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“Metrica del tempo” di Gloria Marigo …di Domenico Pisana

Un’ avventura creativa ove la parola recupera il ritmo dell’anima nella geometria dell’intelligenza.
Tempo di lettura: 2 minuti

Una poetessa di spessore e con un percorso lungo sostanziato da una versificazione immersa in un pensiero poetante e di forte valore espressivo, è sicuramente Adriana Gloria Marigo, nata a Padova, ma residente a Luino, già autrice di varie sillogi poetiche: Un biancore lontano, LietoColle, 2009; L’essenziale curvatura del cielo, La Vita Felice, 2012; Senza il mio nome, Campanotto Editore, 2015; Astro immemore, Prometheus, 2020; gli aforismi lirici Minimalia, Campanotto Editore, 2017; Arte della Navigazione Notturna, Caosfera,2022.
Le cinque sezioni che costituiscono il corpo della raccolta appena uscita, dal titolo Metrica del tempo, brillano di un appassionante rapporto “somiglianza-trasfigurazione”, “immagine – espressione”, rapporto incurvato nei versi con procedimenti creativi animati da scene palpitanti di suggestioni e da un logos che viaggia dentro efficaci sintesi liriche.
Già dalla prima sezione, “Ai nomi”, trasuda un dettato sicuro che richiama personaggi della mitologia: Poseidone ( La luce insiste sul volto, /di te svela lo sbalzo dell’occhio /la svelta urgenza di un dio in danza /sorpreso nell’irruenza del tempo…); Athena, con la sua sapienza declinata nell’arte e nel linguaggio profetico: “A comportamenti e linguaggi /sibillini opporre lo sguardo, / l’attenzione per cui leggendo /si ascolta, l’altrettanto affilata / dote immaginale per cogliere / il dettato inafferrabile, /portare al lustro il senso sottile…; Icaro, fagocitato dall’ebbrezza del volo e da una “ambizione blasfema”; e ancora personaggi della Letteratura come Dante e Rainer Maria Rilke.
Sono versi, quelli di Adriana Gloria Marigo, di densa consistenza che attestano come la mitologia ispiri la sua poesia, atteso che il mito è un pensiero rivolto al bello, radicato nella tradizione ma aperto all’inaudito, all’eccezionale, mirato all’Essere; c’è nei suoi versi un mito che si appalesa purificato dalla sua dimensione meramente fantastica, e guardato, invece, come una forza di novità per il nostro tempo, perché fa scoprire altri orizzonti, rivela – direbbe Eliade – “un’ontologia dell’essere” aiutando l’uomo a raggiungere una conoscenza completa e coerente che conduce alla scoperta della propria natura. La versificazione vola su sulle ali del pensiero con una grafia sentimentale morbida, ricca di fascinosi stati d’animo e di empiti di alternate fantasie.
Anche nella sezione Simplegadi, i versi sono ricchi di suoni e di raffinata letteratura, forte di immagini e possente di evocazioni; la pagina è veramente aristocratica nel senso più bello del termine, perché riesce a liberarsi dal quotidiano sfruttamento minimalista per elevarsi viva di impressioni, suoni e armonie:

Le volte che in flessuoso naviglio
traversiamo campi marini
l’orizzonte ebbro di sole
o sfiorato da soffi gentili
distrae dall’ignoto il pensiero
curva al prodigio il cristallino,
suo mutevole inganno.

Le antinomie e i turbamenti più difficili della vita si annidano nella tessitura dei versi, offrendo al lettore un logos pensante e una esegesi lucida dell’esistenza, “Dove l’aria s’ingrigia”…/ dove insiste dissonanza”; e così il tempo delle intensificazioni intellettive ed affettive trova approdo nella parola, in atmosfere, panorami, successioni paesaggistiche e segreti del cuore:

“più cupo dimora
sul muro il relitto dell’ombra”;

…in non precise lontananze
giorni invitti bruciano
al cospetto della stella
offese e insanie belluine,
famule d’Atropo nera;

Costante ci abita l’eufonìa
cesellante il solco alla nostra
solitaria presenza prestata
a geografia d’acqua scontrosa
a scorrerìa d’ombra selvatica
sortilegi minori dell’ondosa
gloria marina in noi sfiorata
da lieve ebrietà di ricordanza.

La sezione “Monadi” consegna al lettore la visione di una esistenza che richiama mondi chiusi – Leibniz li definiva “privi di finestre” – dove la solitudine, l’incomunicabilità, l’individualismo, gridano il bisogno di un sentimento di apertura e di autenticità per andare oltre il fingere della vita:

…consacriamo e dissacriamo
gioia e dolore,
il mistero gaudioso degli occhi,
l’ineffabile che li trascolora;

…resta il corpo morto della frase,
il tuo fingere la vita.

Nel leggere la pagine di Monadi emerge il racconto dell’uomo chiuso nei lacci della propria autoreferenzialità quotidiana, all’interno di un rapporto di lotta contro il male del mondo che striscia di bava la terra; la poesia è concettualmente sintetica e disegna orizzonti di riflessione nei quali “ciascuno spigola parole / laddove è tonfo di suono, /insegue in luci caliganti / la corona del regno”; i versi hanno variazioni scheggiate che stigmatizzano “fatti e misfatti / detti e contraddetti / recentissime invenzioni / divergenti opinioni / notorie contraffazioni / una lunga teoria di predazioni / manipolazioni distorsioni/ funzionali all’ego e disfunzionali al sé”.
La poesia di Adriana Gloria Marigo, insomma, decodifica relazioni scomposte, mostrando sensibilità umana; sa entrare nei versi con la passione e la forza intellettuale di una poetessa che, richiamando sia Dante che Shakespeare, porta alla luce la verità della vita umana che scorre “in sempre aperto teatro/ dove bene e male si scambiano ruolo / secondo traccia inverosimile / resa verosimile nell’accendersi / fortuito o voluto / di una qualche azione che sbriglia / la brama, ribalta la circostanza, / dei personaggi cambia le sorti”.
Non c’è retorica alcuna in questa raccolta poetica, ma solo la consapevolezza di uno scenario al quale la mente fa fatica ad assoggettarsi; una lettura fenomenologica con cui la poetessa riesce ad investigare l’esistenza quasi con il bisogno di incontrare l’umanità più vera, quella dei pochi che non hanno maschera e non inquinano l’aria.
La sue parole sono toccanti e aprono a una esigenza di riflessione anche nella sezione Rifrazioni; qui l’epigrafe montaliana dà il senso di un itinerario che cerca la bellezza del tempo all’interno delle assurdità del mondo ove “Molti esternano parlano / per solo compiacimento / di sentir loro parole / prender volo ignorando l’evento / dove volteggeranno echeggiando / viziate o virtuose / della natura che le ha generate”; la proprietà linguistica riluce, nella essenzialità e brevità del verso, di ritmi carichi di mistero, di intrecci di illusorietà e di speranza, di sapienza e intelligenza intuitiva animata di scene palpitanti (la “mania della vela”, il “fiore gentile”, “tremule ombre”, “minuzie di sole”, “il mattino in sfolgorio”) e sintesi liriche di forte intensità semantica.
La sezione conclusiva, Dea dagli occhi frigi, è infine un affaccio sulla Poesia intesa come un “veritare nel mistero”. La versificazione sa intuire la verità delle cose, si dirige verso di essa per indagarla, scoprirla, denudarla e, una volta compresa, indicarla sia con il cuore che con la mente cercando non “sponde di consensi, / banchine di applausi”, “capricci egotisti”, ma il respiro dell’ universalità, che trasforma l’intuizione in poesia “misterica” capace di operare una sorta di “iniziazione” del lettore al mondo misterioso dell’esistenza, aprendo e chiudendo, dicendo e non dicendo, spiegando e non spiegando, e quindi lasciando la soglia aperta alla sua comprensione, al fine di far trasalire la “sua verità” esistenziale , la quale costituisce un segreto il cui svelamento diviene, al contempo, scioglimento di quel problema che il segreto stesso raffigura e rivelazione per il mistero che custodisce. Questo spiega, ad esempio, perché il grande Ungaretti diceva che “la poesia è poesia quando porta in sé un segreto”. Dice bene la poetessa quando afferma:

Il mio verso non ha fretta:
gli è propria la trasparenza della storta,
la lentezza della decantazione
compita il riflesso del fuoco
che grande compie l’opera.

E non ha fretta il verso di Adriana Gloria Marigo, perché cerca la carezza del logos, la luce aurorale dell’ispirazione, il dominio del lessico, i rilievi delle ambivalenze favorevoli e discordi, scrivendo “dell’assenza /, della ricerca, del rinvenimento /di quel dettaglio che arrovescia /il caso iniquo, la fosca / malìa della servile alleanza”. La sua è poesia pervasa dello smarrimento della contemporaneità che vede vacillare l’illusione dei giorni, di un flusso di pensieri che sono colloqui-denunzia, di conversazioni interiori dove il “fuoco che grande compie l’opera” brucia per aiutare a rimanere integri in un mondo di labilità e compromessi.
“Metrica del tempo” è una avventura creativa ove la parola recupera il ritmo dell’anima nella geometria dell’intelligenza, raccorda il tempo con il luogo, e dove il tempo ha una sua valenza memoriale, è testimonianza, esperienza, forza, è presente provocatorio, recupero, affresco di immagini e analogie: la poetessa può davvero affermare con autorevolezza:

“…Sto altrove:
nella terra vasta del libero
accento di parola inaudita
che per fervore di conio
osa laddove altra s’affossa.”

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