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La svolta etica e poetica di Quasimodo… di Grazia Dormiente

“L’uomo vuole la verità dalla poesia, quella verità che egli non ha il potere di esprimere e nella quale si riconosce...” S. Quasimodo (1946)
Tempo di lettura: 2 minuti

È noto ai più che Salvatore Quasimodo, il poeta siculo greco, (1) si riconciliava nel 1962 con Modica, dove era nato nel 1901, accogliendo il corale privilegio della sua città natale, “alta di terrazzi e di chiese del ‘600, aerea di visioni esatte dei paesi e dei mari della scienza e dell’arte è la casa dove è nato il Campailla (filosofo e poeta del Seicento) davanti a quella della mia nascita” (2.)
Il poeta riconosceva il luogo della sua nascita, che solamente per interiore sentire e per legame familiare(3) aveva attribuito alla greca Siracusa. Nello stesso anno, infatti, inviava il Messaggio a Modica(4), per l’augurale Rinascita culturale […] che non renda debole il diritto alla giustizia e alla comprensione dei sentimenti e delle idee di ogni cittadino, cuore della svolta etica-civile avviata con Giorno dopo giorno (1947).

Certamente la Sicilia e la Grecia assurgono a luoghi privilegiati dei percorsi quasimodiani, attraversati da ponti sospesi di immersiva creatività e di poetica dissonanza. Così consanguinei paesaggi rivivono nella memoria dell’esule involontario, figlio della terra iblea, dove il vento, a corde, dagli Iblei, alitando, fa rifulgere le orme insulari dei greci, dei loro miti e delle loro intriganti analogie, restituiti in versi memorabili, poiché come ha asserito Carlo Bo: “L’opera poetica di Salvatore Quasimodo non avrebbe, almeno per il momento, bisogno di nessuna parola d’accompagnamento, tanto la sua presenza resta ancora sensibile e l’eco della sua voce vicina. Se lo facciamo è soltanto per un atto di omaggio, doveroso, nei confronti di uno dei poeti del nostro tempo che meglio hanno saputo testimoniare una fede assoluta nella poesia.” (5)
È proprio la fede assoluta nella poesia a segnare la vita dell’uomo e la profonda vocazione del poeta, oltrepassando certe congetture critiche, spesso dimentiche della necessaria verità.
L’ apprendistato poetico dell’inquieto Quasimodo germogliò nella Messina, devastata dopo il terremoto del 1908, dove trascorse gli anni della sua formazione sorretto dall’amicizia di Giorgio La Pira e di Salvatore Pugliatti (6) primi lettori dei versi adolescenziali quasimodiani ma soprattutto sodali del sofferto vagabondaggio di Quasimodo, le cui missive, raccolte nel denso carteggio con La Pira hanno tracciato una singolare e preziosa mappa attraversata dalle acque di quei fiumi il cui nome greco/ è un verso a ridirlo dolce. Fiumi che, sommersi dagli accumuli del tempo, riemergono, ora irruenti a scarnire isole, ora placidi a riverberare stellati e cieli.
Ci soccorre ancora Carlo Bo: Quasimodo, che non parlava quasi mai, … soltanto negli ultimi anni sembrava commuoversi ripensando agli anni messinesi. Si intuiva che c’era tutto un capitolo segreto ma forte per emozioni. (7) Emozioni da ricercare nella consonanza giovanile vissuta con La Pira: il Carteggio La Pira-Quasimodo copre gli anni 1921-1964 con la massima concentrazione di missive nel decennio 1922- 1932, periodo cruciale per le svolte esistenziali (il difficile periodo romano di Quasimodo 1920-26, la conquista travagliata della fede di La Pira 1924) e per gli eventi storici, (la presa al potere di Mussolini, la crisi del Parlamento…) che hanno inciso profondamente nel processo di formazione dei due interlocutori, entrambi figli della terra iblea.(8)
Nell’eloquio lapiriano traspare l’intima familiarità che ha contrassegnato la loro specialissima amicizia, consolidatasi nel periodo della permanenza a Messina di Quasimodo. Così il ripensarsi diventava ritrovarsi non solo per riannodare il vincolo d’affetto ma anche per raccogliere la voce poetica, a suggello di una comprensione che travalica lontananza e distanza.
La Pira, che acutamente intuiva lo stato di prostrazione in cui versava il poeta, armonizzava il balbettio del cuore con i ricordi della loro adolescenza e si avviava a cicatrizzare dolorosi strappi:
Tu hai molto sofferto, caro Totò, molto: e tutte le cose han congiurato quasi contro di te: … … ché io mi ricordo, ricordo con troppa commozione quelle lagrime così intense che qualche volta io ti vidi sulle tue ciglia: lagrime che venivano dal profondo del cuore quando una qualsiasi impressione ti riportava a tua madre: a tua madre che soffriva per te e tu che penavi così fortemente per Lei. (lettera gennaio-febbraio 1922)

Il dramma richiamato da La Pira è la vicenda di quel rapporto duramente conflittuale del giovane Quasimodo con il padre e che fu causa non ultima del suo allontanamento da casa.
Nella lettera del gennaio 1922 icasticamente dirompeva l’inquietudine quasimodiana, assimilata alla figura del vagabondo e veicolata dalle antitesi connotanti il lessico poetico del futuro Nobel:

Ma i vagabondi, talvolta, occorre lasciarli camminare nel gelo, senza brace di bivacchi, senza suoni pastorali, così come son passati e come si sono allontanati. Io lo so, ciò che farò nel mondo, limiterà gli abissi e rasenterà il fango, sarà vicino al sole e avrà il freddo delle stelle. (9)

La risposta di La Pira, che coglieva appieno l’affanno dell’amico, trasportato dalle onde della vita verso orizzonti pericolosi e di sofferenza, giungeva rassicurante.

…te lo giuro con tutto il cuore mai, mai mi è venuto meno verso di te quel senso di grande affetto, di grande fraternità, di amicizia indissolubile, che ha sempre caratterizzato le nostre vicendevoli manifestazioni. E ti prego, caro mio, di credere a questo che io ti dico affettuosissimo sentimento di fratello poiché se tu hai qualche volta pensato all’antico Giorgetto il quale non fosse stato più l’antico fratello o ti prego di ripensarmi come prima, così come vorrei ripensare anche a te, quel nomade dello spirito che tu eri a 16 anni quando componevi le tue poesie pei “giardini di sogni”. Sì. Totò, ripensiamo a quei giorni e ripensiamoci in quei giorni (lettera gennaio-febbraio 1922). (10)

Quasimodo, dopo aver lasciato La Sicilia, si ferma a Roma, dove conduce un’esistenza modesta e si adatta a impieghi umili per sopravvivere; nel gennaio del 1923 si iscrive al terzo anno di Fisica e Matematica all’Università di Roma (e non alla facoltà di ingegneria del Politecnico, secondo le notizie inesatte da lui stesso diffuse in seguito), ma abbandona presto gli studi per dedicarsi da autodidatta a studi d’altro genere: Platone, Sant’Agostino, Spinoza, Cartesio, saranno le fonti principali della sua formazione e delle sue opere. Oltre naturalmente a studiare il greco ed il latino sotto la guida di Monsignor Mariano Rampolla del Tindaro, amico di La Pira e fratello del suo insegnante di Italiano all’Istituto tecnico-matematico “Jaci” di Messina. Certamente tali stagioni biografie li riteniamo importanti per comprendere quanto preminente rimanga la vita intesa come ricerca della verità.
Solo leggendo e rileggendo il poeta Quasimodo si percepisce come egli abbia fatto della sua poesia una ragione di vita, anzi da modicana ho compreso e ho cercato di trasmettere l’etica della memoria quasimodiana ai giovani studenti nel periodo del mio impegno educativo, poiché, come asseriva lo stesso Quasimodo: “La posizione del poeta non può essere passiva nella società: egli ‘modifica’ il mondo, abbiamo detto. Le sue immagini forti, quelle create, battono sul cuore dell’uomo più della filosofia e della storia. La poesia si trasforma in etica, proprio per la sua resa di bellezza: la sua responsabilità è in diretto rapporto con la sua perfezione. Scrivere versi significa subire un giudizio: quello estetico comprende implicitamente le reazioni sociali che suscita una poesia. Conosciamo le riserve a queste enunciazioni. Ma un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente. E poesia è libertà di quel tempo e non modulazioni astratte del sentimento”. (Discorso sulla poesia, 1956).
Da qui la nostra convinzione che non può essere frazionata la creatività del Nobel modicano nei periodi sostenuti da alcuni critici, noi concordiamo piuttosto con Gilberto Finzi (Invito alla lettura di Quasimodo, 1972) che sostiene: “non c’è stacco tra un ‘primo’ e un ‘secondo’ Quasimodo, tra un Quasimodo ermetico e un Quasimodo poeta ‘civile’ […]. Nessun poeta si può sottrarre alla storia”.
Da poeta è mosso ad interrogare il paesaggio non solo siciliano per coglierne i segreti e le occulte allusioni della natura e della storia, germogliate anche nella sua traduzione dei “Lirici greci”: così il viaggio intenso nell’assalto della vita e delle sue ombre risuona nella sacralità del mito, insita nel suo cuore fino alla morte. Ha ragione il prefatore dei Lirici greci Giuseppe Conte ad affermare:

“Quasimodo vede il suo incontro con i lirici greci come il coronamento di un suo percorso destinale: quel suo sentirsi esule ma sempre figlio di un’isola che, per paesaggi, mitologie, memorie storiche, è, tra le terre dove oggi si parla e si scrive in italiano, la più vicina alla Grecia e al suo patrimonio di poesia e di mito”. (11)

Di fronte al dramma umano e sociale della seconda guerra mondiale si manifesta la svolta poetica inerente la poesia civile, che influenzerà le ragioni del poeta, per cui il suo impegno sfocerà con il già citato Giorno dopo giorno del 1947, La vita non è sogno 1949, Il falso e vero verde 1956, La terra impareggiabile ,1958 e infine Dare e avere, la sua ultima opera del 1966.
Così Quasimodo sente fortemente l’impegno a contribuire alla ricostruzione del mondo dopo la drammatica distruzione delle città e degli uomini; il suo caso è emblematico degli altri intellettuali che si dedicarono con i loro versi, grondanti giustizia e libertà, alla rinascita dell’uomo ferito e lacerato profondamente.
Anzi il lemma cuore nei versi quasimodiani non è solo un mito verbale della Sicilia che accompagna il poeta nel periodo milanese della sua vita ma, continua ad essere la parola-chiave connotante la memoria storica del suo intenso viaggio di poesia civile:

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore…
………………………
Quasimodo introduce il noi ed esalta proprio il valore di quel silenzio, scelta certamente motivata dagli orrori del fascismo e della guerra. L’epica dell’”io” si evolve in quella del “noi” (G. Finzi). Anzi alimenta il dialogo civile, e il verso si distende nel canto corale di una diversa etica, che sfida i temi sociali della protesta e della liberazione dall’oppressione. Ma non è da trascurare il monito quasimodiano diretto alle nuove generazioni con Uomo del mio tempo.
……………………………….
Dimenticate o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri
le loro tombe affondano nella cenere
gli uccelli neri, il vento, aprono il loro cuore.

Il cuore si fa memoria delle colpe commesse dai padri, che il tempo si incarica di ricoprire con le ceneri della smemoratezza generazionale.
Nei difficili e spesso tragici giorni della pandemia, scoperte le falsità della globalizzazione e le vampate scientifiche e tecnologiche potremo trovare, proprio attraverso i versi del Nobel modicano, messaggi di speranza come in […] Forse il cuore ci resta, forse il cuore…
Più rilevante e sincero è l’auspicio di una rinascita spirituale e civile nella poesia Di un altro Lazzaro

…E si rovescia la tua pietra
dove esita l’immagine del mondo

Per Quasimodo non possono persistere celebrazioni, anniversari e centenari e nonostante le iniziative attuate, credo sia necessario – in occasione del presente Convegno dell’AICL e della felice coincidenza dell’acquisto da parte della Regione Siciliana della Casa natale del poeta- ideare un progetto che sappia finalmente rispondere alla valorizzazione del patrimonio culturale locale collegato al Nobel Modicano. Esemplificando si è riscontrata che l’offerta collegata alla pinacoteca quasimodiana,(13)“Artisti intorno a Quasimodo”, aperta al pubblico, necessita di quegli apparati di approfondimento che artisti di respiro internazionale meritano, così si è espresso l’architetto Alessandro Ferrara : “Appena nominato Dirigente del Servizio Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Ragusa ho appreso dell’esistenza, in una delle stanze dei locali di Piazza della Libertà, di una collezione di quadri che era appartenuta al grande siciliano, Salvatore Quasimodo, acquisita al pubblico patrimonio per volontà del Soprintendente pro-tempore arch. Gesualdo Campo, oggi Dirigente Generale del Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Siamo consapevoli che ciò coincide con una sorta di addio della “Collezione Quasimodo” a Ragusa e con la sua consegna al Museo Interdisciplinare, a cui si attesta la creazione della ‘Biblioteca-Museo e Archivio Salvatore Quasimodo di Modica, collezione che, oltre la ‘quadristica’, contempla oggetti, libri, vestiario ed altro genere di eredità culturale. Con questa mostra, a partire dal titolo, vogliamo offrire a tutti i visitatori un’immagine di Quasimodo riflessa attraverso i suoi gusti di eccezionale valenza artistica”.
In effetti, l’omaggio reso al modicano Nobel il 20 agosto 2015 nella ricorrenza dell’anniversario della sua nascita e il confronto con esponenti dell’associazionismo locale e con appassionati cultori dell’opera quasimodiana, quali il fotografo Peppino Leone, il poeta e saggista Domenico Pisana ideatore nel 2006 del Caffè Letterario “S. Quasimodo” ed autore di un volume bilingue, italiano e rumeno, dal titolo “Quel Nobel venuto dal Sud. Salvatore Quasimodo tra gloria ed oblio”, e Nino Scivoletto direttore dal 2010 del Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica, hanno sollecitato la scrivente ad avanzare nel 2016, all’epoca consulente culturale del Sindaco di Modica Ignazio Abbate, la proposta di una Costituzione della “Fondazione Salvatore Quasimodo”, in linea con la realizzazione di quella concretezza che facilita la valorizzazione del patrimonio culturale, di cui Modica meritamente può e deve fregiarsi.
In particolare occorrerebbe attivare apparati di ricerca, di analisi e di approfondimento con laboratori tematici, anche con l’adozione delle nuove tecnologie multimediali. Inoperoso permane il Centro Nazionale di Studi su Salvatore Quasimodo, fondato nel 1981 e presieduto dal prof. Orazio Galfo (13), promotore dei due convegni di alto respiro (14), i cui atti sono custoditi nella Biblioteca “S. Quasimodo” di Modica. La preziosa documentazione custodita dalla città di Modica consente, infatti, di colmare i lacunosi riferimenti al luogo d’origine, disattesi spesso dalle più accreditate biografie quasimodiane, che hanno marginalizzato l’apporto importante delle radici mediterranee nella formazione umana, spirituale e culturale del poeta, del traduttore e del saggista. Pur condividendo – né potrebbe essere altrimenti – l’importanza della tutela della memoria, preme tuttavia rilevare che bisogna consegnare “accresciuto” alle future generazioni il patrimonio culturale della città.

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(1) Nella lirica Micene (1958) definì se stesso con la celebre espressione di «siculo greco»
(2) Il falso e il vero verde, Le Ore – n.28 -18 luglio 1963; ora in CARLANGELO MAURO (a cura e introduzione ) Salvatore Quasimodo. Il falso e vero verde. “Le Ore” 1960-1964- Sinestesie 2015, p.449.
(3) La nonna paterna, Rosa Papandreou, era nativa di Patrasso.
(4) Foglio manoscritto donatomi da ALESSANDRO QUASIMODO nel marzo 1980 per il suo recital su “Quasimodo operaio di sogni”, svoltosi al Teatro Pluchino di Modica, non più esistente.
(5) CARLO BO, Prefazione, in SALVATORE QUASIMODO, Poesie e discorsi sulla poesia, a cura di Gilberto Finzi, Milano, Mondadori, 1996 n.e., p. XIII.
(6) GIANNI BONINA, E piano piano Modica dimentica Quasimodo -blog -2017: “Quasimodo tornò a Modica in compagnia del suo amico messinese Salvatore Pugliatti. L’ultima volta fu un giorno prima di morire. Di ritorno da Ragusa, dove era stato per ritirare il premio Vann’Antò, volle vedere Modica. Qualcuno lo ricorda al caffè Orientale in compagnia di una donna, spacciata per la sua segretaria di turno. Il giorno dopo fu ad Amalfi a presiedere la giuria di un premio di poesia e lì un ictus lo uccise. Certo visitò la sua casa di Via Posterla, posta proprio sotto la torre dell’Orologio e di fronte alla casa del filosofo Tommaso Campailla, ma probabilmente solo da fuori. Quando partecipò alla posa della lapide non si accorse di due errori: il suo cognome scritto con l’accento sulla penultima vocale e l’indicazione che aveva vinto il Nobel per la poesia. Allora come oggi l’edificio è rimasto della famiglia Gilestro”.
(7) C. BO, E Quasimodo restò solo trafitto dal proprio successo, in Corriere della Sera, 4 aprile 1997.
(8) Il celebre saggista e studioso di La Pira , Piero Antonio Carnemolla, nella sua articolata recensione al mio libro Quasimodo e La Pira – l’ operaio dei sogni e l’operaio del Vangelo( Prova d’Autore, 2016) ne ha sintetizzato la periodizzazione: Il carteggio Quasimodo-La Pira ha una storia particolare. Fu proprio nel 1980 che videro la luce due importanti carteggi: quello con Salvatore Pugliatti e quello con Salvatore Quasimodo curati rispettivamente da Francesco Mercadante e dal figlio del poeta. Nello stesso anno Giuseppe Miligi pubblicava Gli anni messinesi di Giorgio La Pira. Per la prima volta e, in maniera sorprendente, veniva conosciuto l’iter esistenziale e spirituale del giovane La Pira.
Le preziose informazioni chiarivano e facevano meglio comprendere la futura attività dell’intraprendente giovane siciliano che, per scelta tutta personale, si trasferì a Firenze. Incoraggiato dal prof. Vittorio Peri, postulatore della causa di beatificazione, il Miligi riprese a studiare e a cercare fonti che potessero meglio lumeggiare il periodo messinese e nel 1995 pubblicò Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira, testo fondamentale e insuperato, come sottolinea la Dormiente, per ricchezza di particolari e per la dotta interpretazione di fatti e protagonisti del periodo messinese di quegli anni.
Ed è stato merito del Miligi l’aver messo in luce la vivacità e originalità culturali di quel periodo messinese di cui approfittarono sia La Pira che Quasimodo. Successivamente, nel 1998, con il patrocinio della Provincia di Ragusa, Miligi riprese il carteggio e lo ripubblicò arricchendolo con note e commenti tuttora validi e insuperabili. Nel 2008, in occasione del 70° anniversario dell’istituzione della Provincia di Ragusa, l’allora Presidente della Commissione Provinciale della Cultura, Grazia Dormiente, si impegnò a ripubblicare il carteggio apportando al testo sostanziali migliorie sia sistemando le note in calce che eliminando i copiosi refusi. In questa nuova edizione il Presidente della Regione Ragusa, Franco Antoci, nella prefazione ebbe a scrivere. E’ importante che il sindaco santo e il Nobel Salvatore Quasimodo siano riscoperti soprattutto dai giovani che potranno trovare nelle loro lettere spunti di riflessione e di conoscenza che certamente li aiuteranno a maturare nuove prospettive, in questa terra di Sicilia che è nostra madre.
Salvatore Quasimodo siano riscoperti soprattutto dai giovani che potranno trovare nelle loro lettere spunti di riflessione e di conoscenza che certamente li aiuteranno a maturare nuove prospettive, in questa terra di Sicilia che è nostra madre.
(9) Lettera di Quasimodo a La Pira del 26 gennaio 1922, in Carteggio di G. Miligi.p.85.
(10) In effetti già nel 1917, con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, Quasimodo aveva fondato “Il Nuovo Giornale letterario”, che da marzo a novembre fu venduto da uno zio di La Pira nella sua tabaccheria, luogo che diventa anche ritrovo di giovani letterati.
(11) GIUSEPPE CONTE introduzione a Lirici Greci di Quasimodo, Mondadori 2018 in http://italiaingrecia-versioneitaliana.blogspot.com/
(12) Quasimodo, la pittura, i pittori, Catalogo a cura Rossana Bossaglia, Copyright Consulenti del lavoro e Alessandro Quasimodo, Roma 1994.
(13) Orazio Galfo, morto nel 2020 è da memorare come amministratore della città di Modica e soprattutto come animatore di cultura.
(14) AA.VV., Quasimodo e l’ermetismo, Palazzo dei Mercedari Modica 15-16 Febbraio 1984; AA.VV. Quasimodo il post-ermetismo, Modica ,14-16 maggio 1988; il prezioso volume S. QUASIMODO, Dalla Sicilia, quattro poesie e manoscritti autografi inediti,(donati da Alessandro Quasimodo) Nota introduttiva di Gilberto Finzi ed illustrazione di Piero Roccasalva, Modica 1989.

Grazia Dormiente

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