
Certamente il fatto che la fede cristiana, nell’ambito della nostra società secolarizzata, vive una situazione difficile – (negli ultimi 20 anni, il numero dei praticanti regolari si è infatti quasi dimezzato, passando dal 36% al 18,8%, mentre i mai-praticanti sono raddoppiati, dal 16% al 31%) – per cui è provocata e contestata, deve costituire, per quanti credono nel cammino sinodale della chiesa, uno stimolo a mostrare più coraggio a seguire l’esortazione dell’apostolo Pietro: “Siate sempre pronti a rispondere, ma con dolcezza e rispetto, a chiunque vi chiede conto della speranza che è nei vostri cuori”(1Pt 3,15).
Se nel passato, in una società da tutti riconosciuta cristiana, la fede era ovvia e normale era l’aderirvi sicché era l’ateo che doveva giustificare la sua incredulità, nel nostro tempo globalizzato, multiculturale e multireligioso, avviene l’inverso: non è più l’ateo che deve giustificare il proprio rifiuto, ma è il credente che deve dare ragione della sua fede. Da qui il senso e il fine dell’evangelizzazione della Chiesa nel nostro tempo.
In tutti sorge però un interrogativo: quale missione evangelizzatrice porre in essere per rispondere alle provocazioni della società secolarizzata, alle esigenze della attuale ora storica, senza venir meno alla fedeltà al progetto di salvezza di Dio?
Il problema di fondo non può né deve essere l’organizzazione tecnica dell’annuncio del vangelo, (cosa anch’essa necessaria ma affidata al buon senso di ogni singola comunità parrocchiale) quanto invece il bisogno di darsi come Chiesa locale presente nel territorio uno “stile di presenza” che testimoni la vicinanza di Dio nella storia delle persone. Partendo da questo presupposto, una Chiesa in cammino sinodale, deve essere in grado di dare delle risposte alle provocazioni che provengono dal territorio in cui essa opera.
Dal riflusso all’apertura e al dialogo
La prima risposta che una comunità cristiana in stato di evangelizzazione dovrebbe dare è quella di testimoniare una fede concepita non con un atteggiamento di riflusso e di distacco nei riguardi della società complessa e alla deriva, ma di apertura e di dialogo, obbedendo di conseguenza alla legge dell’incarnazione della fede nell’hic ed nunc della storia e rispondendo non in astratto ma in concreto ai bisogni di liberazione dell’uomo.
L’evangelizzazione non può proporre all’uomo del nostro tempo una fede intesa semplicemente come ricerca di purificazione, come qualcosa che riguarda la bellezza interiore dell’anima, ma come
impegno preciso verso il regno e per la costruzione di esso. Del resto la missione di Israele è stata, sotto ogni aspetto, una missione legata alla storia. La comprensione del progetto di Jahvè andava di pari passo con il farsi degli eventi di liberazione mediante i quali si compiva la promessa. La stessa cosa si può dire dell’annuncio del vangelo da parte di Gesù: Egli non annuncia un Dio astratto, ma un Dio che è nel mezzo della vita e della storia, un Dio che parla e agisce attraverso le esperienze di ogni giorno.
Una chiesa sinodale in stato di evangelizzazione deve dunque aprire il cuore ad una fede cristiana che non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo che si sostanzia esclusivamente in suoni, canti e balli, non è semplice sospiro, manifestazione emotiva, ma luogo di impegno che si concretizza in un annuncio del vangelo capace di liberare “tutto l’uomo”, sia nella sua dimensione spirituale, spesso schiava di idoli, sia nella dimensione materiale caratterizzata dal problema della casa, del lavoro, del pane, della salute, della politica, cose queste che rientrano anch’esse nel piano salvifico di Dio.
L’evangelizzazione, insomma, deve costituire un momento nel quale la comunità ecclesiale si interroga su come aiutare i “cristiani per tradizione” delle nostre città, ad entrare con determinatezza nella logica di Dio: fino a quando infatti si ha paura di giocarsi la vita per Dio, di perdere la carriera, il denaro, la stima, il prestigio, fino a quando si cerca di comporre la fede con gli interessi, la stima degli altri, il potere, etc…, evidentemente questa è una fede che non incide nella società e non fa innamorare di Cristo; che non smuove, non agita, non cambia, non porta all’impegno, non trasforma. Una fede cristiana senza Cristo! Dunque, solo se una chiesa sinodale apre i tanti credenti di oggi, praticanti e non, vicini e lontani, a questa visione di una fede vissuta nella storia, solo se riesce ad acquisire la capacità di incarnare il Vangelo nelle pieghe della società, dentro il fango della storia, potrà allora risultare, con la certezza che Cristo ha vinto il mondo, realtà credibile agli occhi di una società secolarizzata che tende a relegare la fede ai margini o a ritenerla ininfluente per il bene e la costruzione del mondo.
La scelta dei poveri di Javhè
“Il Signore mi ha mandato per portare il lieto annuncio ai poveri” (Lc 4,18). In questa affermazione di Gesù credo vada individuata la seconda risposta che una chiesa sinodale è chiamata a dare al nostro ambiente. E’ infatti inaccettabile che il cristiano viva tranquillo in quella specie di gabbia di sicurezza in cui cerca di rinchiudersi, trovando nella fede il suo rifugio; questa è una linea che definisce il cristiano di oggi in modo negativo, in quanto offre l’immagine di un cristianesimo che a causa delle sue compromissioni non appare più credibile.
L’evangelizzazione è “inciampare” in cristiani, in un prete, un vescovo, una suora che ti fanno innamorare di Gesù; è un momento che deve far maturare la consapevolezza della scelta dei poveri; sia dei poveri sul piano materiale che mancano dei beni necessari per vivere, sia dei poveri sul piano dell’essere, che mancano di affetto, di pace, di amicizia, che vivono nella solitudine, nelle tenebre e che hanno bisogno di liberarsi dal peso di una esistenzialità fallita.
L’uomo di oggi vuole vedere se il cristiano, se le comunità parrocchiali, gruppi e movimenti, le comunità religiose sono capaci di non prendere due tuniche, di non preoccuparsi del portafoglio e di mettersi alla sequela del Maestro senza voltarsi indietro e senza preoccuparsi di cosa mangiare, di che vestirsi e di dove dormire.
L’accoglimento di Gesù Signore e Maestro
Una chiesa in cammino sinodale è chiamata a testimoniare una fede libera dalla visione pseudo-religiosa del mondo. Che significa! Spesso, il nostro popolo per religione cristiana non intende la rivelazione di Dio che si comunica all’uomo e che vuole entrare in comunione d’amore con lui, ma quel sistema di credenze e di valori per cui l’uomo cerca di giustificare, di giudicare il suo comportamento e di starsene tranquillo a casa sua. Per esempio: la morte è terribile; se la morte è terribile, c’è il Signore che mi assicura la sopravvivenza. In tal modo la religione serve a fare stare meglio l’uomo a casa sua.
L’evangelizzazione di una chiesa sinodale deve aiutare a comprendere che la fede non è un una idea, un sistema di valori e di credenze, religiose , ma consegnare la propria vita a Gesù, il Cristo di Dio, per cui gli evangelizzatori sono chiamati ad operare una concentrazione cristologica , cioè a guardare e a far guardare al Cristo per cogliere nella sua vita i dati per una rifondazione della fede, spesso caratterizzata da sovrastrutture, superstizioni ed infiltrazioni di stampo devozionistico.
La prospettiva del senso ultimo della vita
Una chiesa sinodale credo debba porsi come risposta al problema del senso ultimo e della totalità dell’esistenza umana. E’ questo l’orizzonte che, nonostante tutti gli sforzi organizzativi e tecnici, rimane radicalmente aperto e che rappresenta lo spazio più vero per una spinta verso il cambiamento. Non si tratta, dopo la celebrazione di un sinodo, di fare qualche riunione in più nei quartieri o nei caseggiati, di organizzare qualche Santa Messa in più nei condomini o di intensificare le visita agli ammalati, tutte cose sicuramente necessarie e da continuare a fare, quanto piuttosto di testimoniare con la “parola e con i segni” che nessuna ideologia e nessuna utopia possono soddisfare il bisogno di vita dell’uomo; è solo facendo entrare Gesù nella propria vita, con una sincera, libera e profonda opzione di fede, che si può riscattare la vita dal non-senso e si può comprendere l’importanza dell’assunzione di un impegno storico per costruire una società che abbia un’anima e una capacità di rendere più fraterno il rapporto tra gli uomini.
La preoccupazione del cammino sinodale dovrà allora essere quella di far riscoprire un cristianesimo solido ed autentico, incentrato attorno a questo polo di riferimento e incarnato in una Chiesa autentica, povera, fedele al vangelo, una chiesa veramente immagine di Cristo.
Fino a quando le parrocchie, i gruppi e movimenti, le associazioni cattoliche saranno luoghi di gratificazione religiosa, di ricerca del sensazionale e del devozionale, di distribuzione di servizi sociali e religiosi, di aggregazioni in concorrenza tra di loro, non ci potrà essere cammino sinodale che tenga, perché il mondo non si troverà davanti una comunità ecclesiale innamorata di Cristo e che concepisce la sua esistenza come dono di amore, di accoglienza e segno della presenza del Risorto ventiquattro ore al giorno, quanto una agenzia a cui richiedere, negli orari di apertura delle segreterie, servizi religiosi: battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni, funerali, Messe per i defunti, celebrazioni di venticinquesimi e cinquantesimi, corsi pre-matrimoniali, etc.. tutte realtà sicuramente necessarie, positive e con un loro significato, ma che andrebbero rifondate e rimodulate nell’ottica di una evangelizzazione e catechesi capace di far nascere dentro il cuore dei richiedenti l’amore per Cristo e l’anelito a fare il passaggio da un fede per tradizione convenzionale ad una per missione e testimonianza del vangelo sia all’interno che all’esterno della comunità ecclesiale.
Una chiesa sinodale non è una chiesa “verticistica”, ma “circolare”, dove ogni battezzato – come afferma il Concilio Vaticano II – è “sacerdote, re e profeta”; il papa, i vescovi, i sacerdoti e i diaconi non sono “factotum” che dirigono e decidono per il popolo, ma persone che hanno consegnato totalmente la loro vita a Cristo per servire il popolo di Dio; Gesù ha dato loro un compito importante, necessario e indispensabile: essere “segno” dell’unità delle comunità che Dio ha loro affidato, “guida e discernimento, “custodi” della fede, e uomini capaci di valorizzare i carismi del popolo sacerdotale, di donare la misericordia di Dio alle persone ferite.
Una chiesa che si concepisse come “dispensatrice del sacro”, che non si interrogasse sul perché la fede non attrae, che non si mettesse in discussione, che non si lasciasse quotidianamente convertire da Gesù, è chiaro che non sarebbe la Chiesa di Cristo né quella che potrà riaccendere la fede cattolica. Sara magari una organizzazione religiosa come ce ne sono state tante nella storia, che si adopera con un Sinodo per riconquistare il terreno perduto, ma non la Chiesa vera ed autentica del Cristo, capace di farsi amare dal mondo e di suscitare la fede negli uomini. Il Sinodo è, in tal senso, un’occasione da non perdere! Devono far molto riflettere, in tal senso, le parole di Benedetto XVI, allorquando afferma:
“A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo, essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte.
La Chiesa cattolica sopravvivrà nonostante uomini e donne, non necessariamente a causa loro, e comunque abbiamo ancora la nostra parte da fare. Dobbiamo pregare e coltivare la generosità, la negazione di sé, la fedeltà, la devozione sacramentale e una vita centrata in Cristo”.