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Trump in Arabia Saudita: affari, diplomazia e nuove alleanze…l’opinione di Rita Faletti

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Gli affari davanti a tutto. I dazi per inaugurare l’età dell’oro, sua e degli amici, e il ruolo di paciere per pura questione di prestigio e piatto di apertura per la portata principale a base di affari. Il Trump che vuole porre fine alle guerre considera prima i vantaggi. Senza scrupoli e senso morale, cinico e imprevedibile, il presidente americano non ha interesse a distinguere l’aggredito dall’aggressore. Per l’Ucraina, Leone XIV ha chiesto una “pace autentica, giusta e duratura”, Trump si ferma alla prima parola e sorvola sugli aggettivi, sostanziali perché la pace non sia una resa all’aggressore né una tregua che consenta all’invasore di riorganizzarsi per tornare a colpire. Da pragmatico che disprezza le regole e le istituzioni e si mette i valori sotto le scarpe, ha avvertito Russia e Ucraina che se non raggiungeranno un accordo, potranno scordarsi di lui. Intanto, però, si è assicurato le terre rare. Domani, a Istanbul, al vertice per i colloqui di pace, ci sarà Zelensky ma non Putin, benché sollecitato da Erdogan a partecipare, confermando così quello che il presidente ucraino va dicendo da tempo: Putin non vuole la pace. Se non paciere, almeno mediatore. Nello scontro tra India e Pakistan, dopo che Vance ha invitato i due paesi a smettere di attaccarsi, perché “è una guerra che non ci riguarda”, Trump si attribuisce il merito di essere stato determinante nel cessate il fuoco. “Era già effettivo” il commento delle autorità dei due paesi. Narcisista sconfinato, il presidente americano annuncia al mondo di aver sconfitto gli Houthi, il gruppo terroristico yemenita finanziato dall’Iran. La realtà è un po’ diversa. In 30 giorni gli Stati Uniti hanno perso 7 droni Mq-9 (30 milioni di dollari ciascuno) abbattuti dagli Houthi, 2 Super Hornet (67 milioni cadauno) finiti accidentalmente in mare dalle portaerei. Dati gli alti costi dell’impresa e su suggerimento di Vance, l’Amministrazione americana ha deciso di fermare tutto e dichiarare la vittoria, mentre gli Houthi fanno lo stesso “Yemen defeats America”. Sulla pace in Medioriente, Witkoff, il genio della diplomazia trumpiana, comunica che “il presidente non tollererà altro che il ritorno di tutti gli ostaggi”. Finora, uno solo è stato liberato, Edan Alexander, soldato israeliano con cittadinanza americana, un dono a Trump da parte di Hamas, e Witkoff mette le mani avanti, rimproverando gli israeliani di mancanza di coesione sociale e litigiosità, “questo danneggia i nostri sforzi”. Tanto rumore per nulla. Nei suoi primi 100 giorni o poco più, il tycoon si porta a casa almeno il Boeing 747 da 400 milioni di dollari, regalo personale dell’emiro del Qatar, al Thani. Cosa chiede l’emiro in cambio? Per prima cosa gli F-15 promessi da Washington e per seconda, forse, un’apertura verso Hamas che fino allo scorso novembre proprio in Qatar aveva il proprio quartiere generale e politico. Voltare le spalle a Israele che pretende la resa del gruppo terroristico che lo stesso Abu Mazen vuole prima di tornare a Gaza? Dipende dal tornaconto. Riuscire nel piano di normalizzare i rapporti tra Arabia Saudita e Israele nel solco degli Accordi di Abramo tra Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan, coinvolgere con la supervisione americana le leadership del Golfo “il giorno dopo” a Gaza, impedire che l’Iran abbia l’arma nucleare, cancellare le sanzioni alla Siria e ottenere che al Julani firmi gli Accordi di Abramo con Israele, rendere sempre più solida l’alleanza con i paesi arabi e in particolare la famiglia saudita e il principe bin Salman che ha promesso investimenti ingenti negli Stati Uniti sapendo che deve puntare  sull’economia, la sicurezza militare, diplomatica e energetica che gli Usa possono garantire. Questi gli obiettivi da conseguire che sarebbero un’importante vittoria simbolica per il tycoon che per ora rimanda gli aspetti spinosi per parlare di affari.

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