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Anteas Ragusa incontra donne arabe

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Donne con il hijab, ragazze arrivate in Italia per studiare pronte a tornare nel loro paese di origine che preferiscono tenere segreto, testimoni di una cultura diversa dalla nostra e che loro tre non esitano a definire “patriarcale e maschilista”.
L’Anteas Ragusa le ha volute incontrare con la sua presidente, Gianna Battaglia, che alla vigilia del prossimo 8 marzo ha voluto approfondire con loro i temi del rispetto dei diritti delle donne.
«Sono tre giovani figlie di famiglie benestanti che hanno deciso di mandarle in Italia per studio – racconta la Battaglia che è anche coordinatrice Politiche di genere di Anteas Sicilia – Si reputano fortunate perché i loro genitori hanno una cultura occidentalizzata. Indossare il hijab è per loro un segno di devozione nonché simbolo ereditario, non lo vedono come un indumento che ostacola la loro libertà».
Le giovani studentesse non hanno, però, risparmiato la crudezza di un racconto che ha descritto la condizione femminile nel loro paese.
«Dicono di volersi battere per i diritti delle donne nel loro paese – continua il racconto della presidente Anteas – Donne che sono sottomesse all’uomo. Non hanno diritto di parola né quello all’istruzione. Per loro l’obbligo di occuparsi della casa e dei figli; nessuna possibilità di scegliere il marito che viene, invece, imposto dal padre e di solito è un uomo più grande.
C’è poi una condizione di totale sottomissione fisica – continua il racconto delle studentesse – Le donne sono considerate un mezzo per soddisfare i desideri carnali dell’uomo, un autentico stupro. Quelle che si rifiutano vengono picchiate e molte sono state uccise in casa».
Anche il mondo del lavoro non è esente di soprusi nei confronti delle donne. Le tre ragazze dicono che sono sottopagate e devono subire molestie dei datori.
«C’è una richiesta ben precisa che vogliono inoltrare ad ognuno di noi – conclude Gianna Battaglia, presidente dell’Anteas provinciale – Chiedono che i paesi occidentali si attivino ancora di più per spingere affinché i diritti delle donne vengano garantiti ovunque. Ho parlato loro della giornata della donna, hanno risposto che vogliono lottare perché anche da loro possa esserci un 8 marzo».

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