportamentali e di comunicazione che ne ritardano solitamente il ricorso a possibili cure sanitarie”.

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