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Viaggio intorno a Quasimodo a 50 anni dalla morte… di Domenico Pisana. Il Poeta traduttore dei lirici greci/10

L’universo quasimodiano conosce una vasta opera di traduzione: dall’Odissea, da Catullo, dalle Georgiche di Virgilio, dalle Metamorfosi di Ovidio, dall’Iliade, dal Vangelo secondo Giovanni, fra gli antichi; e per quanto riguarda la modernità, da Pablo Neruda e da Paul Eluard per citare i più significativi. Il Quasimodo traduttore maggiormente apprezzato è comunque quello dei lirici greci, cui è particolarmente legata la sua fama.
La poetica del tradurre quasimodiano si muove attorno a due poli di riferimento: il rifiuto della vecchia retorica da un lato, e la ricerca del senso poetico dall’altro. Il poeta siciliano si accosta ai lirici greci con un proprio modello interpretativo, che non è quello delle traduzioni-introduzioni alla lettura dell’opera presa in esame né un tentativo di resa metrica e ritmica sull’onda della tradizione filologico-umanistica, quanto, invece, quello delle traduzioni-testo. In altri termini, Quasimodo opera una trasformazione del testo di partenza stabilendo un nuovo e suo originale rapporto con i classici, rapporto capace di restituire a voci antiche un’eccezionale contemporaneità.
Egli ricercando la prossimità più specifica e la verosimiglianza di un testo, ossia il senso poetico, riesce a specchiarsi in essi e a proiettare sui poeti tradotti le sue tematiche dei versi di solitudine come la sua inclinazione al diario e all’elegia, nonché a cogliervi riflessi i motivi del suo poetare.
La traduzione quasimodiana diventa così una “nuova creazione”, superando il limite della resa letterale della parola singola o della semplice sintassi; la sua non è una mera operazione di mediazione di un testo al fine di proporlo ai moderni lettori, quanto una “ricerca equilirica”, per usare un suo neologismo, tesa a ricreare non un poema o un poeta, ma brani poetici selezionati perché ritenuti più idonei ad una sua interpretazione.
Dentro questo orizzonte di traduzione poetica trovano spazio i grandi tragici greci: Sofocle (“Edipo re”, “Elettra”), il difficile e complesso Eschilo (“Le Coefore”), Euripide (“Ecuba”, “Eracle”); e poi il grande Shakespeare, di cui Quasimodo traduce ben cinque tragedie: Romeo e Giulietta, Macbeth, Riccardo III, Otello, Antonio e Cleopatra, La tempesta.
Particolarmente interessante appare anche la versione di Quasimodo da Catullo, che gli risulta più congeniale e nella quale il poeta siciliano riesce a operare una sintesi interpretativa che tocca sia gli aspetti amoroso-elegiaci sia quelli del Catullo “libero, epigrammista” e “alessandrino”; una versione, poi, che si dipana come paradigma di linguaggio unitario ed omogeneo, e cioè – secondo quanto sostiene Giuseppe Savoca in “Quasimodo e l’ermetismo”, Centro Nazionale di Studi su S. Quasimodo, Modica, 1986 – “come un testo che diventa metafora dell’unità del Liber tradotto, al di là delle distinzioni scolastiche tra nugae e doctrina, tra lirica e mitologia”.
Non c’è dubbio inoltre che dietro questa traduzione catulliana di Quasimodo c’è quasi un bisogno di identificazione con Catullo, che fu a sua volta traduttore di Saffo e di Callimaco, nonché l’ambizione di misurarsi con altri traduttori di Saffo e Catullo, quali il Foscolo e Pascoli; del resto appare evidente una conoscenza da parte del Nobel siciliano della traduzione pascoliana, se è vero che certi lessemi sono di derivazione del poeta emiliano e che alcuni stilemi, tipo il “molli sub veste” del v. 21 del carme LXV, che Quasimodo traduce “sotto la morbida veste”, rispecchiano esattamente la traduzione del Pascoli.
L’originalità, comunque, della traduzione dei lirici greci sta tutta nella capacità di Quasimodo di creare un nuovo genere letterario, di portare alla luce un linguaggio poetico che proprio nell’exprimere è riuscito a far rivivere i temi classici nella contemporaneità. Tra il Quasimodo poeta e il Quasimodo traduttore emerse, nel periodo della stagione ermetica, un rapporto osmotico così forte che perfino gli accademici traduttori dei greci rimasero scandalizzati; tuttavia l’operazione avviata dal poeta siciliano fu così nuova, originale e rilevante per la modernità che l’esito delle sue traduzioni ebbe un successo di critica tale da far affermare ad Edoardo Sanguineti, che il suo più vero contributo originale alla poesia del nostro secolo non è da riconoscersi nella produzione creativa, ma nelle traduzioni dai Lirici greci.

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