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Modica, ricordo di Orazio Iabichino. Riceviamo e pubblichiamo

Tempo di lettura: 2 minuti

Caro Orazio,

stasera a Zappulla sembrava fosse la sera del Primo maggio: i tanti fedeli che hanno assiepato la piazzetta della chiesa, i portatori a lato dell’altare, su un cuscino rosso c’era anche il tuo fazzoletto giallo con lo stemma di San Giuseppe. Il coro che ha intonato canti delicati, quasi volessero avvolgere tutti noi in un unico abbraccio. L’emozione che traspariva in ognuno dei presenti, da sotto la mascherina. Tutti in attesa…

Mancava fisicamente il festeggiato, mancavi tu. Eppure eri tra noi, eri presente nelle lacrime asciugate furtivamente, nei sorrisi dei bimbi che si muovevano durante la cerimonia. Eri presente nelle parole che stasera ti sono state dedicate. Tu come Carlo Acutis, Chiara Luce ed infine come il piccolo chicco di frumento che, morendo nella terra, ha dato tanto frutto.

Padre Gianni ha parlato dell’eredità immateriale che ci hai lasciato: il sorriso. Hai superato momenti difficili sempre col sorriso, con la bontà d’animo. Non ti sei mai tirato indietro quando c’era da aiutare qualcuno. Di questo ne dobbiamo fare tesoro. Ha citato le sagge parole di un anziano prelato: si può impazzire per tragedie così forti, solo la fede in Dio può salvarci.

Sei figlio di questa terra generosa, Zappulla, e noi non vogliamo dimenticarti. Padre Gianni, accogliendo la proposta di alcuni parrocchiani ha proposto al Sindaco Abate di dedicare a te il campetto realizzato nella parte retrostante la scuola.

Da domani i nostri ragazzi potranno dire: “amunninni a gghiucare ‘nto campetto ri Orazio”. Vedessi che bello lo striscione: c’è il tuo sorriso che campeggia sull’area di gioco.

Tuo papà, il giorno del tuo funerale, ha pronunciato queste parole: “Abbracciate i vostri figli, sempre” che diventino un monito a non rimandare.

Abbracciami sempre

C’era una volta un abbraccio che voleva essere dato, ma gli uomini non avevano mai tempo: il lavoro, la fretta, la carriera, la vergogna di darne uno in pubblico. Lui, l’abbraccio, se ne stava in disparte, paziente, in attesa di quel momento che sembrava non arrivare mai.

La sua pazienza fu finalmente ricompensata; un giorno, l’uomo scoprì di aver bisogno di lui, per sentire accarezzata la propria anima silenziosamente, per essere confortato, per ritrovare la serenità perduta, per essere chiuso in un cerchio magico in cui il mio IO si fondesse col tuo.

Fu giorno di festa, di allegria. L’abbraccio era felice. Non tutti gioirono però. Alcuni non avevano fatto in tempo ad abbracciare i loro cari. La vita era scivolata via troppo presto. E ora gridavano con vigore al cielo: abbracciate forte chi vi sta accanto, non rimandate. Godete della vita con i vostri cari. Abbracciateli perché sarà come dire loro: io ci sono, sono accanto a te, ogni volta che mi cercherai.

Io, figlio mio, ti prometto che un giorno ci riabbracceremo e sarà per sempre. Ci vestiremo di abbracci infiniti, non avremo bisogno di parole; come fece il padre del Figliol prodigo, che non domandò, solo lo abbracciò.

Ciao Orazio, ora sei nella beatitudine eterna, aiuta noi a superare questo momento. Donaci la serenità che abbiamo perduto.

La comunità parrocchiale

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