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Il giorno in cui la boxe smise di essere sport leale

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Non sempre il male si presenta con una faccia feroce. A volte arriva tra applausi, telecamere, luci e guantoni. A volte prende forma dentro un’arena, dove due uomini si affrontano secondo regole precise. A volte, quelle regole vengono spezzate, e ciò che resta non è uno sport, ma un tradimento. New York, primavera 1983. Il Madison Square Garden è in fermento. Nella card serale c’è un incontro minore, una voce in fondo alla lista: Billy Collins Jr contro Luis Resto. Nessuno, quella sera, immagina che assisterà a qualcosa che cambierà per sempre il volto della boxe.

Billy Collins ha ventun anni, arriva dal Tennessee con la determinazione negli occhi e un record immacolato. È giovane, è talentuoso, è in ascesa. Luis Resto, pugile con origini portoricane e una carriera fatta di più sconfitte che successi, ha poco da perdere. Ma c’è qualcosa di strano, qualcosa che sfugge a tutti fino a quando è troppo tardi. Sul ring va in scena un incontro che diventa rapidamente una carneficina. Billy incassa colpi che sembrano pesare come mattoni. Il volto gli si gonfia, l’occhio destro si chiude del tutto. Il pubblico acclama, ignaro. I giudici restano zitti. I round si susseguono come se nulla fosse, ma qualcosa non torna. Alla fine, Resto è dichiarato vincitore. Ma quando il padre di Collins stringe la sua mano, sente qualcosa di inquietante. I guantoni sono troppo sottili. Troppo rigidi.

L’indagine è immediata. I guantoni vengono sequestrati, analizzati. Il verdetto: parte dell’imbottitura è stata rimossa. Al suo posto, bende irrigidite con sostanze che le rendono simili a pietra. I pugni di Resto non erano semplici pugni. Erano armi. L’uomo dietro tutto questo è Panama Lewis, allenatore di Resto. Un nome già controverso nell’ambiente, un uomo disposto a qualsiasi cosa pur di vincere. È lui a manomettere i guantoni. È lui a trasformare un incontro sportivo in un atto criminale.

La giustizia civile arriva, ma è debole. Due anni e mezzo di carcere per Resto e Lewis. Ma la pena vera la sconta Collins. Dopo l’incontro non combatterà mai più. Ha perso la vista da un occhio. La sua carriera è finita, la sua vita anche: meno di un anno dopo, muore in un incidente d’auto. Aveva 22 anni. Luis Resto confesserà solo decenni dopo, in un documentario. Racconterà tutto: i guantoni modificati, le bende trattate, il piano orchestrato con precisione. Confesserà tra le lacrime, distrutto. Panama Lewis, invece, tornerà nell’ambiente, seppur nell’ombra. Interviste, nuovi atleti, una reputazione mai davvero cancellata.

La boxe, intanto, non è più la stessa. Quel giorno ha perso qualcosa. Un’innocenza, una credibilità, una fiducia. Il ring — che dovrebbe essere il luogo del coraggio, dell’onore, della lotta leale — è diventato il teatro di un inganno. E mentre Billy Collins Jr riposa in una tomba dimenticata da troppi, la sua storia resta una ferita aperta per lo sport. Non per il pugilato soltanto, ma per ogni disciplina che pretende di chiamarsi “leale” mentre chiude gli occhi davanti alla corruzione.

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