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Viaggio intorno a Quasimodo a 50 anni dalla morte… di Domenico Pisana. Il saggio del ’59 “Il poeta e il politico”/12

Il rapporto di Quasimodo (in una foto del 1964) con la politica è sintetizzato in un saggio del 1959, “Il poeta e il politico”, nel quale il Nobel disegna le coordinate di un discorso sulle principali diversità che caratterizzano le due esperienze, nonché le reciproche lotte “sotterranee”. Ecco come si esprime Quasimodo in questo stralcio del suo saggio:

“…Il politico vuole che l’uomo sappia morire con coraggio, il poeta vuole che l’uomo viva con coraggio. Mentre il poeta è cosciente del potere politico, questi si accorge del poeta soltanto quando la sua voce raggiunge profondamente i diversi strati sociali, quando cioè dalla lirica o dall’epica si rivelano, oltre alle forme, anche i contenuti. Da questo momento comincia una lotta sotterranea tra il politico e il poeta.
Nella storia i nomi dei poeti esiliati vengono fuori come dadi mortali; mentre il politico, verbalmente, sostiene la cultura, in realtà tenta di ridurne la potenza; il suo scopo non è altro in ogni secolo che quello di togliere tre o quattro libertà fondamentali all’uomo, affinché esso continui, in questo eterno cerchio, a riprendere ciò di cui è stato saccheggiato.

Le accuse all’ethos del politico

Il testo quasimodiano è portatore di accuse ben precise al politico, accuse che ne evidenziano la prassi e il modo di essere nei riguardi del poeta. Nella citazione sopra riportata, quattro, in particolare, risultano i rilievi fatti dal Nobel al politico, e precisamente:
l’enfatizzazione del coraggio della morte: “il politico vuole che l’uomo sappia morire con coraggio”;
la marginalizzazione del ruolo del poeta: Quasimodo avverte come il potere politico tenga in poca considerazione l’attività del poeta, la cui voce viene ritenuta ininfluente e priva di efficacia nella società. La politica – scrive il Nobel – “si accorge del poeta soltanto quando la sua voce raggiunge profondamente i diversi strati sociali, quando cioè dalla lirica o dall’epica si rivelano, oltre alle forme, anche i contenuti”. Dunque, è l’incidenza che l’attività del poeta esercita negli strati della società, attraverso i contenuti della poesia, che richiama l’interesse del politico, il quale, poi, si sente quasi minacciato nel predominio del suo ruolo e, pertanto, comincia a lottare contro il poeta in modo sotterraneo;
la relazionalità ipocrita con la cultura: il Nobel denuncia l’atteggiamento farisaico del politico, il quale “sostiene verbalmente la cultura”, ma nella realtà cerca di combatterla per “ridurne la potenza”, cioè per evitare che possa condizionare le masse, possa orientarle e farle riflettere con consapevolezza sull’evolversi dei processi storici e sociali;
la negazione delle principali libertà: Quasimodo sostiene che in ogni secolo la politica abbia cercato sempre di minare alla base la condizione di libertà dell’uomo; l’accusa che egli rivolge al politico è ben precisa: “il suo scopo non è altro in ogni secolo che quello di togliere tre o quattro libertà fondamentali all’uomo”; il riferimento del Nobel è, fra l’altro, sicuramente alla libertà di pensiero e di espressione.
All’ethos del politico Quasimodo contrappone quello del poeta; questi, infatti, a differenza del politico, vuole che l’uomo viva con coraggio ed è cosciente del potere politico. In altri termini, l’attività poetica è un “atto di fiducia” nella vita, è saper leggere la storia nei suoi valori e nei suoi contenuti, è attenzione all’uomo e ai suoi bisogni, è capacità di dire con coraggio, mediante il linguaggio della poesia, tutto quanto batte nel cuore dell’uomo; è saper riconoscere la società in tutte le sue forme istituzionali, compreso il potere politico.

Le congiure politiche della cultura

Il saggio quasimodiano ci dà anche un’attestazione di come spesso la cultura sia capace di congiurare contro la politica. In questa seconda citazione che riportiamo c’è un passaggio molto eloquente a questo riguardo:
“In particolari momenti della storia, la cultura si unisce segretamente contro il politico: è un’unità temporanea e serve da ariete per abbattere le porte della dittatura. Sotto ogni dittatura si stabilisce questa forza, quando essa coincide con la ricerca delle libertà elementari dell’uomo. Questa unità scompare allorché, sconfitto il dittatore, risorge la catena delle fazioni…”
Le parole di Quasimodo lasciano intravedere il ruolo della cultura in rapporto alla politica: un ruolo di liberazione. La cultura, in dati momenti storici, assume un ruolo di primo piano, nel senso che si dimostra capace di “unirsi segretamente” contro il potere politico, per lottare contro la negazione delle più elementari libertà da parte della dittatura. Quasimodo, insomma, riconosce alla cultura questo essere “forza unificante” contrapposta al potere politico dittatoriale, come pure non manca di evidenziare l’azione negativa della cultura, allorquando, sconfitto il dittatore, perde la sua unità e nel disgregarsi consente il risorgere della “catena delle fazioni”.

La solitudine e la persecuzione del poeta

Essere poeta per Quasimodo implica il vivere nella solitudine, subire l’odio e la persecuzione. Questa riflessione emerge nel saggio “Il poeta e il politico” in tutta la sua crudezza e verità, come si può evincere dalla citazione che di seguito riportiamo:
Il poeta è solo: il muro di odio si alza intorno a lui con le pietre lanciate dalle compagnie di ventura letterarie. Da questo muro il poeta considera il mondo, e senza andare per le piazze come gli aedi o nel mondo ‘mondano’ come i letterati, proprio da quella torre d’avorio, così cara ai seviziatori dell’anima romantica, arriva in mezzo al popolo, non solo nei desideri del suo sentimento, ma anche nei suoi gelosi pensieri politici… […] Non è retorica, questa: in ogni nazione l’assedio silenzioso al poeta è coerente nella cronaca umana. Ma i letterati appartenenti al politico non rappresentano tutta la nazione, servono soltanto, dico ‘servono’, a ritardare di qualche minuto la voce del poeta dentro il mondo. Col tempo, secondo Leonardo, ‘ogni torto si dirizza’.

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