Tra naufragio e speranza
Tra le tante opere di Domenico Pisana, e sono veramente molte e varie, questo libro di poesie del 2014, dal titolo “Tra naufragio e speranza”, costituisce a mio parere il punto più alto della riflessione teologica e spirituale del poeta e saggista modicano. Un libro denso e intenso, profondo per l’analisi accurata che il poeta conduce dentro l’animo umano, dentro le ideologie, dentro la storia. È anche una denuncia della finitezza della ragione, una ricerca del senso dell’esistenza, una lunga meditazione su una Verità, data all’Uomo ma non ancora pienamente accettata e assecondata. Questa Verità ha un nome preciso che il poeta identifica con la Parola, ovvero con il Verbum dei latini e il Logos dei greci, e quindi, secondo i vangeli e la dottrina della Chiesa, con Gesù, l’unto del Signore, il Cristo.
Pisana si inserisce dunque in un filone poetico di grande speculazione, forse il maggiore campo d’azione della poesia di tutti i tempi, una terra impareggiabile per le sue molteplici implicanze di ordine morale, religioso e umano.
Già David Maria Turoldo aveva percorso, nel novecento, una strada simile ma con una esplicita inflessione fideistica e teologica, da buon sacerdote, così come tantissimi altri poeti e scrittori, con risultati più o meno convincenti, mietono a piene mani in questo terreno che potremmo definire di tipo cristologico. La riflessione poetica sul Cristo è uno dei grandi temi a cui si rivolgono i poeti; è un confronto continuo e a volte drammatico, esasperato per la rabbia e la disperazione che albergano nell’animo quando la vita ci nega una qualsiasi felicità.
Qui, invece, in quest’opera di grande respiro teologico, come abbiamo detto, non c’è la drammaticità dialettica del miscredente o dell’ateo o del nichilista: la visione di una Salvezza che viene da Dio è sempre presente, nella scrittura del Pisana, e non ci sono dubbi o incertezze nello scorrere del discorso logico. Si dà per scontata la presenza di Dio nella storia dell’uomo, la sua provvidenza e la sua misericordia. Ciò che invece non è affatto scontata è proprio l’azione dell’uomo che crea le ideologie, le fedi illusorie, le rivoluzioni di pensiero, senza un fondamento sicuro dove erigerle, senza un pilastro dove appoggiarle. Pisana è su questo punto, sulla dialettica fra ragione e fede, che appunta il suo sguardo, inserendosi pienamente nel solco della più recente riflessione papale proprio sul rapporto tra Fides et Ratio. Fu Giovanni Paolo II, nel 2011, a spiegarci meglio questo rapporto dialettico fra queste due virtù, fede e ragione, paragonandole a due ali che permettono a un uccello di volare; con una sola ala è impossibile librarsi in cielo. L’una si nutre dell’altra, l’una accompagna l’altra. Se diamo solo alla ragione il primato della storia umana allora avremo le aberranti speculazioni ideologiche che tanti lutti hanno portato nei secoli o le presuntuose affermazioni di uno scientismo che pretende di spiegare ogni risvolto dell’universo e dello spirito umano; allo stesso tempo se diamo una esclusiva importanza alla fede ci scontreremo con i tanti fanatismi e le aberrazioni sociali, razziali, religiose, che ancora oggi insanguinano le spiagge e le città di mezzo mondo.
Allora come fare? Pisana ci suggerisce l’antica strada evangelica dell’accettazione di Gesù, del suo Verbo, nel divenire dei nostri giorni e nel progredire del nostro pensiero. La ragione e la fede si danno sostentamento insieme; la prima deve immergersi nella seconda e di essa si deve nutrire. Ma anche la fede deve affondare le sue motivazioni nella ragione, come sostiene l’enciclica papale, perché l’uomo può comprendere molto del mistero della vita se usa la ragione in modo congruo e intelligente. Invece, come scrive Pisana, “… il canto che venne a cantare la verità dei lumi/ s’è trasformato in flauto stonato svuotato di certezze.”
Da questo assunto parte il lungo discorso poetico di Domenico Pisana. Già il titolo del libro ci suggerisce i temi che saranno affrontati: Tra naufragio e speranza, ovvero fra tenebra e luce, tra menzogna e verità, tra un materialismo distruttivo e una fede creativa e salvifica.
Il libro si apre con un proemio affascinante e di forte tenuta lirica ed emotiva e si sviluppa poi in tre parti, come un viaggio dantesco, partendo dalla considerazione che la sola ragione, alla quale abbiamo affidato i nostri destini, ha fallito la sua missione e il suo scopo. L’uomo non è migliorato ma anzi, alla luce di questa razionalità esasperata, ha prodotto le tante aberrazioni degli ultimi due secoli. Siamo immersi nella notte e il richiamo alla Luce di Dio, alla sua Verità, si fa pressante. C’è, nel proemio, un sapiente gioco di sovrapposizioni linguistiche che rimandano ai due livelli dell’essere: il primo, quello mondano e storico, denotato con il termine luce con la “l” minuscola, appartiene alla sfera sensibile mentre il secondo, Luce, con la “L” maiuscola, appartiene alla sfera divina. “… la ragione … – scrive Pisana nella lirica III -/ Ci ha fatto sognare nuove terre,/ ci ha fatto toccare nuovi cieli / luoghi eterni edulcorati di benessere:/ al mattino uomini e donne gettavano le reti/ per ubriacarsi di luce/ e diventare padroni del presente e del domani.// E invece portiamo nel cuore/ vite macchiate di sangue:/ paghiamo l’ebbrezza di luce consumata/ sull’altare privo della Luce.”
Da qui comincia il viaggio del poeta. Il primo tratto s’intitola emblematicamente “Ed ora, la notte” e porta come sottotitolo un verso di Lucrezio: “La vita è una lunga battaglia nelle tenebre”. E l’incipit dei versi di Pisana riprende questa epigrafe pienamente: “Siamo sprofondati nella notte.” Anzi lo sguardo dell’autore si allarga e si concentra in una metafora che accompagnerà, con diverse modulazioni, l’intera opera: “Siamo sulla terra ferma a guardare l’orizzonte marino:/ vedo una nave che comincia a naufragare, un sentimento/ di paura m’assale, l’angoscia mi tormenta,/ mi consola essere a riva spettatore lontano/ ma non c’è più distanza fra di me e i naufraghi.”
Il mare sarà dunque lo scenario della nostra vita: si passa dalla bonaccia alla tempesta (…il mare in tempesta ha vomitato i resti/ di pochi valori usciti indenni dalle acque.”, e ancora “…la risacca ha inghiottito i sentimenti… le onde hanno spezzato la fragilità dell’essere…s’è perduta nell’oceano la lampada che accende/ sentimenti di cristallo, nessuno è disponibile a tuffarsi/ per riportarla a riva”.
Il mare rimanda alla solitudine, all’immensità che ci disorienta. E la solitudine rimanda alla condizione dell’uomo in questa terra: “…Viviamo stagioni di solitudini,/ le folle mutano come il tempo/ e la solitudine rimane uguale a se stessa,…”
Questa solitudine può essere mitigata, anzi condivisa, dalla presenza di Dio, come hanno sperimentato tanti profeti, e dunque il credente non sarà mai solo “…non sono solo con Te, verità trinitaria, esodo del Verbo in me,/ luce invisibile sul mio visibile/ varco di speranza nelle stagioni delle solitudini.”
In questa prima parte, pur nella notte in cui si dibatte l’uomo, si ravvisa spesso la Luce, la Presenza di Dio, la Verità che dà sicurezza e conforto. È una traccia della profonda fede di Pisana, la quale comincerà a manifestarsi in modo più compiuto nella seconda parte, dal titolo: Verso l’aurora. Anche qui un’epigrafe, tratta dagli scritti di Karlil Gibran: Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.
Ma si sono percorsi per intero i sentieri della notte? Siamo veramente usciti dall’illusione di un razionalismo salvifico e di un materialismo bastevole ai nostri più intimi bisogni? Ci volgiamo veramente verso quelle “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria che ci regaleranno la felicità e il benessere?
C’è, secondo Pisana, la possibilità di vedere la luce: “Ed ora, sogniamo l’aurora” così comincia la seconda parte del libro; e continua “abbiamo ricominciato a sperare”. Ecco, la speranza: dopo luce-Luce e solitudine questa è la terza parola chiave della riflessione poetica e teologica del poeta modicano. “A tratti intono e spengo / il canto della speranza.” E ancora: “Il tempo dischiude antiche speranze” “Ma la notte giunge a ridare speranze” e così via in un alternarsi di emozioni suscitate dalla presenza di un Dio che penetra nella carne del poeta e ne vivifica l’essenza (Tutto è desiderio di Te).
Ma siamo ancora nel riverbero dell’aurora, momento incerto del giorno e della notte, “tempo senza tempo”, come lo definisce Pisana; attendiamo impazienti lo splendore della Luce, il manifestarsi del Sole che tutto rischiara e vivifica. E il giorno non tradirà le nostre attese: “Oggi – scrive il poeta nel decimo componimento – respiro nell’aria il delicato profumo/ della tua Presenza; / è come se il tempo/ non fosse trascorso con le sue sudate sofferenze.”
L’azione di Dio oltre che nel cuore, luogo della fede, entra anche nella mente, luogo della ragione, e la sconvolge, ne altera le coordinate logiche, ne scombussola le deboli acquisizioni. E una dolce follia ci pervade, ci conduce verso l’Inconoscibile ultimo senso della creazione. Solo il folle, nella sua diversità e nel suo originale vuoto mentale, può riempirsi dell’acqua di Dio. La bellissima quinta poesia di questa terza parte poggia proprio su questa parabola del folle. “Un folle senza meta ha incrociato/ la stella della speranza;/ con gli occhi smarriti,/ lucidi, coperti di Luce,/ il volto inondato di sole,/ le mani innalzate al cielo/ come le colonne di un tempio illuminato,/ le labbra morbide come il cuscino / del letto che attende il corpo ritrovato.// Davanti a Te ricomincia/ il canto del ritorno./ Le dolci note espandono profumo/ di speranze latenti,/ inneggiando all’aurora/ che schiude il segreto di nuove mete,/… La notte si consegnava all’alba, il sole risplendeva./ Il folle ritrovò la Ragione/ per abbattere le ragioni/ degli idoli incalzanti, con slancio cristallino, / volto raggiante, mani speranzose/ come un ruscello d’acque limpide”.
Pisana ci consegna con questa sua opera intrisa di fede un documento di grande impatto emotivo e culturale; è una riflessione sulle condizioni dell’uomo moderno, sulle sue attese e sul suo divenire; è un’opera che si discosta dall’ordinaria tematica amorosa e sentimentale perché l’unico amore possibile ed esaustivo lo ritroviamo in Dio.
È una poesia imbevuta dello spirito dei salmi: ha spesso la stessa cadenza ritmica, lo stesso afflato poetico, la stessa dimensione spirituale, a volte le stesse immagini e metafore, come un continuo rimando o uno scambio di parole e sensi. Appartiene quindi, a buon diritto, alla preghiera e al canto, forse all’elegia, ma non certo agli altri generi poetici come la lirica o l’epica che ne tradirebbero l’essenza. Ha anche una sapienza stilistica elegante e complessa sia nella formalizzazione dei versi, che spaziano nella pagina secondo una esigenza lessicale e fraseologica, sia nel frequente uso delle metafore che arricchiscono il discorso stilistico.
Odi alle dodici terre
L’ultima fatica letteraria di Domenico Pisana è un libro denso e curioso, quasi una sfida fra poesia e racconto, fra emozione e archeologia, fra fantasia e storia: Odi alle dodici terre. Questo è il titolo e già ci incuriosisce la scelta di alcune parole: le odi sono delle liriche che portavano una base musicale, quindi un canto a versi liberi o strutturati secondo gli stili dei greci, dei romani o degli alessandrini. Oggi il termine è quasi un sinonimo di “lirica” e denota un atteggiamento descrittivo e introspettivo del poeta di fronte a tematiche sociali, storiche, territoriali, umane. La seconda parola è terre. Il poeta la usa parlando di città e di territori, ma anticamente, fino a tutto il settecento, le nuove città che si edificavano in Sicilia portavano proprio il nome di Terra (con la T maiuscola), quindi Terra di Modica, di Spaccaforno e così via. Il termine Terra comprende non solo la città in senso strettamente urbanistico ma anche il suo circondario, i sobborghi, le coste e le montagne, il territorio tutto dove quell’insediamento umano cominciava la sua storia.
Alla luce di questi chiarimenti si potranno capire meglio la struttura e l’essenza di quest’opera così originale.
Se l’opera precedente Tra naufragio e Speranza si poneva sul piano del pensiero e della fede qui il discorso si dispiega sul piano della storia e della partecipazione emotiva, diventa pietra e carne proprio nel senso etimologico dei termini.
È un canto lungo e appassionato verso le sue e nostre terre: Ragusa, Comiso, Santa Croce Camerina, Vittoria, Acate, Chiaramonte Gulfi, Giarratana, Monterosso Almo, Modica, Ispica, Pozzallo, Scicli, tutte in provincia di Ragusa, tutte mete assidue dell’itinerario emotivo e spirituale del poeta modicano.
Certo, traspare da questi versi dedicatori, la forte appartenenza del poeta a queste terre, il suo attaccamento affettivo, ma c’è anche il compiacimento di raccontare un territorio ricco di antiche glorie e di complesse vicende storiche. Queste nostre città, magnificamente cantate da Pisana rappresentano il suo itinerario affettivo ed estetico. Così è per Ibla, l’antica greca Hybla Heraia, in onore della dea Hera, protettrice dei campi: “Ricami di bellezza gli antichi greci/ segnarono sul tuo volto” “…rifulgi/ come gioiello su dita di donna”.
E di Comiso il poeta coglie la sua vocazione contadina e agricola: “Finché la memoria è un battito del tempo/ Tu, Comiso, non lasci alle spalle/ arti creative; mestieri segnati dal sudore/ delle mani rivivono nell’universo/ di generazioni smarrite, il canto della fanciullezza/ risuona nell’aria accompagnata dal suono/ di arnesi e carretti, ora che l’aria brucia l’ansia/ di nuovi orizzonti di luce.”
E come si può tacere delle emozioni che gli suscita dentro Santa Croce Camerina: ”La sera sventra i pensieri.// Il silenzio degli scogli/ rumoroso di storia, squarciato/ dalle cicale mi conduce…. Qualcuno sugli scogli della costa/ piange a lutto la morte, scrive un dolore sull’acqua./ Di rado qualche onda regala una speranza.” È evidente il riferimento alla tragedia dei migranti africani!
E che dire di Modica, la sua Modica? Qui il canto si dispiega con più forte passione, la parola vivifica le pietre, le chiese, le strade, i ricordi, le botteghe, le tradizioni e persino i personaggi famosi che l’hanno attraversata con la loro cultura e la loro arte. Modica è lo splendore dell’intera provincia ragusana, la gemma più preziosa, anche se nel suo destino s’annida il germe del rimpianto: “Canto il tuo nome/ nelle città dove il sole è un sogno/ e il mare un desiderio di sempre.” E ancora: “…Canto gli intarsi barocchi dei tuoi vicoli,/ le geometrie delle chiese e di palazzi,/ i sapori della terra fermentata dal sudore/ e m’inebrio della luce del presepe/ quando nuovi occhi s’affacciano/ dalle tue sorridenti colline/ per fissare bellezze antiche/ e sognare anni trascritti nei ricordi.”
Ma il poeta non si ferma solo a uno sguardo panoramico ma partecipa del fascino che emanano quelle pietre, si fa coinvolgere (“Anche Tu dalle mie inconsistenze/ suscita latenti energie/ di canto, di timidi sogni poeta/ della valle che s’agita nel cuore”) e allora il canto si fa elegia, afflato lirico, analisi psicologica e ogni pietra sfuma nella nebbia del pensiero lasciando il posto alla visione e al sogno.
La Terra, qui intesa nel suo insieme territoriale e urbanistico, diventa Patria, luogo intimo di una ricerca, radice ancestrale e mitica, madre e dea. Ecco, c’è un senso del divino che motiva e giustifica questo itinerario biografico e naturistico: sentimento del tempo e del luogo che si saldano in un’immagine, in un ricordo. I poeti sono assidui di questi viaggi, dal poeta dialettale Salvatore Di Pietro, che dedica l’unico suo libro in lingua a Viterbo (Viterbo in onda verde), sua città di elezione, al Quasimodo di Vento a Tindari o a Montale de La casa dei doganieri. Ogni poeta canta le proprie origini, ne riconosce la forza e l’ispirazione e non può fare a meno di abbandonarsi alle emozioni che lo avvolgono.
A chiusura di queste note non ci resta che fare un’ultima considerazione. Pisana è un poeta vero, profondo, versatile, capace di transitare per diversi stili e generi, impegnato culturalmente e intellettualmente. La sua poliedrica attività lo porta a spaziare dai temi morali e religiosi a quelli civili e politici e non disdegna le soste poetiche che lo rigenerano e lo esaltano. È uno di nostri pochi poeti che hanno varcato non solo lo Stretto ma anche i confini nazionali, visto che le sue opere sono state tradotte in diverse lingue e circolano in alcune nazioni. Gli auguriamo molti successi ancora e una presenza sempre maggiore nel panorama della nostra migliore poesia.
Corrado Di Pietro