Lo sostengono gli avvocati di Mediterranea Serena Romano e Fabio Lanfranca dopo che Il Tribunale del Riesame ha respinto il ricorso in merito al decreto di sequestro probatorio di agende, materiale elettronico (tablet, computer e telefoni) degli otto indagati nella vicenda delle navi “Mare Jonio” ed “Etienne Maersk” dell’11 e 12 settembre scorso.
L’ipotesi di accusa sulla quale la Procura di Ragusa sta indagando riguarda il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravato dal fatto che, secondo le indagini, il trasferimento dei migranti dalla cargo danese Maersk Etienne alla Mare Jonio fu concordato anche economicamente tra le due società armatrici e senza che vi fosse una reale emergenza medica a giustificare l’operazione. I legali degli indagati affermano, al contrario che “le risultanze istruttorie confluite nel fascicolo del sequestro confermano a pieno la veridicità dei report sanitari e il gravissimo stato di emergenza in cui ebbe ad essere effettuato il soccorso” e aggiungono che “dall’analisi dei documenti della Procura abbiamo trovato la conferma che tre persone avevano cercato di uccidersi lanciandosi in mare e che altri avevano manifestato intenti suicidari a causa del gravissimo stato di stress fisico e psichico in cui versavano, del timore di essere riportati nell’inferno da cui venivano e dell’incertezza sulla loro sorte”.
La difesa annuncia ricorso in Cassazione non appena saranno depositate le motivazioni.
Il tema che è stato a lungo esposto dall’avvocatessa Serena Romano, che nel corso dell’udienza del Riesame puntava a definire il reale stato di necessità all’interno del quale la Mare Jonio sarebbe intervenuta decidendo il trasbordo dei migranti. Riferendosi ad una donna fatta evacuare perchè in gravidanza e con complicazioni e poi non risultata incinta (ed è una delle “contestazioni” della Procura), Romano aveva sottolineato che dalle “sommarie informazioni” emergeva “che la stessa e il marito erano stati rapiti, venduti e portati in un campo dove le donne venivano violentate ma a quella donna, per la quale secondo quanto scritto nel decreto di sequestro non erano necessarie cure, non è stato mai chiesto delle violenze subite. E su sevizie e violenze subite in Libia, ci sono rapporti e sentenze”. La legale ha detto anche che il 4 agosto “i migranti chiesero aiuto (all’equipaggio della Maersk agli Stati e alle ong) scrivendo su un piatto di carta; se non ci fate sbarcare torneremo al mare da dove siamo venuti. Meglio morire che stare così”.
Di segno diverso è la tesi della Procura, che, in base alle indagini svolte, ha rilevato contraddizioni sulla reale emergenza medica a bordo e sulla tempistica, che non ha previsto un preliminare contatto nè dalla Maersk nè dalla Mare Jonio con le autorità italiane prima del trasbordo. Il procuratore sostenne in aula: “Ci sono i verbali in cui la ministra Lamorgese dichiara che non avrebbe impedito lo sbarco di alcuna nave arrivata nei porti, e quindi che ritrosia poteva avere la Maersk a fare rotta in Italia?”.
Ma il tema del Riesame non riguarda il merito della questione – aveva precisato la Procura -, tenendo fermo il punto e, cioè, che “l’oggetto del Riesame è la valutazione che gli elementi che il pm offre al Tribunale per la misura cautelare siano idonei a configurare l’ipotesi di reato allo stato degli atti”. E la richiesta formulata nel Riesame dalle difese riguardava appunto la effettiva necessità dei materiali sequestrati rispetto alle finalità probatorie, chiedendo annullamento della misura per inefficacia e contestando anche la mancanza di indicazione esatta del materiale oggetto di sequestro. Richieste che il Riesame ha respinto.