Si fa un gran parlare di trasparenza nell’attività di qualsiasi pubblica amministrazione e sono in molti a rievocare, soprattutto nei periodi caldi di campagna elettorale, l’immagine della “casa di vetro”, in cui qualsiasi cittadino può facilmente verificare qualsiasi cosa dall’esterno, magari con una semplice occhiata.
Quello della trasparenza appare un concetto fin troppo abusato, che può essere interpretato come criterio teso a ridefinire in chiave democratica il rapporto fra amministratori e amministrati, trasformando questi ultimi da spettatori a protagonisti dei pubblici poteri.
Su tale crinale il legislatore, a partire dagli anni ’90, con la celebre legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/1990), è più volte intervenuto passando dal d. lgs. 150/2009, al d. lgs. 33/2013, sino al d. lgs. 97/2016 ed al Piano Triennale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza, con l’inquadramento del ruolo fondamentale svolto in materia dall’Autorità Nazionale Anticorruzione e arrivando al c.d. accesso civico generalizzato, istituto questo di derivazione statunitense e con chiari caratteri anglosassoni (Freedom Of Information Act o FOIA).
Una riflessione che consente di comprendere il contesto giuridico, sociale e culturale in cui è maturata l’idea del FOIA negli Stati Uniti ma anche nei paesi scandinavi, che sono quelli in cui è maggiormente diffusa la cultura della full disclosure, è quella secondo la quale il referente essenziale dell’istituto è rappresentato dal c.d. “right to know”, ovverosia il “diritto di sapere”, tradizionalmente collegato al “Freedom of Speech” e, più nello specifico, alla libertà di manifestazione del pensiero per mezzo della carta stampata.
Il sistema di accesso civico, nell’ambito dell’ordinamento italiano, si ispira, almeno nelle intenzioni, al Freedom Of Information Act statunitense (FOIA), in cui la piena accessibilità a tutto ciò che è frutto dell’esercizio del potere amministrativo è la regola indiscussa della pubblica funzione.
Il Foia consente (o dovrebbe consentire, anche nel nostro paese) infatti di condividere informazioni, atti e documenti che, normalmente, rimarrebbero celati nei gangli della pubblica amministrazione.
Nel nostro ordinamento, dunque, a partire dal 2016 è stata introdotta una nuova prospettiva, che pare dotata di una forte carica innovativa, sulla quale si è concentrata l’attenzione politica ed anche scientifica: garantire la libertà di informazione attraverso il diritto di accesso di chiunque a dati e documenti detenuti dalle pp.aa..
Varie sono le implicazioni del FOIA quali, ad esempio, quelle del bilanciamento tra trasparenza e tutela della privacy od anche quelle che riguardano la gestione dei c.d. open data.
Ciò che è certo è che, in tale contesto, è stata la giurisprudenza amministrativa a svolgere un ruolo chiave, definendo i contorni di un istituto che, invero, ha lasciato sin troppo ampi margini interpretativi che hanno consentito una sterile attuazione del principio di full disclosure da parte delle PP.AA..
L’introduzione del FOIA rappresenta il coronamento di quello che può definirsi una lunga marcia verso il riconoscimento del “right to know”, inteso quale diritto fondamentale a livello globale.
Partendo dal FOIA, è certamente riscontrabile un evidente ritardo del nostro ordinamento, che determina riflessi anche di tipo culturale, sociale ed economico, nel senso dello scarso riconoscimento delle problematiche legate alla trasparenza.
Lo stato dell’arte del Foia consente di ritenere che fra trasparenza “immaginata” e trasparenza “realizzata”, il gap sia molto rilevante.
E la sfida che attende il mondo della trasparenza amministrativa, e che vedrà impegnati Governo e Legislatore di concerto, è quella della concreta attuazione di una informazione pubblica accessibile e riutilizzabile, che non potrà che rappresentare un effettivo volano per incoraggiare la crescita economica e la trasformazione sociale, nonché per fondare una nuova forma di responsabilità della politica e del governo.
A tal fine, sarebbe probabilmente opportuna, o forse anche necessaria, un’azione tesa alla semplificazione dell’istituto e delle procedure, abbandonando quella stratificazione alluvionale che ha caratterizzato anche l’istituto dell’accesso civico generalizzato.
Soltanto in questo modo sarà possibile raggiungere l’obiettivo principale di qualsiasi azione di governo, che è il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, abbandonando i proclami e prestando, con maggiore pragmatismo, una concreta attenzione alle esigenze degli utenti.
Gianfranco Fidone – Avvocato Amministrativista e fondatore dello studio AvvNet
1 commento su “L’avvocato: “Trasparenza nell’attività della P.A. fra proclami e concreta attuazione””
Egregio avvocato, se le facessi leggere le risposte ricevute dietro foia ai comuni, alla regione, all’assessorato alla regione per la salute e a tutti gli enti regionali interessati sotto pandeminkia, penso vi sarebbe da discutere di trasparenza come materiale fantascientifico.