La poetessa pugliese Claudia Piccinno…di Domenico Pisana

“Implicita missione. La fotosintesi della memoria”, la sua ultima pubblicazione
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Resta pur sempre, quello della creatività, uno dei momenti di più alta esemplarità edificativa che connota il vasto e complesso mondo poetico di Claudia Piccinno. Più volte ci siamo occupati di questa poetessa e scrittrice pugliese che vive in Emilia Romagna, la cui biografia è ricca di pubblicazioni che spaziano dalla poesia alla saggistica alla traduzione, e che di recente si è ulteriormente implementata con il volume “Implicita missione. La fotosintesi della memoria”, prefazione di Emanuele Aloisi, Fara Editore, 2023, ove l’anima dell’autrice riverbera verità e bellezza, melodia di canto, sentimenti e pensieri che si fanno zampillo di “carità dell’altrui bene”, come direbbe il nostro Parini.
Il corpus scrittorio poggia su una diversità di momenti creativi (Poesie, Haiku, Tautogrammi, Dediche) che si integrano nell’unità di un impegno letterario che l’autrice assume, di fronte al tempo della storia, quasi come “missione” di impegno etico e civile, con cui offre un flusso di idee e di sentimenti supportato di autenticità e dinamicità operativa.
L’humanitas di Claudia Piccinno che trasuda dal libro coglie, già nelle poesie d’apertura, la geografia di un sentire radicato nelle sue radici identitarie (“ Visioni del sud / nella nodosa corteccia / degli ulivi / frammenti di luce / in comode rate / a colmare gli abbracci inevasi…”, p. 15); nei fotogrammi di “ulivi argentati” ove riecheggiano filamenti di nostalgia; nella tensione di una ripresa esistenziale simboleggiata da un “ robusto germoglio d’opunzia” e riprogettata con uno scavo continuo nell’interiorità e con uno slancio di generosa donazione che potremmo dire socratica, proprio perché Socrate scorgeva il senso dell’alterità nell’anima dell’uomo:

Esserci senza pretese.
……………………….
Esserci per la famiglia
il gatto, i miei alunni passati
e futuri, per quei pochi storici
amici che nulla chiedono
e ti esortano a volare.
Esserci per chi non ha voce
senza aspettare l’applauso.
Essere la foglia spazzata dal vento
e non la pera caduta dal ramo.
Essere passo felpato nel buio
e non più ponte sull’ingrato torrente.
Imparerò l’arte dello scivolo
farò lo slalom dell’ipocrisia
fiorirò a caso come
robusto germoglio d’opunzia.
(Germoglio d’opunzia, p. 17)

La cultura, e, perciò stesso, la poesia, in Claudia Piccinno si fonde con la vita; ella vi si pone dentro come luce di animazione e dinamismo, e non solo per reggerne la rotta, ma per correggerla, impedirne le sofferenze: “Sto imparando l’arte del sottrarre. / Da tempo metto in atto la dimenticanza…/estraggo radici quadrate/ che diminuiscono il dolore…/Mi affido agli automatismi e all’inerzia…”, p. 18; “Asciutta è l’ugola che mi rimanda i silenzi / di una attesa / la mia sospensione d’essere è oggi la sola certezza. / Ho smarrito i versi che mi avete dedicato…” p. 19.
Ecco, in questo clima di meditazione si staglia il presupposto concettuale, morale, estetico della poesia di Claudia Piccinno, la quale guarda profondamente il reale fenomenico, e nella sua angosciosa drammaticità lo vive e patisce trovando nella desistenza un elemento di purificazione ed elevazione capace di rendere più vivo nell’anima l’anelito di liberazione:

Piove sugli anni di non vita
sui binari deserti
e gli inviti mancati.
Lacrime di pioggia
sul finestrino,
ricordi ad alta velocità.
Più non tace la parte emotiva
della signora di mezz’età.
Domande dubbi desideri
deliberata occasione –
desistere.
Oggi come allora.
(Desistere, p. 22)

Sono versi intrisi di un impulso catartico e volitivo, con i quali la poetessa stigmatizza le anomalie, le contraddizioni, l’opaco delle miserie e i dolori, e, altresì, denuncia lo smarrimento della verità: “…non distinguiamo l’utile dal dilettevole”; “…abusiamo di inutili parole / per sopperire ai gesti di prossimità / veicolando incerte verità”, p.23.
Quel “senso storico” di Eliot, che era il sottofondo spirituale e umano dell’atto creativo, è nella Piccinno “senso del reale”, al quale si rapportano la cultura e la poesia, perché diventino linfa di comunione, di riflessione e stimolo operativo; il reale costituisce, nella sua complessità e animosità, il fondamento meditativo sui cui poggia il travaglio morale della poetessa, travaglio che si riassorbe e trasfigura poi nella vibrazione del canto:

“Agli amici smarriti lungo il sentiero
complice l’inerzia e un malinteso
non rivolgo acuminate frecce
ma cauta attendo il tempo dell’abbraccio.
Agli amici che il fato mi ha sottratto,
parlo come fossero qui ed ora
……………………………..
Agli amici distanti mille miglia
o giorni di cammino
dedico preghiere e passi svelti
……………………………….
Agli amici di fuggevoli occasioni
ripenso senza malinconia,
Ai tanti amici che m’hanno
accompagnato per un tratto
auguro dolcezza, riso e canto.
………………………………
Sia benedetta la fotosintesi della memoria,
inatteso innesto d’affinità e stupore”.
(Inatteso innesto, p. 26)

Claudia Piccinno non fugge dal reale e con un profondo ripiegamento interiore riporta la memoria nello spazio sentimentale dell’anima, ardente di luce, di verità, di umana e sociale cooperazione, facendo così vibrare la voce della sua coscienza credente, che chiede a Dio “la visione illimitata di Cassandra, / la perspicacia di Aspasia, / il sapere di Ipazia, / il coraggio di Giovanna (…) l’innocenza del matto / il passo del felino / il brillare delle lucciole /la lungimiranza della lince / la regalità dell’aquila.”, p. 27.
La sua fede è apertura totale alla verità, che ella ricerca con la semplicità di versi che riverberano il sostrato spirituale e umano della sua personalità rispetto ad un clima di assuefazione, quasi acquiescenza, e all’inquinamento generale di una società liquida ove nonostante tutto “L’amore sopravvive / al tempo e allo spazio, / dipana trame / d’insoluti nodi / architetture d’interni /coreografia del presente, p. 29.
Una poesia, dunque, quella di Claudia Piccinno, che discende dal reale, dall’esperienza, dal vissuto e che si sublima in uno spirito di pacificazione dell’uomo con se stesso e con il prossimo e la società; una poesia, quella presente in “Implicita missione”, ove – come direbbe Benedetto Croce – “confluisce tutta la vita pratica, la gioia stessa del vivere coi suoi contrasti e il suo dolore, con i sogni e i travagli dell’amore”, e nella quale la poetessa riflette la sua vicenda umana , il suo sentire etico, la sua fede, le sue idealità, il suo orizzonte spirituale ed esistenziale non arrendendosi “all’inverno che avanza” , e paragonandosi al “bucaneve / che resiste alle intemperie…unico punto di luce / nel grigiore dei giorni.”, p.31.
Lo spazio della poesia della Piccinno è sempre il presente storico, con la sua problematica e la crisi dei valori; la sua poetica non intende mostrare, descrivere, dichiarare, ma suggerire, alludere con l’andamento simbolico della parola:

“Catamarano nella tempesta
smarrisce la scia
dardeggia il motore in avaria.
Io onda d’urto
Io tempesta
Io scheggia impazzita.
Attendo il cielo che rischiara,
il varco all’orizzonte
la tabula rasa
che rimuove ogni cosa,
mi voterò all’oblio
e alla quieta mano
che sulla mia si posa”.
(La tabula rasa, p. 35)

La seconda sezione del libro è dedicata all’haiku, un genere sempre più in uso nella cultura occidentale, mediante il quale Claudia Piccinno fotografa la realtà con solo tre versi in cui la parola è pensiero e sentimento, musica e canto, denuncia che risponde a tutte le folgorazioni dell’anima come il punto e la linea della geometria; la poetessa modula le sue intuizioni etico-estetiche in frammenti attraverso i quali si colloca dentro la vita, il ritmo e le pieghe della storia:

Donne col burka
pensieri trattenuti
al guinzaglio. (p. 44);

Avido il bullo
di carezze e baci
parole buone.(p. 47);

Leggo la pace
quando da solo nutro
il mio cuore. (p.49);

So rispettare
il rospo grosso che
canta nel fosso.( p. 50);

Sulla mia siepe
riposa la lucciola
bianco fermaglio.( p. 51).

C’è, come si può notare, negli haiku di Claudia Piccinno un modo aperto e limpido di comunicazione , la luminosità di un logos in grado di aprirsi suggestivamente il varco tra le pieghe della società, una parola che si fa linguaggio metaforico, una parola-cuore, parola-sentimento, parola-fantasia che intuisce problematiche e che traduce il reale fenomenico in immagini in grado di provocare il lettore, di suscitare quell’atteggiamento critico basilare per comprendere il processo di trasformazione del mondo globalizzato, nonché di cogliere quel processo educativo che fa dell’arte uno strumento efficace di catarsi ed edificazione etico-sociale.
Anche la sezione del libro dal titolo “Tautogrammi” sente il riflesso di una sperimentazione linguistica essenzializzata in componimenti composti di parole comincianti tutte con la stessa lettera, che ricordano poeti medievali, ma che fanno venire in mente, per non andare troppo lontano, il tautogramma “Povero Pinocchio” di Umberto Eco, tratto da “Il secondo diario intimo”. Claudia Piccinno con questa sua scelta lancia frecciate su situazioni che le si agitano dentro:

cesure censurate
creano comunque
candide corazze. (p. 54);

Danzano donnicciole damerini
dentro disturbanti deliri di devozione domestica
dopo diplomazia dalla dubbia dignità. (p. 55);

Povera Poesia perduta
Per primigenia prepotente paura (p.58);

Supero e scordo serpi setose.
Sento sinceri solo soldati severi,
sfuggo superaffaccendate sedicenti scrittrici (p. 59)

Questi versi in tautogramma potrebbero apparire un gioco o esercizio linguistico, in realtà hanno una forza diromponte, una “ratio noumenica” che si fa denuncia e arma di reazione, strumento di lotta e profezia; la poetessa riesce così a stilettare un circuito esistenziale nel quale emerge ciò che noi siamo, ciò che non vogliamo.
L’ultima parte del volume contiene testi poetici dedicati a Dylan Thomas, “Mio Poeta / ora come allora” – scrive la Piccinno; a Beatrice “metafora della bellezza eterea /emblema distintivo di un amore”; al poeta tedesco Gino Leineweber, “cuore del sud in un uomo del Nord…Spirito libero il suo talento”; a Sabine Witt che “ama l’Italia e i suoi sapori / ne apprezza intellettuali e autori”; alla sua “Lecce. / Ingrata verso i suoi talenti / ha ripudiato illustri menti / e figli d’arte / che altrove furono acclamati”; alla piccola Giulia “morigerata spiga di grano/ luccica d’azzurro sguardo /nel concavo abbraccio di /mamma e papà”.
Implicita missione di Claudia Piccinno è insomma, sotto il profilo etico-gnoseologico, una proiezione memoriale finalizzata a ridare valore e credito, attraverso le scelte formali e linguistiche operate dalla poetessa, al senso di una poetica veritativa plasmata da interiorità, guidata da una ragione come disciplina, come fermezza di vita intellettuale e morale, e, perciò stesso, come volontà che va e si risolve nella consapevolezza di una versificazione dove lingua-linguaggio-parola e vita diventano intreccio esegetico di una poesia come missione profetica in un mondo che cambia.

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