
Poesia concettuale e di profondo respiro lirico è quella che troviamo, nella raccolta “Oltre la soglia” di Serenella Menichetti, CTL Editore 2018, ove la versificazione si dispiega con registri formali che oscillano tra tocchi di liricità di rilevante impatto sintagmatico e connotazioni prosodiche ricche di affacci descrittivi.
L’autrice, che ha insegnato per trentacinque anni nella scuola dell’infanzia, è Presidente dell’Associazione “Lapis” di Cascina, in Toscana, ed ha alle spalle diverse sillogi poetiche, tra le quali “Fiore di Loto”, vincitrice del Premio Iplac e “Giovane Holden” nel 2016, e riconoscimenti di vari concorsi di poesia e narrativa.
Il cammino poetico della Menichetti ha già nell’incipit del volume il senso dello sguardo lungo, atteso che l’autrice cerca un “oltre” nel quale le cose, l’esistenza e il tempo possano avere un senso, uno svelamento di comprensione, un significato valoriale. C’è, per la poetessa, un “mistero tesoro sepolto / da cercare”, una tensione da vivere per andare oltre “le catene dell’apparenza” con la speranza di incontrare “occhi di luce” :
…Il mistero tesoro sepolto
da cercare.
Senza rimpianto
attingi alla brocca
del tuo tempo.
Spezzi le catene
dell’apparenza.
Perfori barriere.
Senza timore
T’immergi negli abissi.
Per cercare occhi di luce
(Oltre)
La voce poetica di Serenella Menichetti scava dentro la coscienza dell’uomo per comprendere il senso della morte che si “è infiltrata ovunque” , “che ulula” e “la fa da padrona”; si domanda a che “possa servire un poeta”, scandaglia l’ontologia dell’esistenza che si trova spesso di fronte a “verità contrastanti” rimanendo impotente anche di fronte alla perdita dell’identità (“…La tua identità cade nel vortice / di un tempo sospeso. / Chi sei? / Che sarai?…, in Trasformazione ).
Insomma, la silloge Oltre la soglia è ricca di un’intensità lirico – dichiarativa che tocca nuclei tematici diversi ma convergenti nell’unità di richiami trasfigurativi di esperienze vissute; la poetessa, anche quando cede il passo ad andamenti diegetici, va sempre “oltre” il dato descrittivo per provocare domande di senso ai suoi lettori con parole che “rotolano come sassi” e che “Poi si fanno roccia aguzza”.
L’autrice riporta anche sulla pagina quadretti di pregevole fattura che stimolano il sentimento della bellezza e che la vedono intenta a scrutare il silenzio nelle pieghe della solitudine ed a inseguire la voce del vento e la musica del mare:
…E mi perdo nel caos della mente
in dolente scricchiolio d’ali
e stupro d’incanto.
Anelo silenzi impercettibili
come piume d’uccelli lievi.
Cerco nella solitudine
il tintinnio della goccia che cade.
il sospiro della foglia in volo.
Il sordo tonfo, in mare d’aghi
della pina, che al suolo
il suo ciclo interrompe.
Inseguo il canto del vento
e del mare la musica
E nella sinfonia dell’onda
sempre riaffioro.
(Sassi)
Serenella Menichetti ha un suo personale linguaggio, che, di volta in volta, si essenzializza ora in toni lirici connotati di rigoroso decoro formale, ora in “excursus” concettuale dove trasuda forte il rapporto tra etica ed estetica. E così vediamo che in poesie come “Il divano a righe”, “Parole nemiche”, “Pensieri di un venditore abusivo”, “Crollano ponti si erigono muri”, “Dedicata a Giulio Regeni” , la poetessa veicola i suoi registri creativi intrecciando gli sviluppi del suo discorso poetico con aspetti etici e dal piglio anche sociale, e ricorrendo ad una efficace trasfigurazione delle immagini e alla selezione dei significanti.
I riferimenti specifici che campeggiano in tutta la raccolta evidenziano, in tal modo, anche il superamento di forme di astrazione elegiaca, ed attestano – come direbbe Vittorio Sereni – “la familiarità con le cose di cui scrive”, la “familiarità di cose viste e vissute”. Non a caso troviamo il richiamo a luoghi, oggetti, paesaggi, figure, situazioni contestuali che testimoniano come sia la vita umana nella sua fullness di sentimenti e di affetti l’elemento propulsivo della poesia di Serenella Menichetti, la quale scegliendo di citare nell’epigrafe del volume il grande Kahlil Gibran svela di considerarsi una donna che con la sua poesia “chiude gli occhi e pensa”.
E nel viaggio poetico di questa raccolta il logos è il punto cardinale di una navigazione metafisica alla ricerca di quell’oltre che è presente nel cielo e nella terra, nelle relazioni, nello sguardo e in ogni azione umana. Del resto quella della Menichetti non è solo poesia di parole, ma anche si segni, di gesti, di immagini, di suoni, di silenzi, di passioni che si fondono nell’armonia di una sinestesia continua ed ininterrotta. E in questo viaggio di vita e di parole “l’oltre” a cui tende la poetessa non è la comprensione definitiva dell’essenza delle cose e dell’esistere, ma la tensione veritativa verso un limes ricercato per poi essere spostato ancora oltre verso l’inappressabile.
In questa “poesia eponima” – come la definisce il prefatore Nazario Pardini – c’è tutto l’orientamento esistenziale della poetessa, che sa tendere sia al lirismo tenue, delicato e a tratti contemplativo, sia alla esegesi di atteggiamenti e comportamenti d’irrequietezza umana.
La poesia di Serenella Menichetti, così, è incontro e scontro di silenzi e di ignoto, di ricordi e di armonie, è un colloquio tra certezze ed incertezze, è un rapporto con l’inquieta, mutevole e contraddittoria realtà che la circonda: “…L’occhio straziato, il tacito lamento / di distruzione sente. / Ha canto lugubre questo esteso silenzio / che la desolazione accoglie, in Al fuoco ; “…Figli unici. Figli del ‘tuttomio’ / Ben nutriti, ben vestiti, ben pensanti. / Pronti a ghermire, ad agguantare(…) Intanto crollano ponti. / A ricordare che i collegamenti / non sono più attuali”, in Crollano ponti si erigono muri”; “… Vorrei un abito di piume di pernice / per affrontare la vita / e un altro ancora/ per morire”, in Oscuro.
Ecco qui il senso della ribellione della poetessa, il suo colloquio-denunzia, la sua ironia ed autoironia, il suo bisogno di incontrarsi con l’umanità vera, quella dei pochi che vogliono andare “oltre” la labilità dei compromessi, delle lacerazioni e delle espropriazioni del presente.
Leggendo questa silloge di Serenella Menichetti rimane l’eco di una voce che canta il mistero della vita “oltre la soglia”, che tende “verso una sconosciuta direzione, dal tempo e dallo spazio distaccati /, di sperduti orizzonti, alla ricerca…”, in Oltre.
E questa sua voce che si perde nei meandri di una “sconosciuta direzione” rende la sua poetica universale, “misterica”, nel senso che opera una sorta di “iniziazione” del lettore al mondo misterioso dell’esistenza, aprendo e chiudendo, dicendo e non dicendo, spiegando e non spiegando, e quindi lasciando la soglia aperta alla sua comprensione, al fine di far trasalire la “sua verità” esistenziale , la quale, a questo punto, costituisce un segreto il cui svelamento diviene, al contempo, scioglimento di quel problema che il segreto stesso raffigura, e rivelazione per il mistero che custodisce.
La poetessa, così, affida al lettore il compito di scoprire cosa c’è oltre la soglia, di entrare nel mistero dei suoi versi, atteso che – come diceva il grande Ungaretti -“la poesia è poesia quando porta in sé un segreto”.