
VITTORIA/RAGUSA, 06 Novembre 2025 – Si è concluso con una condanna a un anno e dieci mesi di reclusione (con pena sospesa) e 600 euro di multa il processo con rito abbreviato a carico di un uomo vittoriese di 35 anni, domiciliato in una casa di accoglienza a Ragusa. L’imputato era accusato di maltrattamenti ed estorsione in danno dei genitori, reati che sarebbero stati commessi nel contesto della sua dipendenza dalla droga.
La sentenza è stata emessa dal GIP del Tribunale, Eleonora Schininà, che ha dunque accolto parzialmente la richiesta del PM Marco Rota, il quale aveva sollecitato una condanna a due anni e mezzo di reclusione.
Il punto cruciale del dibattimento è emerso dalla linea difensiva sostenuta dall’avvocato Sergio Crisanti. La difesa, basandosi sulle dichiarazioni delle vittime e sulla documentazione in atti, aveva richiesto una perizia psichiatrica per accertare eventuali turbe mentali.
Il Professore Eugenio Aguglia, incaricato come perito, ha depositato la sua valutazione e ha confermato in udienza che il trentacinquenne è afflitto da una grave patologia: disturbo schizoaffettivo di tipo bipolare. Il perito ha attestato che l’imputato presentava una capacità di intendere e di volere grandemente scemate.
In particolare, il perito ha spiegato che nel periodo critico (tra maggio e giugno 2023), il disturbo si manifestava in modo episodico, portando a una “fuga al controllo dell’io” prima di una successiva ripresa.
Nonostante il riconoscimento della patologia, l’esito non è stato quello sperato dalla difesa. L’avvocato Crisanti aveva infatti chiesto l’assoluzione per i maltrattamenti, argomentando che tutti gli episodi rientrassero nel quadro della patologia. Per l’estorsione, invece, aveva chiesto l’assoluzione sostenendo la mancanza di una minaccia concreta e l’irrisorietà dell’aspetto economico (pochi euro).
La condanna finale del GIP, sebbene con pena inferiore a quella richiesta dal PM e con sospensione, conferma il giudizio di colpevolezza sui fatti contestati, pur tenendo evidentemente conto delle gravi condizioni di salute mentale dell’imputato. Un epilogo che sottolinea la difficile commistione tra patologia e responsabilità penale.












