
Tale articolo si occupa della tutela delle minoranze linguistiche.
Per comprendere le ragioni dell’inserimento di una norma dedicata alle minoranze linguistiche, è necessario volgere uno sguardo al contesto politico-sociale in cui ebbero luogo i lavori preparatori dell’Assemblea Costituente. Il problema era sorto già alla fine del primo conflitto mondiale con l’annessione del Trentino, dell’Istria e del Tirolo a Sud del Brennero, il Regno, infatti, era composto da quasi mezzo milione di cittadini di lingua tedesca, slovena o croata, che non si riconosceva nella patria italiana. Così, nel secondo dopoguerra si avvertì il bisogno (dapprima considerato superfluo dal Presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini, per via della presenza del principio di uguaglianza) di inserire una norma all’interno della nostra “Carta Fondamentale” che tutelasse tali minoranze.
Dopo tale breve disamina storica, passiamo all’esame della norma. L’art. 6 Cost. prevede, nell’unico comma di cui è composto, che: “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.
Secondo tale brocardo le minoranze linguistiche, vale a dire quei gruppi di popolazione che parlano una lingua diversa dall’italiano, devono essere tutelate con norme apposite, posto che costituiscono dei veri e propri beni culturali da salvaguardare. La tutela della lingua, pertanto, è un’indiretta tutela del pluralismo culturale di cui l’Italia è fornita.
Il regime fascista, rispetto allo Stato democratico, “osannava” il valore dell’unità della nazione attuando una politica repressiva nei confronti delle minoranze linguistiche.
L’art. 6 Cost., con il passare degli anni, ha richiesto numerose leggi di attuazione, in primis quelle che abrogassero gli arcaici ostacoli posti durante il “ventennio fascista”.
Il legislatore del 1999, affinché possa dirsi attuato questo sesto articolo, è intervenuto con una apposita legge (la n. 482/1999) per salvaguardare le minoranze, riconoscendo il diritto di utilizzare la propria lingua anche in atti e funzioni ufficiali di organi pubblici pure elettivi; nonché il diritto al nome e cognome nella lingua della propria comunità “alterato” in passato. Nonostante codesta normativa non rechi una definizione di “minoranza”, il legislatore si è preoccupato di elencare una serie di popolazioni a cui viene riconosciuta tutela; per citare alcuni esempi la popolazione ladina o quella, forse più conosciuta, albanese.
Risulta, quindi, delineato un modello di ordinamento promozionale, caratterizzato dalla presenza di un gruppo “centrale” che promuove e tutela la presenza di gruppi “satellitari”.
Per concludere, la particolare tutela accordata alle minoranze linguistiche riconosciute non ne comporta una totale equiparazione con la lingua italiana, che continua a rimanere l’unico idioma ufficiale della nostra Repubblica.