
Ragusa,06 dicembre 2025 – “Prendiamo atto con vivo interesse del comunicato stampa dell’Assessora Adamo in risposta alla nostra proposta di istituire la Consulta delle Comunità straniere. Condividendo l’obiettivo di ampliare i canali di confronto, solleviamo però alcuni appunti sulla struttura proposta e sulla terminologia utilizzata”. Lo dice la rappresentante cittadina del M5S di Ragusa, Najla Hassen rispetto alla proposta di istituire una Consulta per gli stranieri, avanzata dallo stesso Movimento 5 Stelle ed accolta, seppur parzialmente, dall’Amministrazione comunale. “Nutriamo forti perplessità riguardo alla proposta di considerare un “Comitato per l’Inclusione” quale alternativa più “ampia e strutturata” alla Consulta delle Comunità straniere. Riteniamo infatti che questa impostazione confonda strumenti che hanno funzioni e obiettivi nettamente distinti. Una Consulta (come quella delle Comunità straniere, ma anche la Consulta femminile o quella giovanile) è innanzitutto uno strumento di democrazia partecipativa e di consultazione specifica. Il suo ruolo è di cruciale importanza: garantire la Rappresentanza Diretta e l’Auto-Organizzazione. La Consulta offre alle comunità straniere un luogo legittimo di espressione diretta e auto-organizzazione, assicurando che le loro istanze non vengano diluite. Questo spazio deve essere libero da interferenze, permettendo ai rappresentanti di esprimere senza riserve i propri punti di vista specifici. Deve inoltre assicurare la libertà di critica: la presenza di organizzazioni del Terzo Settore e cooperative – che hanno già i propri spazi di espressione, come i tavoli di coordinamento istituzionale (es. quelli organizzati dalla Prefettura) – all’interno di un organismo di rappresentanza diretta come la Consulta è problematica. Si rischierebbe di limitare la libertà di espressione dei rappresentanti delle comunità, specialmente se dovessero segnalare l’inefficacia di progetti o servizi gestiti proprio da tali enti. Per questi motivi, si ritiene fondamentale rivalutare la validità e l’autonomia della Consulta delle Comunità straniere. Ad ogni modo, riteniamo che i due strumenti possano e debbano coesistere, poiché svolgono ruoli e possiedono competenze diverse: la Consulta si occupa della rappresentanza specifica e del parere mirato; il Comitato per l’Inclusione funge da tavolo di coordinamento inter-istituzionale e programmatico. Se il principio dovesse essere quello di convogliare tutti i temi dell’inclusione in un unico Comitato generale, si dovrebbe coerentemente domandare: perché, per lo stesso motivo, non abolire anche la Consulta femminile, la Consulta giovanile o altre Consulte specifiche? Potremmo, seguendo questa logica, accorparle tutte in un unico “Comitato per l’Inclusione Sociale” generale. La risposta è che la specificità non è un lusso, ma la garanzia di una voce diretta, essenziale in una democrazia matura.
Infine, una considerazione sull’uso del termine “inclusione”. Il concetto di “inclusione”, pur mosso da un intento positivo, è intrinsecamente asimmetrico e potenzialmente discriminatorio nella sua semantica. Implica un Soggetto Attivo (chi include) e un Soggetto Passivo (chi è incluso). Mi rivolgo all’amica Assessora, che sa benissimo che le parole contano e plasmano la realtà politica e sociale. È più opportuno riflettere sul perché continuiamo a usare una terminologia che non rispecchia l’obiettivo finale. L’obiettivo delle politiche di convivenza civica deve essere la piena partecipazione e l’orizzontalità. Dobbiamo adottare terminologie che suggeriscano una relazione paritaria e bidirezionale, in cui tutte le parti modellano e partecipano allo spazio comune. Il punto di arrivo non può essere l’assimilazione attraverso l’inclusione, ma la costruzione di una società autenticamente transculturale, fondata sulla parità e sull’orizzontalità delle relazioni”.













