
foto: Giannino Ruzza
Oggi, nello Spazio IZC Costruzioni di Largo San Giorgio, Mario Calabresi, direttore di Chora Media, ha presentato insieme all’autrice Cecilia Sala il libro I figli dell’odio. La sala era gremita e l’atmosfera intensa, segno di un appuntamento molto atteso del festival. Calabresi ha aperto l’incontro sottolineando la forza del volume: “È un viaggio straordinariamente utile — ha detto — perché ci aiuta a dare un senso alle emozioni che proviamo ogni giorno, quando assistiamo a ciò che accade nel mondo. Cecilia non fa altro che rimettere insieme le tessere di un mosaico e consentirci di vedere l’immagine complessiva”. Il percorso tracciato dal libro parte dalle tensioni in Medio Oriente — Gaza, Israele, Libano, Siria, Iran — fino a intrecciarsi con l’esperienza personale dell’autrice. Sala ha infatti raccontato anche la propria detenzione nelle carceri iraniane, concludendo: “Ancora oggi non riesco a dormire bene la notte. Non auguro a nessuno l’esperienza di un carcere in Iran”. Durante la presentazione, Sala ha ripercorso i passaggi che hanno cambiato il volto della società israeliana: dall’assassinio di Yitzhak Rabin da parte di un compagno di lotte al massacro nella moschea di Hebron del 1994, fino agli attentati suicidi della seconda Intifada. “Da quel momento — ha spiegato — gli israeliani hanno smesso di parlare di pace. La sinistra si è estinta e i giovani sono cresciuti con lo slogan di una guerra permanente contro i palestinesi”. Secondo i dati citati dall’autrice, il 70% degli israeliani tra i 18 e i 34 anni è contrario alla soluzione dei due Stati, sostenendo che “dal fiume al mare» non debbano esserci palestinesi. Un atteggiamento che Sala collega anche agli eventi del 7 ottobre e al modo in cui i palestinesi vengono percepiti oggi: “Non vengono riconosciuti come persone uguali, ma considerati tutti responsabili delle stragi”. Sala ha inoltre sottolineato la diversa percezione delle violenze nei media internazionali: “Molte stragi non vengono mostrate in Europa o negli Stati Uniti, mentre Al Jazeera le trasmette a un miliardo di persone nel mondo islamico. C’è un divario enorme nella narrazione del conflitto”. Il racconto si è chiuso con la testimonianza più intima dell’autrice, la sua esperienza nella prigione di Evin, a Teheran, dove ha assistito alle conseguenze delle impiccagioni. Un passaggio che ha lasciato la sala in un silenzio carico di emozione. Al termine, lunghi applausi e oltre 300 copie vendute in un solo giorno hanno confermato l’impatto del libro e la potenza di una voce capace di unire cronaca, memoria e coraggio personale.