
Nel nostro tempo l’affermazione secondo cui nulla è assoluto e tutto è relativo è sicuramente vera, atteso che una persona non è il tutto, non ha la pienezza dell’essere, ma vive anche della debolezza costitutiva della sua fragile umanità. Il relativismo, però, è un’altra cosa, e spesso coincide con il nichilismo. Dentro la visione populistica delle società si va sempre più delineando, infatti, un relativismo che assume il volto di quell’ idea di società liquida profetizzata da Zygmunt Bauman. Secondo Bauman viviamo infatti in una situazione di crisi in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde il concetto di persona, si perde l’identità e la certezza del diritto e le uniche soluzioni, per l’individuo senza punti di riferimento, sono l’apparire a tutti costi e il consumismo. Vedo molto concreta, nel nostro tempo globalizzato, questa visione, che mi induce a credere che il pensiero di Bauman si stia sempre più realizzando, e ad affermare che:
– Non importa se sei maschio o femmina, omosessuale, transessuale o bisessuale;
– Non importa se sei padre o madre, genitore uno, genitore 2, figlio naturale o proveniente da un
affitto dell’utero;
– Non importa se hai una famiglia, una storia, dei nonni, un passato, un presente, un futuro;
– Non importa se sei laico o laicista, di destra, di centro o di sinistra, conservatore o progressista;
– Non importa se sei credente o ateo, agnostico o sincretista;
-Non importa se sei cristiano o musulmano, indù o buddista, taoista o scintoista con una o senza religione;
– Non importa se sei credente praticante o non praticante, se preghi o non preghi;
– Non importa se sei soggetto di diritti o di doveri;
– Non importa se fai il male scambiandolo per bene o se nascondi il male dentro un apparente bene;
– Non importa se sei profugo, rifugiato che scappa dalla guerra o clandestino, migrante economico
o straniero in cerca di lavoro;
– Non importa se sei single o coniugato, convivente o compagno; se sposato civilmente o in chiesa;
– Non importa se hai idee, progetti, ideali o se non pensi a nulla né sogni;
– Non importa se avanza il bene o il male, la giustizia o l’ingiustizia;
– Non importa se taci o parli, se ascolti o urli, se piangi o ridi;
– Non importa se vivi o muori, se soffri o gioisci, cammini o stai fermo;
– Non importa se capisci o non capisci, se vedi o non vedi, se denunci o fai silenzio;
– Non importa se sei in guerra o in pace, in amicizia o inimicizia;
– Non importa chi governa e chi si oppone, chi dice il vero e chi il falso;
– Non importa lasciare qualcosa di sé agli altri o non lasciare nulla;
– Non importa ciò che sei, non importa ciò che fai, non importa ciò che dici, ciò che scrivi e ciò che doni.
Ci siamo liquefatti in una dissolvenza dove tutto è relativo, non esistono chiarezze e certezze valoriali e dove ognuno di noi è tutto e il contrario di tutto, il niente e il contrario di niente; dove tutti siamo contro tutti e contro tutto; e dove tutti siamo con tutti e con nessuno, e dove tutti siamo uno nessuno centomila.
Mi viene da pensare a S. Ignazio di Loyola, che diceva: “Chi vorrà riformare il mondo cominci da se stesso!”
Il “neo-manicheismo”
E’ diffuso poi nel nostro tempo un pericoloso virus, che chiamerei “neo-manicheismo” di ritorno. Di cosa si tratta! Il manicheismo, per dirla in una battuta, fu un movimento religioso fondato dal profeta iraniano Mani, che interpretava tutta la realtà operando un dualismo tra il bene, rappresentato dalla luce e dal mondo spirituale, e il male , rappresentato dalle tenebre e dal mondo materiale. Nei primi secoli del cristianesimo questa teoria si diffuse parecchio, mettendo il bene da una parte e il male dall’altra, e lo stesso S. Agostino, prima di convertirsi al cristianesimo, aderì al movimento. Non è possibile in questa sede analizzare tutti gli aspetti filosofici di questo dualismo che ritroviamo in Platone, Aristotele, Epicuro, e che viene poi superato da S. Agostino e S. Tommaso.
La visione dei manichei poggiava in particolare su un elemento portante: l’individuazione di una doppia morale: quella di un gruppo ristretto di religiosi, chiamati “Eletti” o “Perfetti” e quella più elastica per tutti i credenti, chiamati “Uditori”. Il manicheismo fu dichiarata dottrina eretica all’inizio del VI secolo con editti di Imperatori e interventi di Papi.
Nel nostro tempo questa visione dualistica è rinata, tant’è che nei vari ambiti della vita sociale noto che il dibattito, la diversità di posizioni culturali, politiche, certamente necessari in una democrazia, si stanno connotando sempre più di una doppia morale, in senso manicheo, con il bene da una parte e il male dall’altra. Il virus del “neo-manicheismo” opera così: mette da una parte i perfetti, gli eletti, gli intellettuali, gli onesti, i buoni, le persone di buon senso, i sapienti, gli intelligenti, i detentori della verità, i benefattori solidali e accoglienti, i responsabili, i competenti, gli autorevoli e, ancora, tutti quelli che non odiano, non rubano, non uccidono, non dicono falsa testimonianza, non strumentalizzano, non sono qualunquisti, non discriminano, non predicano razzismo, non fanno violenza, in altre parole il bene. Dalla parte opposta, il “neo manicheismo” mette gli imperfetti, gli ignoranti, i senza cultura, i dissennati, i disonesti, i cattivi, gli irresponsabili, gli incapaci, e poi tutti quelli che odiano, rubano, uccidono, dicono falsità e bugie, predicano razzismo, violenza e che discriminano tutto e tutti; insomma il male.
E’ chiaro che questa divisione è iniqua, perché a livello ontologico e teologico il bene e il male convivono nell’uomo, in ogni uomo e in ogni donna senza distinzione – direbbe l’art.3 della costituzione – di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Spetta alla singola coscienza dell’uomo obbedire al detto “bonum faciendum, malum vitandum” (il bene è da farsi, il male da evitare). A questo punto, dire al prossimo in me c’è il bene, in te il male, è assurdo e anche offensivo. Meglio dire il bene e il male ci appartengono, cerchiamo di scegliere e fare il bene.
Questo virus del “neo-manicheismo” ha ingaggiato oggi un suo portavoce efficace: la comunicazione mass mediale e dei social, oltre ai canali ufficiali della grande stampa cartacea e televisiva, sia pubblica che privata, del Paese. Non si può fare, certo, di tutta l’erba un fascio, ma non c’è dubbio che, anche in questa direzione, occorrerebbe evitare di generare caos, accrescendo questo distruggente manicheismo.
Una delle principali istanze etiche che la società di oggi rivolge al mondo del giornalismo e della comunicazione mass- mediale, è quella di evitare questo manicheismo strisciante e divisivo con un’informazione caratterizzata da professionalità, trasparenza, libertà e autonomia, al fine di rendere un servizio alla verità. Il mondo della informazione dovrebbe sforzarsi di essere veritiero, cercando – come direbbe il filosofo Spinoza – né di piangere né di ridere ma di “intelligere”, cioè leggere dentro la realtà e i fatti della società e della la storia per tentare di capirli. Dire la verità, essere veraci significa dire le cose relativizzandole e mettendole nel giusto contesto, nella luce problematica che esse presentano, con la consapevolezza che occorre fare ammenda quando si esagera e si sbaglia.
Il mondo della comunicazione serve la verità quando dimostra con i fatti che la verità implica il confronto con gli altri: nel dialogo si scopre progressivamente la verità. E’, pertanto, inaccettabile una informazione catalogata di sinistra, di destra, di centro, conservatrice, progressista, usata come strumento di continua polemica o, peggio, come una clava per ridurre al silenzio l’avversario. Quando ci si accorge che in nome della verità si chiudono le porte del dialogo e si fa una informazione d’assalto, si può essere certi che si sta imboccando non la strada del servizio ma del disorientamento dell’opinione pubblica, e che si sta perseguendo qualche inconfessabile interesse.
Ma oggi è possibile un’etica della comunicazione? Sicuramente è necessaria, perché esiste un diritto della persona a non essere ingannata. Ogni forma di comunicazione consapevolmente mossa da intenti menzogneri, che mette i buoni da una parte e i cattivi dall’altra , che assolutizza, riduce, deforma, nasconde, commenta faziosamente le cose da dire, rappresenta una violazione dell’etica professionale dell’operatore dell’informazione e un atto di lesione della dignità della persona e della qualità della vita sociale.
Certo, nessuno pensa che possa esistere una assoluta e piena obiettività, come pure non è da ritenersi illegittima la espressione e la difesa del punto di vista interpretativo nell’atto della comunicazione, tuttavia sarebbe ingiusto oltreché immorale operare un processo di stretta e surrettizia identificazione della notizia con il proprio punto di vista, perché in tal caso non si servirebbe la verità né si farebbero crescere le persone, ma si provocherebbe il plagio. Alla luce di questa possibilità, il cittadino ha, allora, un forte compito etico: vigilare ed esprimere la propria voce affinché i mezzi di comunicazione sociale, sia pubblici che privati, non vengano spregiudicatamente utilizzati come armi di manipolazione ideologica e di divisione manichea di un popolo.