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Cattolici in politica cercasi… di Domenico Pisana

L’OSSERVAZIONE DAL BASSO
Tempo di lettura: 2 minuti

Dopo decenni di dibattito, a volte confuso a volte lacerante, in materia di rapporti tra fede e politica, ho la sensazione che il tema dell’impegno dei cattolici in politica sia diventato un argomento di fronte al quale si ha paura, quasi un tabù che non si riesce a superare. C’è, direi, quasi un imbarazzo, che, alla fine spinge tanti cristiani a privilegiare i servizi ecclesiali che si muovono nell’ambito dei ministeri liturgico-spirituali o dei ministeri caritativi, o dei ministeri catechetici.
Credo sia maturo il tempo di andare oltre la fase del dibattito e di uscire allo scoperto per ridisegnare in modo nuovo il “il significato della politica”, per capire quale valore essa ha nel disegno di Dio per l’uomo, e per avviare processi nuovi di educazione alla carità politica.

La politica tra enfatizzazione e servizio di responsabilità

E’ anzitutto necessario partire da due considerazioni di fondo nella comprensione del significato di una presenza dei cattolici nella politica: a) la politica e la sua radicale relativizzazione; b) la politica come strumento per consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina.
Sul primo aspetto ritengo che oggi sia da evitare quella forma di “enfatizzazione della politica” in cui molti, anche cristiani, cadono. Questo atteggiamento è errato, perché chi ispira alla fede cristiana il proprio impegno politico non può né deve dimenticare che non è dalla politica che potrà venire salvezza all’umanità, se per salvezza intendiamo non la risposta immediata, se pur necessaria, ai singoli problemi e ai bisogni materiali della gente e delle varie categorie produttive, imprenditoriali sociali, culturali, ma la risposta alle domande ultime dell’uomo, alle esigenze di pienezza di vita, ai bisogni di realizzazione complessiva della esistenza umana.
La politica per quanto possa essere fatta correttamente e onestamente e per quanto possa organizzare la società, nel miglior modo possibile, non potrà soddisfare i bisogni più profondi che premono nel cuore dell’uomo. Bisogna dunque relativizzare la politica, sia perché essa è posta nell’ordine dei mezzi e non dei fini, sia perché essa appartiene alla “scena di questo mondo” (1 Cor. 7,31) e il suo compito è limitato nel tempo, le sue risposte non possono esaurire pienamente la domanda di “ben-essere” insita nel cuore dell’uomo; da qui la capacità di guardare con distacco ed equilibrio l’impegno in politica, quasi a dire che non è con esso che si può realizzare il vero cambiamento delle cose e il regno di Dio anticipato sulla terra.
Sul secondo aspetto, credo sia da sottolineare con chiarezza che coloro che si dichiarano cattolici e che affermano di ancorare la propria fede e la propria speranza in Cristo, non possono sottrarsi alle responsabilità della vita di questo mondo e all’impegno di continuare dentro la storia l’opera che Gesù ha iniziato, nonché al compito di aiutare la società a liberarsi da tutte quelle conseguenze disumanizzanti del peccato, ivi comprese quelle sociali e politiche, e di realizzare quelle condizioni obiettive in seno alle Istituzioni in grado di favorire l’autentica promozione di tutto l’uomo, il bene comune e del paese in cui si vive.
Partendo dalle considerazioni attorno a questi due poli di verità, è impensabile che ancora oggi in Italia si possa continuare a fare la distinzione tra i cosiddetti “cattolici spirituali” tutti indaffarati nell’organizzazione e nella partecipazione ad attività di culto, a ritiri spirituali, a pii esercizi, ad iniziative interne alla vita della chiesa, e i cosiddetti “cattolici sociali” tutti proiettati nel mondo, nei problemi sociali e politici, nelle iniziative del territorio e negli avvenimenti concreti della storia.
Né, altresì, ci si può ancora trincerare dietro affermazioni del genere: c’è chi si dedica alla “cose spirituali” in chiesa e chi si dedica alle “cose temporali” nel mondo, nella società e nella politica: ognuno con la propria vocazione.
Questo, ferme restando l’attitudine o la vocazione, è un ragionamento che condanna la storia ad essere priva dell’apporto della fede cristiana e dei cattolici nel consolidamento della comunità degli uomini; è una logica che riduce il cristianesimo ad una “pura ascesi spirituale” senza effetti sulle vicende concrete degli uomini e senza impatti nella politica, intendendo per politica il suo significato più ampio: impegno sociale, sindacale, amministrativo, partecipativo, di militanza partitica, di esercizio delle funzioni pubbliche elettive, di gestione della cosa pubblica nei suoi orizzonti amministrativi, di politica interna, di politica estera, di economia, di ambiente, di sviluppo industriale, culturale e di eliminazione delle diseguaglianze sociali.
O si supera questa discrasia e si apre una fase nuova di scoperta di significato del valore della politica nel disegno di Dio per l’uomo, o verranno tempi la fede cristiana si ridurrà ad una specie di verniciatura e ad un cerimoniale sociale di circostanza.

Alcune questioni di contenuto di impegno politico

Con la nascita della Costituzione e fino agli inizi del 1990, vale a dire alle porte di tangentopoli, la presenza dei cattolici in politica è stata caratterizzata da due riflessioni.
La prima riflessione si essenzializza in una domanda: negli ultimi 40 anni trascorsi, periodo in cui i cattolici, con un loro partito di riferimento, la Dc, partito di maggioranza relativa, hanno avuto nella vita politica un ruolo di responsabilità, il nostro Paese è cresciuto? I cattolici che hanno fatto politica hanno reso il Paese più libero, più giusto, più solidale, più pacifico? Sono riusciti a creare un tessuto sociale caratterizzato dal rispetto della dignità e dei valori della persona?
Ognuno può dare le risposte che preferisce, ma una cosa è stata certa: i cattolici c’erano.
Certo una risposta esigerebbe una analisi onesta e approfondita. Mi limito ad affermare che grazie alla presenza dei cattolici, e non solo di loro, ci ritroviamo una Costituzione repubblicana con un’impostazione di impronta personalista, un paese democratico e libero, una Italia che in Europa è fortemente considerata, un paese nel quale si è conservata la pace religiosa e in cui la questione meridionale, sebbene sempre aperta, è stata affrontata con realismo; un paese in cui sono state fatte anche parecchie riforme.
E’ pure vero però che i cattolici in politica in questo quarantennio non sono riusciti pienamente a sanare situazioni d’ingiusta disuguaglianza, sacche di povertà e di sottosviluppo né ad eliminare fenomeni negativi, quali le nuove forme di povertà , la disoccupazione crescente, la crisi della famiglia e del mondo giovanile, la crescita della delinquenza, i gravissimi fenomeni del terrorismo; chiaramente le responsabilità non sono state solo dei cattolici. E’ vero molte cose si possono rimproverare a loro perché nella prima Repubblica hanno avuto maggiori responsabilità politiche, come pure si possono loro attribuire altre negatività, tipo malcostume amministrativo, comportamenti scandalosi, forme di clientelismo, forme di occupazione e di lottizzazione dello Stato, arrivismo e sete di potere; ma la giusta denuncia delle deviazioni – come faceva rilevare negli anni’80 “La civiltà cattolica “non può impedire il giusto riconoscimento dei traguardi raggiunti.
Dunque, se negli anni 70/80 c’era un partito di riferimento dei cattolici, la Democrazia cristiana, con la caduta dei partiti i cattolici sono scomparsi, perché si è imposta l’idea di una non necessità di un aggregazione di riferimento; e così oggi i cattolici si trovano dappertutto, a sinistra, a destra, al centro, in movimenti e aggregazioni varie, ma non si vedono mai nel dibattito politico, non vengono invitati nei salotti televisivi, non hanno peso né forza trascinatrice di influencer.
Essere un cattolico impegnato in politica non è certo una etichetta, una effige da mostrare, ma una “weltanschauung”, cioè una visione della vita, della società, della storia, dei rapporti, dello stato, del potere, del lavoro, dell’economia, della famiglia , dei valori, dell’etica, dell’accoglienza, visione che gli deriva dal vangelo di Cristo in cui crede, e che con il suo impegno ha modo di testimoniare, confrontare con altre visioni, rischiando anche il tradimento a causa della sua fragilità.
Oggi è richiesta ai cattolici una nuova stagione di impegno che si muova su alcune grandi direzioni: il lavoro, la solidarietà, la rifondazione onto-etica della politica.
Credo che il principale nodo da sciogliere sia quello di prendere anzitutto consapevolezza non tanto delle “cose da fare” ma delle “ragioni dell’impegno politico” e delle “forme” con cui lo si intende portare avanti. La scelta dell’ambito al quale intendo fare riferimento è quello della militanza partitica. A questo riguardo bisogna superare paure, tentennamenti, stanchezze, lamentazioni facili, pre-comprensioni, ed entrare nell’ordine di idee che non esistono scelte di militanza ideale dove tutto è perfetto, dove ci sono gli uomini e le idee migliori, dove il senso della moralità e dell’onestà traspare con chiarezza: qui vale il detto di Gesù “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Bisogna poi entrare in un secondo ordine di idee, e cioè che l’impegno politico dei cattolici non può assolutamente prescindere da alcuni “fondamenti valoriali” che sono strutturali alla sua fede e che motivano le sue scelte, le quali, di conseguenza, non possono scaturire da analisi “scientifiche” che egli può fare autonomamente o da quadri culturali correnti, che sono in ogni modo indifferenti rispetto ai contenuti della fede.
Le questioni sui valori non sono questioni “ideologiche” da imporre in politica a coloro che li ritengono quasi di disturbo e di freno alla costruzione di una società libera e moderna, ma un “dato morale naturale” di fondo dal quale partire per costruire la società degli uomini. Occorre pertanto avere il coraggio di fare chiarezza.
Tutti i partiti politici, da destra al centro a sinistra, dicono di fare politica per servire l’uomo: questa è una affermazione trasversale. Il problema essenziale sta però nel capire “quale uomo” vogliono servire, “chi è l’uomo” al quale vogliono rendere il loro servizio. Qui le cose si complicano e sorgono subito le demarcazioni; il cristiano, però, deve avere la piena consapevolezza di possedere una risposta che non viene da lui, dai suoi progetti, dalle sue strategie, ma dal vangelo, il quale non è un libro di politica, ma dice chiaramente “chi è l’uomo” e quali sono le sue aspirazioni e i suoi bisogni più profondi.
Il cattolico ha in Cristo l’uomo pienamente realizzato, per cui è a partire da lui che può comprendere quali sono le autentiche esigenze della persona, che deve servire attraverso lo strumento politico. Qui si gioca la scelta di una militanza politica e si stabiliscono inevitabilmente, non per desiderio di polemica o di faziosità ideologiche ma per oggettiva diversità dei punti di riferimento, le differenze tra partiti, aggregazioni politiche, campi larghi e stretti, collocamenti nel sistema bipolare.
E difatti, non è difficile cogliere queste differenze allorquando si mettono sul tappeto domande di questo tipo: Chi è l’uomo al suo sorgere? Quando l’uomo comincia ad esistere, chi è? Chi è l’uomo nel suo momento terminale? Chi è l’uomo nell’arco della sua vita? E’ una realtà che, a certe condizioni e per raggiungere fini più alti, può diventare un mezzo oppure mai potrà essere ridotto a strumento rimanendo perciò sempre e in ogni caso il fine di ogni azione politica?
E ancora: che senso ha l’istituzione familiare? Che senso hanno le libere formazioni sociali? Che senso ha il pluralismo democratico? Che cosa significa pace, progresso, giustizia, libertà, bene comune? Che valore e ruolo deve avere l’economia?
Di fronte a queste domande i gruppi politici si spaccano, perché c’è chi dà alla persona un valore di assoluta centralità e chi lo sacrifica per finalità considerate più alte e significative; c’è chi dell’economia fa il fine ultimo della società e chi ritiene che esso debba essere soltanto un mezzo di miglioramento della qualità della vita.
Insomma è sul piano delle risposte a queste domande di valore che le culture politiche dei partiti si differenziano, sicché il cattolico che vuole fare la sua scelta di riferimento credo debba dare la priorità alla valutazione di queste risposte, per poi guardare ad altre elementi di carattere complessivo.
Il cattolico sa che egli non può, per ragioni strategiche e di alleanze partitiche, assumere acriticamente le risposte di altre culture politiche, ma deve avere il coraggio di restare fedele alla visione dell’uomo e del mondo proposta da Gesù Cristo e approfondita, sviluppata e orientata di volta in volta, nel divenire della storia, dalla dottrina sociale della Chiesa.
A questo radicamento valoriale i cattolici devono accompagnare una capacità di mediazione culturale e politica ed una capacità di governo, capacità che non si può pensare di possedere pienamente a priori; supponendo alcune doti di impegno, una preparazione essenziale ed una capacità di dialogo e di sintesi delle diversità, si impara a fare politica facendola, si impara ad amministrare amministrando, così come si impara a nuotare nuotando.

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1 commento su “Cattolici in politica cercasi… di Domenico Pisana”

  1. Settimane fa Cesare Sacchetti, uno dei tanti giornalisti (non a soldo del regime) che seguo come tanti altri in un suo articolo scrive:
    ” Altro pesante indizio per individuare i falsi controinformatori. La massoneria “buona”. Per sua natura, la massoneria non può essere buona. Parliamo di una società clandestina che ha come scopo quello di infiltrare le istituzioni della società per piegarle ai suoi scopi. Se incappate in qualcuno che vuole darvi a bere convintamente questa menzogna, avrete di fronte al 99% un disinformatore. Cosi come se incappate in personaggi che mai menzionano la cristianità quando invece fanno un abbondante ricorso ai temi a alla simbologia esoterica o della New Age, anche in quel caso siete quasi certamente di fronte a infiltrati e depistatori. I puntini ci sono. Basta unirli”.
    Questo articolo esprime il disagio politico-cristiano che, grazie al globalismo negli ultimi 30 anni è andato ad affievolirsi sempre più favorendo di fatto una società strana e strampalata sul profilo etico e morale.
    Pur tuttavia, Sacchetti, e in particolar modo il prof. Pisana nell’articolo fa intendere che la mancanza di cristianità negli uomini è colpa della politica. La politica può avere tante colpe, ma chi dovrebbe accudire e custodire il cristianesimo o la cristianità, non dovrebbe essere la Chiesa?
    Quest’ultima non è nemmeno menzionata, ed è come se con la caduta della Dc sia caduto il cristianesimo. Mi perdoni Prof. Pisana, non ho capito se il senso di cristianità me lo deve dare la politica o Bergoglio con tutto il suo esercito di consacrati da Dio. Personalmente penso che la politica deve fare politica senza mischiare il sacro col profano, perchè quando le due cose si mischiano poi si fa confusione e magari potremmo avere un Bergoglio come Presidente del Consiglio. Oppure di contro potremmo vedere Draghi affacciato dal balcone per recitare l’Angelus la domenica. Chi si professa “cristiano” e si ritiene tale, l’etica morale e la fede in Gesù la dovrebbe avere dentro come dono e non come imposizione o poesia da recitare.

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