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Personaggi iblei di ieri… di Domenico Pisana.

Nino Barone tra saggistica, narrativa e poesia
Tempo di lettura: 2 minuti

Un personaggio di solido spessore culturale presente nella memoria collettiva iblea è certamente lo scrittore Nino Barone. Nato a Modica nel 1919, laureato in Lettere e Filosofia, alla Cattolica di Milano, insegnò nell’istituto Tecnico e nel Liceo Classico di Modica. Fu preside, per trent’anni, dell’Istituto Professionale Statale per l’Agricoltura che egli stesso aveva fatto nascere negli anni ‘52/53.
Pur senza avere mai ambito a cariche pubbliche, è stato presente nella vita politica modicana, come parte importante di quella originaria classe politica democristiana che a Modica si impose, dagli anni del dopoguerra fino alla scomparsa dell’on. Emanuele Guerrieri. Il suo impegno culturale è stato fortemente rilevante e ha avuto modo di estrinsercarsi, negli ultimi anni della sua vita, in conferenze, articoli e in una attiva presenza nel Caffè Letterario “S. Quasimodo” di Modica. Morì l’8 luglio 2009.
La sua grande voglia di condivisione di pensieri, di emozioni, di affetti, di esperienze politiche, sociali e culturali maturate lungo il cammino della sua vita, è fortemente presente nei due volumi Essere cava e Richiami. Un cammino con le sue gioie e i suoi dubbi, divenuto un “bene interiore” chiuso nel cuore, e che l’Autore, dopo aver superato tentennamenti e titubanze, ha voluto portare all’esterno trasformandolo in patrimonio letterario a disposizione delle future generazioni.
La passione, la gioia, la facilità e il gusto per la scrittura sono stati da sempre una nota caratteristica di Nino Barone, come, del resto, egli stesso svela sinceramente ed apertamente nella sua prima pubblicazione.
Questa “vis scritturale” non poteva certamente restare nell’oblio, e bene ha fatto l’Autore a far convergere le sue attenzioni letterarie, storico-politiche ed ermeneutiche nelle due predette raccolte pubblicate nell’arco di appena un biennio, ove si coglie una profonda testimonianza umana, una sintesi di “cronaca e di memoria”, la passione dell’uomo, del politico, del “civis” ermeneuta”, dell’intellettuale che legge con lucidità i fatti sociali, politici e culturali del suo tempo. del “civis ermeneuta”, dell’intellettuale che legge con lucidità i fatti sociali, politici e culturali del suo tempo.
Certo, l’Autore fotografa un dato momento storico e “la fotografia, come direbbe il poeta Elio Pecora – ferma e ritrae per come vede e riflette l’occhio del fotografo”: che può apparire, in alcune pagine e per certi giudizi, opinabile e anche non condivisibile.

1. Essere cava (2000)

La prima pubblicazione, Essere cava, (2000) si sviluppa con una strutturazione tematica densa e ricca di notazioni scrittorie, ripartite secondo una triplice direzione: I primi approdi; Le riflessioni di un moderato; La voce del cuore”.

a.I primi approdi

I Primi approdi, anzitutto. Quali sono? Di cosa parlano? Che cosa vogliono significare nel pensiero dell’autore?
Sono gli “approdi” che parlano il linguaggio della colloquialità e della convivialità, sperimentate nell’ essere cava , fra le “Quattro colline non molte alte – scrive l’autore – e non ricche di vegetazione, ma avvicinate e incombenti”, che “hanno delimitato da secoli, e forse da millenni, lo spazio abitativo della nostra Modica, il centro e il cuore del nostro paese…”( “Essere cava”, p.11).
Sono gli approdi che fra una passeggiata serale e l’altra lungo il Corso Umberto di Modica rievocano ora il “sabato fascista” ora gli anni all’università; ora la “vita militare” ora “la guerra”; ora le “scelte politiche” e la cronaca spicciola legata ad avvenimenti inerenti “I Partiti a Modica “ ora “i braccianti e le case popolari”; ora “Marina di Modica” e “il porto di Pozzallo” ora “il quarantennio democristiano”; etc..
Insomma, un ampio circuito di note argomentative, che si collocano al centro delle narrazioni e riflessioni dell’autore e accompagnano lentamente le sue passeggiate serali lungo il Corso Umberto:

“qui la sera, nella passeggiata serale – scrive Barone—si vive un momento essenziale del nostro ‘essere cava’ !
Gli amici si incontrano qui per caso, con una certa noncuranza che vuole nascondere l’abitudine: si forma il gruppo, tre quattro persone, raramente cinque. Si procede lentamente, senza fretta, e i gesti sono subito ampi, le parole sono subito facili.
Il discorso si riprende dove s’era lasciato la sera prima. Si portano e si mettono in comune le novità e si commentano insieme ora con serena pacatezza, ora con mordace ironia, ora con feroce sarcasmo…”(…)
…..Io amo la passeggiata serale sul Corso, specie nelle splendide nostre primavere: Mi ci ritrovo sereno e disteso e sento in me, dentro di me qualcosa di particolare, un senso strano dell’essere, ora che la gioventù e la maturità sono passate e gli anni son tanti sulle mie spalle. Sento che lì, in quel paesaggio serale, sta anche gran parte dell’essere cava. Sento e mi par di capire che se il Corso non fosse qual è, noi modicani saremmo diversi, non saremmo cava.
E questo, si badi, non come privilegio di quelli che la sera passeggiano sul Corso, ma come qualcosa di specifico che è di tutti, perché in verità la città, tutti gli abitanti, anche quelli che hanno casa, e spesso misera casa, sui dorsi delle colline, a Cartellone, al balzo o alla Costa di santa Lucia, fra scale e viuzze misere ma pulite, tutti, dico tutti, vivono del Corso, sentono di essere cava sia perché al Corso sempre in un modo o nell’altro arrivano, sia perché tutti lo godono nelle grandi occasioni!
E le “grandi occasioni” del Corso se, nel passato, furono le “stagioni politiche” oggi sono rimaste solo quelle delle grandi feste”(Ibid, pp.15-17)

Lo stile semplice e colloquiale e ciò che piace di Barone; è una semplicità che parla al cuore, che riproduce come in una immagine, in un film i fatti, le persone, i personaggi, i luoghi, dando così al lettore la sensazione di trovarsi quasi coinvolto nel fatto, nella discussione, come attore protagonista.
Sicuramente le competenze dell’Autore nell’ambito della cinematografia trovano un riflesso nella sua scrittura, se è vero che il linguaggio delle descrizioni e delle narrazioni di Barone sembra rendere reali, vivi, presenti e palpitanti gli eventi raccontati, come nel caso di quello accaduto in occasione delle elezioni del 1952, che spinge il lettore ad un sorriso sorriso divertito.

b. Le riflessioni di un moderato

Le pagine raccolte sotto il titolo Le riflessioni di un moderato costituiscono la seconda direzione del percorso di Essere cava. Si tratta di riflessioni che ruotano attorno a due poli tematici: “dalla crisi al disincanto”, le “occasioni”.
Nella pagine “dalla crisi al disincanto” la mano dello scrittore cede al bisogno autobiografico e si incurva su orizzonti politici che lasciano trasparire le posizioni e le interpretazioni politiche dell’autore.
Barone prevede i rischi che corre, si pone dalla parte dei giudizi di valore, poiché , secondo lui, ciò che si scrive deve sempre produrre un senso ed avere un significato; per questo mette le mani avanti, dicendo: “Le pagine che seguono sono per l’Autore pagine a rischio… ‘la passione’ …si scopre per intero. Pazienza. Valga in ogni caso l’impegno di una testimonianza leale”. Scorrendo le pagine di queste riflessioni, viene subito da chiedersi: Barone in che senso è un moderato? Egli, nel definirsi tale, così si esprime:

“Si, sono e mi sento un moderato, uomo cioè che, sempre e in tutto, nella sua vita, ha cercato di rifuggire dalle posizioni estreme, rigide o esasperate. Ho amato e amo l’equilibrio. La moderazione mi appare la virtù più alta e la dote più importante che l’uomo possa conseguire….”

Una virtù etica, dunque, la moderazione di Barone; una virtù che egli sente necessaria soprattutto nella vita politica, dove spesso la moderazione è interpretata, specie dalle sinistre, in senso negativo e disprezzante.
Dalle pagine politiche di Essere cava emerge, a mio giudizio, una moderazione che nulla ha a che vedere con gli attributi negativi di certi intellettuali. La moderazione di Barone non mi pare coincida con la conservazione, la stasi, il quietismo molliccio e deleterio, il giustificazionismo buonista; i suoi scritti, al contrario, quando entrano nell’analisi del decennio politico 1975/85 sono spesso mordaci e punzecchianti , carichi di domande e affondano il bisturi in quelle che sono per l’Autore le spiegazioni del degrado e del fallimento generale della politica italiana.
La “democrazia bloccata”, “l’immobilismo della classe dirigente(politica, tecnica, amministrativa), “la spartizione lottizzata delle cariche pubbliche”, “l’abuso di socialità” sono all’origine – secondo Barone – di un processo di degenerazione della politica, processo nel quale sono stati coinvolti – come egli sostiene, da persona moderata e non manichea ,- tutti i partiti:

“ogni osservatore, onesto e sereno, – scrive Barone – riconosce che la crisi politica italiana non è di un solo partito, ma di tutti i partiti; non è solo delle forze di governo o di opposizione, delle forze sindacali o di quelle imprenditoriali, ma di tutte queste forze, sia singolarmente prese, sia considerate nel loro insieme” (Ibid, p. 109).

Solo chi possiede il senso e la virtù della moderazione può scrivere questo senza così cadere nei manicheismi delle sinistre estreme, le quali , al contrario, hanno posto in essere letture di questo decennio politico in maniera disonesta e demagogica, attribuendo tutte le responsabilità alla D.C., per il fatto che su di essa ha gravato per quarant’anni il peso del governo.
Le riflessioni di Nino Barone si snodano successivamente in una analisi storico- politica che punta lo sguardo sulla caduta del comunismo, sul fenomeno Cossiga, su Tangentopoli e il fenomeno Di Pietro, sulle elezioni del novembre 1993, sul triennio 1992/94, sulla nascita della formazione politica dell’Ulivo, sulle elezioni del 1996 fino a giungere alle soglie del 2000. Un altro decennio, dunque, passato sotto i riflettori, interpretato da Barone più che con l’occhio dello storico con “l’animus del politico” che avverte dentro di sé l’amarezza della delusione e la tristezza di una rassegnazione fomentata dall’imporsi di quello che egli chiama un “maggioritario fasullo”, dal succedersi dei “ribaltoni politici” prima nel ‘95 con Bossi e poi nel ’98 con Bertinotti, per arrivare alla crisi dell’Ulivo nel ’99.
Le parole dell’Autore sembrano essenzializzarsi in una sorta di autoconfessione, in uno sfogo che sembra essere non solo di natura personale, ma “sentimento comune” di tanti cittadini che hanno assistito alla “più grande crisi di transizione che abbia colpito l’Italia negli anni di fine millennio”.
E’ davvero coinvolgente il senso dell’humanitas che si sprigiona dalle parole di Barone; egli è un politico “sui generis”; la sua scrittura non è fredda, distaccata, egli sembra scrivere con il cuore in mano, e, così facendo, il suo racconto diventa comunicazione letteraria.
Le riflessioni di Barone rivelano una loro consistenza culturale e problematica anche nelle “Occasioni”. Egli prende spunto da vari fatti ed eventi quali “il terrorismo”, “la crisi del mondo giovanile”, “il dolore e la malattia”, “la mafia”, “la fede”, “l’onestà”, “la religione e le religioni”, “i mass-media”, per organizzare un discorso proiettato verso la ricerca della verità dell’esistenza. I temi affrontati sono appena abbozzati, e l’Autore li colloca in un orizzonte etico ove la dialettica vita-morte, bene-male, luce-tenebra, menzogna-verità emerge con insistenza al fine di evidenziare il bisogno che nella società trionfi la “cultura della vita e dell’amore” sulla “cultura della morte”.
Certo, le “Occasioni” non pretendono di apparire letture sociologiche, analisi strutturali di comportamenti morali, né si presentano come parenesi con il sapore del predicozzo, quanto piuttosto come un “ascolto a voce alta della coscienza”, la coscienza di Barone uomo, credente, interprete dei “segni dei tempi”, esegeta colto e ricco di intuito, sostenitore di idealità e valori capaci di costruire un mondo civile, umano e di pace. Egli, in sostanza, mentre riflette sulle tematiche oggetto del suo interesse si colloca in una prospettiva di servizio culturale ed educativo, quasi con l’intento di dare un contributo all’emergere di una cultura non solo del “vir bonus”, ricco di virtù etiche, ma soprattutto del “vir civis” dominato dal senso del dovere.

c. La voce del cuore

La terza parte di Essere cava è titolata con “la voce del cuore”. La scrittura di Barone assume il “linguaggio degli affetti” e si snoda attraverso i filmati della memoria, che riproducono nella sua mente le premure materne e paterne, i ricordi dell’infanzia, i racconti dei nonni e degli zii, fino ad arrivare alla sua famiglia, ai suoi figli e ai suoi nipoti.
Al primo impatto, il lettore potrebbe avere l’impressione che l’Autore ceda all’auto-esaltazione, all’innalzamento di sé e della sua famiglia; in realtà Barone si fa cantore di sentimenti sinceri ed autentici, diventa quel “nonno mitico” del suoi nipoti, ai quali offre, come in una fiaba, storie e fatti vissuti in tanti anni di cammino e di esperienza. La “voce del cuore” è la sintesi di pagine che parlano il linguaggio della interiorità, di un “io che si rivela” e che mette a nudo se stesso senza veli ed infingimenti; e sono pagine dove le emozioni e le ragioni del sentimento si impongono a quelle del letterato, lasciando da parte ogni artifizio e ricerca stilistica.

2. Richiami(2002)

Il secondo volume di Barone, Richiami (2002), ha certamente un continuum con la prima opera, poiché si colloca, almeno sul piano della cronaca politica, in un orizzonte di affinamento e di completamento di quanto riportato in Essere cava. Si nota che gli stimoli ricevuti dai lettori in ordine alla prima esperienza scrittoria, nonché i suggerimenti degli amici hanno indotto in particolare l’autore ad arricchire di contenuti e riferimenti storici il quadro socio-politico degli anni cinquanta-ottanta della città di Modica.
Sfogliando le pagine di Richiami, vediamo che Barone ricostruisce un quadro nel quale si stagliano alcune figure che hanno caratterizzato la storia politica della città di Modica. Alcuni personaggi sono appena citati, mentre ampio spazio viene dedicato a figure politiche come l’on. Guerrieri, Saverio Terranova, Angelo Scivoletto e Peppino La Rosa.
La rievocazione di questi uomini politici è strutturata con una stesura prosodica ricca ed avvincente sul piano emotivo; l’autore “narra” e “si narra” attraverso percorsi colloquiali che evidenziano vissuti rimasti impressi nella sua memoria.
I versanti toccati nel colloquio con Saverio Terranova rievocano “l’amara vicenda del 1964” inerente “Modica Democratica”, di cui Terranova fu protagonista, nonché le lotte politiche tra Terranova e Scivoletto per le elezioni alla Camera, e infine la nascita dell’Azasi. Certo, sul piano della ricostruzione storica le pagine su Terranova non offrono elementi rilevanti, del resto si tratta – come lo stesso Autore scrive- soltanto di “frammenti e richiami memoriali, o se si vuole spunti emozionali, utili al massimo per la rievocazione di una atmosfera paesana” In ogni caso, l’Autore traccia di Terranova un quadro equilibrato e veritiero.
Se i richiami memoriali relativi a Saverio Terranova appaiono più discorsivi e dialogici, quelli attinenti ad Angelo Scivoletto si muovono con un piglio più descrittivo e rielaborativo sul piano storico. Barone opera una sintesi del percorso politico dell’intellettuale modicano, evidenziandone le doti e le qualità politiche, e soffermandosi sul “giallo” della mancata elezione alle Politiche del ’79, sul “sinistrismo o radicalismo cattolico” che caratterizzava la sua identità politica e, soprattutto, sulle differenze rispetto all’agire politico di Terranova:

“Saverio e Angelo rappresentavano due mondi diversi, però, ciascuno per conto suo apprezzati a Modica. Saverio era la forza locale , nata e maturata nell’ambiente
politico locale, Angelo era l’intellettuale modicano che si era affermato fuori, aveva dato lustro a Modica e aveva qui mantenute le sue radici. Il calcolo elettorale ci diceva che uno era forte a Modica, l’altro era forte fuori, nella circoscrizione…”(p. 68).

Infine, anche il discorso su La Rosa appare ricco di frammenti rievocativi; le pagine si susseguono intrecciando fatti e sentimenti che convergono nell’unità di un percorso memoriale ove emergono il ruolo di La Rosa come segretario, per quindici anni, della Sezione della D.C. modicana, la sua nomina a Commissario regionale della Provincia di Ragusa, le due legislature al Senato, il suo impegno politico per la realizzazione di alcune opere nella nostra Provincia: Il Ponte Costanzo sull’Irminio, gli edifici dell’Istituto tecnico e del Liceo Scientifico a Modica, l’Azienda agraria dell’Istituto professionale per l’agricoltura.
Dunque, la prima parte del volume Richiami è una rivisitazione politica più articolata di un momento storico, un quarantennio, della città di Modica, già preso in esame in Essere cava. Si tratta di una rivisitazione più circostanziata, più emotivamente condizionata, dove l’io interiore di Barone avverte di essere protagonista di una narrazione che non ha soltanto il sapore di un “recupero memoriale”, ma quello di una testimonianza che ha segnato, con le sue luci e le sue ombre, il cammino, la crescita e lo sviluppo della città dellìex Contea.
Da questa testimonianza risulta sicuramente rilevante il fatto che l’autore, come si evince dalle conclusioni della prima parte di Richiami, voglia lanciare un messaggio in ordine a due questioni essenziali: il ruolo dei partiti nella società e l’etica della politica.
Sulla prima questione, Barone afferma la necessità di un ritorno e di un riaffermarsi dei partiti.
In ordine alla seconda questione, di natura etica, l’autore di Richiami auspica un recupero della “lealtà e correttezza” nella lotta politica. Utopia? Per Barone no, tant’è che egli afferma:

“Lo so che molti di noi pensano, e non a torto, che la lealtà non si è mai bene accoppiata alla politica, dove più spesso regnano l’astuzia, la furbizia e anche l’inganno e la falsità. Sulla base della mia esperienza personale, penso che tuttavia una buona dose di lealtà sia possibile realizzarla in politica, sia in sede locale che in sede nazionale. Io ho avuto la fortuna di entrare, da giovane, nella vicenda politica locale, e ritengo di aver vissuto a Modica, fra gli anni cinquanta e gli anni ottanta, un momento alto della politica” (p.76).

Queste affermazioni di Nino Barone sono certamente una testimonianza delle sue idealità etiche, idealità non ingenue ma misurate con la realtà, idealità di cui la politica oggi ha bisogno per non ridursi una “professione” e non perdere gli orizzonti del bene comune.
Leggere gli accadimenti storici e sociali nella loro variegazione, è stata sempre la passione di Barone. La seconda parte di Richiami offre al lettore uno scenario nel quale vengono interpretate vicende che, nel Paese, hanno fatto discutere parecchio.
Anche la terza e la quarta parte di Richiami sono un mosaico di colori e di emozioni, dove l’Autore dipinge le sue esperienze, le sue impressioni e le sue tensioni dando spazio ad una riflessione agile e pungente maturata in occasione di viaggi, di conferenze e discorsi tenuti in varie occasioni.

3. Il sapore del tempo e la sera dell’anima

Il sapore del tempo è la terza opera di Barone, nella quale il suo percorso narrativo dà al tempo una funzione sia di ricordo che di catarsi.
Egli racconta fatti, aneddoti, esperienze ed avvenimenti che hanno segnato la sua vita, e di ognuno offre al lettore la sua “capax ermeneutica” con una scrittura dallo stile originale e necessitata da una forte esigenza di comunicazione. La stessa intensità comunicativa la si ritrova, infine, nella sua ultima opera di poesia La sera dell’anima, ove l’Autore posa l’occhio su se stesso, sui suoi affetti, sulle sue gioie e difficoltà, sui ricordi seguendo una scansione(Mattino, Giorno, Sera) che non è temporale ma metaforico-spirituale.
Le opere di Nino Barone costituiscono sicuramente, nel loro intreccio di cronaca, memoria, politica, cultura e avvenimenti vari, rievocazione di affetti e sentimenti, un “messaggio etico” per l’uomo del nostro tempo.
Di fronte alla perdita del senso di sé della politica e della classe dirigente, alla “dissipazione” delle energie e dei valori della società e alla “mancanza di verità” che nella stessa vita sociale si coglie, l’autore con le sue opere indica la via della lealtà, della virtù, della moderazione, dell’ ”otium” nella prospettiva senecana di “impegno” più faticoso e più ricco di effetti positivi; auspica la realizzazione di una “democrazia compiuta”, un rapporto tra gli uomini fondato sulla correttezza e il rispetto e sulla amicizia.
Tutto questo trova il suo approdo in una scrittura dallo stile originale e necessitata da una forte esigenza di comunicazione.
L’ottica con la quale egli ha guardato è stata quella di un osservatore che intende rappresentare la realtà cogliendone non la superficie ma le radici complesse e, in alcuni casi, meschine di certi comportamenti. Nei suoi scritti non c’è tuttavia livore, disprezzo, anzi serenità e pacatezza interiore; egli può dare l’impressione, in certi passaggi, di avere una prospettiva “catoniana”, cioè di guardare con rimpianto al passato, ma nei fatti si dimostra capace di comprendere i cambiamenti della nostra società.
Le sue opere di prosa e poesia sono dunque il frutto di una “curiositas” intellettuale che ha portato l’autore ad affrontare argomenti da vario genere, natura e valenza, donde la “varietas” delle riflessioni e delle emozioni e dei suoi intenti poetici. Barone dimostra di possedere cultura e competenza critica e si mostra capace di spaziare tra generi letterari diversi e di utilizzare vari livelli stilistici inframezzati da dialoghi e riferimenti autobiografici.
Egli, insomma, scrive per comunicare e la sua capacità di padroneggiare le risorse della parola (quando teneva comizi era , a detta di molti, un brillante oratore, ) è veramente ammirevole, tant’è che riesce quasi sempre a rendere ogni argomento oggetto di una comunicazione linguistica essenzialmente lineare e coinvolgente.
Chiudiamo questo percorso su Nino Barone con dei testi poetici tratti dalla raccolta La sera dell’anima:

Spazio

Siamo immersi in uno spazio infinito
un grande orologio regola il mondo
sono troppo piccolo per camminare da solo
dammi una mano, Signore, per arrivare
alla fine.

La sera dell’anima

La spiga matura non colta
avvinta allo stelo tenace
si asciuga al sole rovente
canta vittorie trascorse

conserva il suo orgoglio non vinto
è forma di vita vissuta.
Aspetta anch’essa un tramonto
come l’anima che attende la sera.

La sera dell’anima in attesa
apre per me nuovi orizzonti
richiama cieli diversi.
Viene allora dall’alto una luce
annuncia una speranza infinita
concede ancora albe radiose
che sorridono alle ultime stelle.

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